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Club Alpino Accademico Italiano

CHIODO D’ORO EDIZIONE 2025

Mercoledì, 07 Maggio 2025 10:04

CHIODO D’ORO EDIZIONE 2025

di Francesco Leardi Presidente CAAI Gruppo Orientale

Sarò un modesto e breve narratore di un bellissimo evento che la SOSAT di Trento porta alla conoscenza del grande mondo alpinistico ormai da vent’anni e che da due anni vede la collaborazione del Club Alpino Accademico Italiano gruppo Orientale per l’analisi delle candidature e la successiva designazione al conferimento del premio.

All’instancabile ed esplosivo presidente della SOSAT Luciano Ferrari va reso l’onore, oltre che della volontà etica nel perseguire il programma, anche della capacità organizzativa.

Ma ciò che mi ha colpito è stato l’entusiasmo con il quale Luciano ha portato avanti il progetto.

Ma veniamo agli eventi e alla loro cronologia.

Immagine WhatsApp 2025 05 02 ore 07.44.43 02cd19a9Il coro SOSAT alla manifestazione del Chiodo d'oro 2025 - Ph F. Leardi

 

1° Maggio ore 18,30, sotto la sede di Via Malpaga è assiepato gran parte del mondo alpinistico trentino, e non solo, in attesa di salire nella bellissima e storica sala affrescata della SOSAT.

Sulle vie centrali di Trento un brulicare di appassionati di montagna, perché tutto orbita in questi giorni intorno al Trento Film Festival nel quale è inserita la nostra manifestazione del Chiodo d’oro, tassello fondamentale degli eventi.

I titolari del riconoscimento Pierino Radin e Davide Sassudelli parlano tra di loro nella prima fila di sedie della sala, generazioni a confronto si potrebbe dire molto banalmente, ma altrettanto semplicemente, come nell’etica del premio, attori di questo momento che non incorona campioni ma i valori dell’uomo alpinista.

Grandi sorprese mi aveva annunciato Luciano Ferrari in una sua lunga telefonata ricevuta circa un mesetto fa, nella quale aveva parlato ininterrottamente per un bel po’ di minuti, illustrandomi il progetto, perorando il mio contributo. Il mio intervento in questo contesto fu breve e minimalista: ci sarò!

La bravissima e simpatica presentatrice, la giornalista Fausta Slanzi, introduce l’inizio della manifestazione. Un contributo al pianoforte del maestro del Coro della SOSAT Roberto Garniga che fa entrare la sala in sintonia con il profilo etico del Chiodo d’oro.

 

La parola passa quindi al presidente SOSAT Luciano Ferrari, che, con la sua leggendaria verve, ricorda la struttura organizzativa del progetto e i passaggi svolti per arrivare alla definizione dei due premiati.

Nell’intervento successivo il Presidente del Trento Film Festival Mauro Leveghi mette in evidenza il notevole sviluppo della manifestazione da lui presieduta con i numerosi contributi cinematografici di alto livello, le numerose tavole rotonde e i dibattiti alpinistici sempre alla presenza di un numeroso pubblico assai competente e sempre molto attento.

Tocca quindi al Sindaco di Trento Franco Ianeselli che, da Sosatino, ci fa intendere di avere davanti a noi una persona assai sensibile all’ambito montano.

Nel frattempo arriva in sala il presidente generale del CAI Antonio Montani e, senza false enfatizzazioni, devo ammettere che la manifestazione raggiunge il suo massimo apice di notorietà.

Quindi vengo chiamato dalla moderatrice Fausta a relazionare come presidente del gruppo orientale che, vorrei ricordare, contribuisce alla manifestazione con il “giudizio” sui candidati con la sua Commissione Tecnica, che rimane tale in quanto la decisione finale compete alla commissione SOSAT del Premio Chiodo d’Oro. In questo contesto vorrei ringraziare la mia Commissione Tecnica composta da Ivo Maistrello, Alessio Gualdo, Antonio Zanetti, Mirco Grasso sempre molto collaborativi.

Immagine WhatsApp 2025 05 01 ore 21.30.36 2282ebd7Luciano Ferrari, Presidente della SOSAT, consegna il Chiodo d'oro 2025 - Ph F. Leardi
L’intervento di Francesco Leardi all’edizione 2025 del Chiodo d’Oro

Non userò toni di ufficialità che non desidero molto ma semplici parole.

