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Club Alpino Accademico Italiano
Mercoledì, 03 Agosto 2022 21:34

Piccozze, ramponi e ancoraggi da ghiaccio: dagli albori ai nostri giorni   

Foto archivio CSMT CAI
 2 Agordino Cascata di S. MartinoAgordino Cascata di S. Martino

 

 

Lo stretto rapporto tra evoluzione dei