Sempre difficile scegliere tra i valori delle persone e in effetti tutte le figure proposte dai componenti dell’ambizioso progetto Chiodo d’Oro erano meritevoli ma non solo, oserei dire prestigiose e certamente allineate con le filosofie del premio: continuità, versatilità, modestia e capacità comunicativa.

Le personalità chiamate a scegliere inoltre erano e sono assai variegate come carattere, sensibilità ed esperienze alpinistiche diverse.

Non è stato facile per ognuno di noi componenti selezionare - che termine antipatico! - ma al varco ci aspettava una scelta.

Ritengo che le persone premiate, il veterano Pierino e il giovane Davide rappresentino pienamente il senso del progetto anche con il concetto che due opposti si attraggono e, infatti, hanno riscosso la nostra preferenza: il primo era ed è il più anziano ed il secondo ovviamente il più giovane del branco.

Il primo, esponente del mondo alpinistico del Nordest con una storia eccezionale alle spalle e, il secondo, eclettico portatore di capacità, esuberanza e versatilità del panorama trentino e non solo.

Mauro Leveghi presidente del Trento Film FestivalInterviene Mauro Leveghi, Presidente del Trento Film Festival - Ph F. Leardi

 

Ovviamente posso parlare liberamente di Pierino, mio collega del gruppo orientale dell’Accademico che mi offre lo spunto per farmi credere e convincere che chi fa alpinismo, insomma chi arrampica, cammina, frequenta i giovani non invecchia mai.

Sono accademico dal 1993 e ho sempre visto Pierino così, si certo un poco più giovane ma sempre smilzo, con i suoi baffetti risorgimentali, lo sguardo intrigante, il gesticolare delle braccia un poco furioso, gli occhietti sempre così incuriositi e, volendo scherzarci su, almeno per me che non sono veneto di origine ma di adozione, con la necessità di traduzione simultanea dal dialetto veneto all’italiano.

Ma la cosa che mi ha sempre incuriosito è il suo percorso fatto con Renato Casarotto, che amplifica secondo me le qualità di Pierino poiché, per convivere con un personaggio come Casarotto, certamente occorrevano tenacia e capacità fuori dal comune.

Si dice che tutto torna e credo molto in questo.

1980: Spedizione Everest diretta da Francesco Santon con vari esponenti tra i quali De Marchi, Giambisi, Martini, e vari altri.

A Pierino si sgancia un rampone, davanti a lui il bravo e umile alpinista genovese Franco Piana.

Una slavina e Franco sparisce in un crepaccio.

Io vengo dall’ambiente alpinistico genovese e avevo arrampicato molto con Franco, per me un amico, ma, soprattutto, un esempio di umanità e impegno sociale.

Ebbene Pierino mi ha concesso di vivere l’emozione del ricordo con la sua umana dialettica che lascia intendere di un anima piena di ideali e sentimenti.

È un piccolo e breve cameo che mi unisce molto umilmente a Pierino.

20250501 190447La presentatrice Fausta Slanzi con i premiati Piero Radin e Davide SassudelliE veniamo alla scelta del giovane Davide.

Non lo conosco di persona, ho letto di lui, ho sentito le solite voci di corridoio.

Guida alpina e pilota biposto di parapendio.

Laureato in sociologia e da diversi anni componente del Soccorso alpino Trentino.

26 anni!

Ma in così poco tempo, viene da chiedersi, come ha fatto a fare così tante cose?

Un’altra cosa, ed è brutto dirlo, ma ho un personale atteggiamento di invidia nei suoi confronti.

Il volo, non quello in falesia naturalmente, ma quello in parapendio che non ho mai fatto ma si dice che c’è più tempo che vita.

A tal proposito, e ovviamente bisogna approfittare delle situazioni, ho rivolto la richiesta personale di poter provare a volare con lui.

La mia origine genovese però mi ha imposto di richiedere la prestazione “a gratis”, ma naturalmente questa è un'altra storia!

 

Dopo il mio intervento è la volta di Renzo Fracalossi e devo spendere due righe sul suo personaggio.

Renzo Fracalossi, è nato a Rovereto il 5 luglio 1961. Risiede a Trento dove, dopo gli studi umanistici, lavora nella pubblica Amministrazione. Presiede l’associazione culturale "Club Armonia"; è componente della "Società di Studi Trentini di Scienze storiche" e della SOSAT Ricercatore e divulgatore, si occupa da decenni di approfondire e narrare l'antisemitismo e con esso la Shoah e di indagare la storia locale. Collabora con università e centri di ricerca europei su tali questioni ed ha all'attivo alcune pubblicazioni e contributi. È autore teatrale, iscritto alla SIAE, con testi rappresentati in sede locale e nazionale.

Gentilmente mi ha fornito i suoi contributi, che, se da un punto letterario sono stupendi, purtroppo sono privi della enfasi teatrale con la quale Renzo ha raccontato di Pierino e Davide.

Provate comunque a leggere e riflettere perché non è solo prosa ma poesia ed amore per gli uomini e la montagna.

Piero Radin, passione indomabile

di Renzo Fracalossi

Immagine WhatsApp 2025 05 02 ore 00.22.19 f6143e1ePiero Radin - Ph Arch. SOSATDentro il verde colore di occhi vivacissimi; dietro un sorriso di eterno ragazzo ed un corpo esile che sprizza forza e volontà, si celano ottantadue anni di simpatia senza confini e di una modestia che è lezione prima degli uomini grandi.

Eppure quel viso buono e carico di dolcezza ricorda un altro volto. Lo vedo, nella penombra del tempo, ma non riesco a metterne a fuoco il profilo e l’immagine. Eppure...

1974. Lui ha trentun anni. Prima di fare lo Spigolo Strobel, Renato Casarotto mette alla prova due ragazzi, gonfi solo della loro passione pura.

Uno è Diego Campi. L’altro è lui e la sfida è lo Spigolo Boschetti – Zaltron, con la variante Timillero, sulla sud-est del Soglio d’Uderle, nelle geografie del Pasubio in Vallarsa.

Eppure quel volto... Non riesco a smettere di frugare nella memoria, senza però che venga a galla alcunché. Le movenze, lo spirito, la passione sembrano quelli, eppure non sono capace di far brillare in me il ricordo.

Quello Spigolo prevede un tetto da passare con le staffe. Lui è l’ultimo a salire e, proprio in quel tratto, perde la staffa. Casarotto gli dice che l’unica soluzione è salire con il “nodo Prusik”. Lui fa un pendolo che adesso, cinquant’anni dopo, rammenta ancora perfettamente. Dopo un’esperienza così, non arrampichi più o vai su, fino oltre gli ottant’anni.

Lui, ovviamente, sceglie di continuare. Non è arroganza inutile. Non è brivido adrenalinico fine a se stesso: Non è bisogno narcisistico di esibirsi. È solo passione. Grande. Autentica. Forte e potente, come gli amori veri. È esplorazione. È dialogo con l’incognito. È solitudine che diventa bellezza. È l’avventura pulita di salire sapendo solo dov’è l’attacco della via e null’altro. In un nome è: Piero Radin, “mato par le crode”.

Ma quella faccia asciutta e fiera continua a girare fra gli anfratti della mia mente. Stimola lo scavo dentro il tempo andato. Chiama all’appello delle rimembranze. Ma, niente. Non ci riesco...

Piero è un alpinista d’altri tempi, un solitario che non ama essere “inquadrato”, perché sa che, quando tutto è sicuro, perfetto, programmato e con un prezzo, l’alpinismo puro evapora e non rimane nulla. Solo tecnica che uccide l’anima.

Prima della spedizione sull’Annapurna, sale per la via Vinatzer in Marmolada. È il 1977 e lui è solo con la montagna. La sera si trova ad un tiro di corda dalla cengia, ma non conosce la via e decide di bivaccare in una piccola grotta. Una notte illuminata di stelle rarefatte che mette i brividi. Lui, la notte e la parete di roccia che parla e dice di sensazioni uniche ed irripetibili. Ci vuole “voglia di andare “, per fare certe vie, come quelle che Piero Radin ha fatto da solo e con Renato Casarotto.

Poi l’Annapurna. Un crepaccio dietro l’altro. Dall’ultimo Campo, ancora un canalone, una cresta e poi la vetta. Piero va su con Giorgio. Giorgio Brianzi.

La difficoltà maggiore è sempre scendere. La pendenza è di circa 60 gradi.

Nella discesa Giorgio scivola e trascina con sé Piero. Volano, prima di ritrovarsi appesi all’unico chiodo che Piero aveva piantato. Una gamba rotta e l’immensa fatica a muoversi, finché li vedono e li calano in doppia prima che arrivi la notte.

Una mano è bianca. Di un candore irreale. Non sente più le dita. Anche la gamba non la sente quasi più. Per arrivare al Campo base, in quelle condizioni, ci vogliono sette giorni.

Tornato a Vicenza Piero va in ospedale. Le prime falangi sono nere. I medici gli dicono che può dire addio all’arrampicata. Ma cosa ne sanno loro? Con tre falangi in meno e qualche difficoltà in più , Piero Radin continua a salire.

Lo fa ancora oggi. Ad ottantadue anni.

Piero ha iniziato a ventotto anni e fra i suoi traguardi campeggia la spedizione sull’Huandoy Sud in Perù ; sull’Annapurna nel Nepal centrale; il Diedro Casarotto – Radin sulle Pale di San Lucano; lo Spigolo Strobel nelle Dolomiti di Zoldo in invernale, ma anche la vetta dello Shivling in Himalaya e centinaia di altre vie che gli conferiscono il prestigioso titolo di Accademico del CAI e lo accompagnano in ogni alba che lo illumina e lo spinge avanti sul sentiero della vita.

Nel 1996, Piero è capocorda con il suo compagno di sempre Giacomo Albiero, sulla Solleder-Lettenbauer, uno dei più classici sesto grado delle Dolomiti.

Giacomo ha settantun anni e Piero cinquantatré, senza le punte delle dita della mano destra.

Lo osservo intensamente e finalmente ricordo. Piero è l’immagine speculare di Primo. Primo Levi. Di lui conosciamo la profondità del legame con la sofferenza infinita, ma anche con la montagna e mentre li guardo entrambi: un volto incorniciato dalla barba a pizzo che parla di asprezze e l’altro con quei baffi che dilatano il sorriso, ripenso al senso di totalità che la montagna offre a chi, come loro, la sa cogliere. Due uomini che portano nello zaino mille storie. Le loro e le nostre, a dire della montagna che accomuna ed insegna; che consola ed affascina, che rende vivi anche quando la vita se ne è andata; che ascolta la nostra stolta frenesia e ci offre ritmi più lenti e veri. La montagna è spontaneità, non è esibizione. Ecco perché: Piero Radin ne è degno figlio ed altri, molti altri, nemmeno si avvicinano a questa gran madre che custodisce il misterioso segreto dell’avventura umana.

Davide che vola sulle montagne

di Renzo Fracalossi

Nel mito greco, Dedalo viene imprigionato nel suo stesso labirinto, dal quale fugge, costruendo per sé e per il figlio Icaro, ali di penne e cera. Si alzano in volo verso la Sicilia e, mentre Icaro si avvicina troppo al sole che cola la cera delle ali e lo fa precipitare, Dedalo si salva. Giunto nella Magna Grecia costruisce un po’ ovunque templi al dio Febo Apollo.
Arrampicare e volare sono le vie della libertà.
Infatti, se volare significa creare nuove strade oltre i limiti tra desiderio e possibilità, arrampicare vuol dire cercare il giusto equilibrio fra coraggio e passione; infrangere il vento ed abbracciare i raggi del sole; estendere il respiro all’infinito, guardando la vita in modo diverso e sempre nuovo.

“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Li miei compagni fec’io sì aguti
con questa orazione picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti
e volta nostra poppa al mattino
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino”
(Divina Commedia – Inferno – Canto XXVI - 100/142)

Immagine WhatsApp 2025 05 02 ore 00.22.19 2c7e6facDavide Sassudelli - Ph Arch. SOSATÈ nel folle volo di Ulisse che si raccoglie la giovane, quanto totalizzante, esperienza dei ventisei anni Davide Sassudelli, che inizia a scalare per gli occhi e i baci di una ragazza e da lì prende il volo verso l’infinito azzurro che tutto contiene. Uomo di montagna e di cieli nasce in una “nave” - Nave San Rocco - quasi a voler contenere nel sogno e nella sua storia di individuo tutto l’immensità della natura madre. Sociologo e Guida Alpina: una scelta di studi che prova a penetrare il sociale ed un richiamo irresistibile della vita verso la sfida, la prova, la misurazione di sè stessi e dell’immenso.
È davanti a tutto questo che l’uomo si avverte “nudo”, piccolo soffio di divino impastato con la terra. E così Davide onora l’antica origine ebraica del suo nome, affrontando quel gigante Golia di pietra che è la montagna.
Lo fa con la leggerezza della gioventù e la consapevolezza responsabile dell’esperto, ponendosi limiti, ma anche ampliando orizzonti alla ricerca di una libertà esteriore che è riflesso di quella interiore.
Proprio in quella ricerca, così cara alla cultura più vera dell’alpinismo, Davide, come Dedalo, vuole fuggire dal labirinto del quotidiano volando e si costruisce le ali, frequentando quei corsi di parapendio che gli permettono di librarsi nel vuoto silente e pieno di magia. Sale sul Campanil Basso, insieme ai suoi amici Matteo Pavana e Stefano Piatti, dalla via Preuss. Nello zaino non c’è quasi nulla del montanaro. Tutto lo spazio è occupato dal parapendio. Salendo quella via, aperta in due ore e senza alcun ausilio il 28 luglio 1911 da un purista assoluto della scalata come Paul Preuss, anch’egli di radice ebraica a testimoniare il legame dei popoli del Libro con la montagna, Davide sente dilatarsi dentro di sè il sogno umano di sempre, quello cioè di volare e di essere padroni dell’aria.
Dal “Basso”, questo ragazzo, entusiasta della vita e rapito dalla bellezza più sublime, si lancia per il primo volo umano dal Campanile più famoso delle Dolomiti che, ammirato da tanto ardimento, risuona di silenti rintocchi naturali che si spalmano sull’orizzonte.
Guardare dall’alto le montagne che si stendono in un tappeto di vette e nubi, di colori e purezza, di esplorazione e sensazioni impagabili, consente diventa essenza del vivere e coscienza di nuove dimensioni dell’umano e delle sue possibilità.
E mentre Davide si lancia da Costalta per giungere in volo a Lienz, in Austria, divorando le Alpi in un solo sguardo di vento, Dedalo segue con passione ed affetto quel suo emulo alpino, stringendo così quel legame fra mito e realtà che la montagna sa custodire fin dalla creazione di Genesi.
Ascendere il cielo, ma non staccarsi dalla terra. È questo il mistero che anima Davide che adesso vuol partire da casa volando, per giungere in Marmolada e scalare la “via del pesce”, per poi riprendere le ali che lo porteranno sulle rotte del ritorno.

“Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.”
(Divina Commedia – Purgatorio – Canto I – 70/72).

Non servirà arrivare a tanto, ma quella libertà abita Davide e lo rende ciò che è: un giovane uomo libero e coraggioso, che esplora l’universo, sapendo d’esserne frammento infinitesimale e, al contempo, centro e motore di ogni nuovo traguardo. Minuscolo atomo appiccicato alla roccia, che sfida ogni legge e perfino quelle dell’Infinito, alzandosi poi verso il sole per dire delle possibilità immense dell’uomo.
Montagna e cielo, per esistere e resistere. Questo è Davide Sassudelli.

Due brevi filmati molto coinvolgenti accompagnano la presentazione ufficiale di Pierino e Davide.

20250501 190932Entrano materialmente così in gioco i due premiati.
Dapprima un emozionato e commosso Pierino Radin che scuote l’assemblea con la simpatica frase “Mi parlo solo dialetto” supportato da una divertita Fausta che abbandona l’ufficialità chiedendo dolcemente il senso dell’andare in montagna per Pierino.
Molto semplicemente per il piacere, per la bellezza, per il divertimento!
Non potevano esprimere meglio queste parole la figura di un uomo dagli occhi così vivi e ricchi di umanità.
Davide ci ha offerto l’immagine di un ragazzo alla ricerca della libertà, concetto assai complesso e aleatorio per carità, e di quella sensazione che il volo può dare tra l’altro combinato con l’arrampicata.
Arrampicare, volare, guardare mondo e società da prospettive che non tutti possiamo permetterci, almeno abbinate tra loro.
Uno sguardo limpido, semplice, insomma un esempio per la sua generazione. E la nostra!
La premiazione ha poi completato la parte ufficiale del percorso della manifestazione su un palco di tutto rispetto che oltre ai due premiati era composto dal presidente della SOSAT Luciano Ferrari, il sindaco di Trento Franco Ianeselli, il presidente del Trento film Festival Mauro Leveghi e il presidente del C.A.I. Antonio Montani.
Un parterre d’eccezione per due splendide persone.
Grazie alla ottima acustica della sala dell’evento abbiamo poi potuto apprezzare come suggello finale il coro della SOSAT che si è esibito in strada per il piacere non solo nostro, che lo ascoltavamo dalle finestre aperte, ma dei numerosi passanti diventati pubblico per un evento che non scorderò.
Al 2026 allora, e certamente il buon Luciano Ferrari ci stupirà ancora con i suoi effetti speciali!

Un momento di ricordo particolare della SOSAT è stato dedicato a un loro socio molto amato non più materialmente tra noi. Un intimo abbraccio della sala ha stretto la moglie e la figlia presenti in sala.
Ciao Claudio!

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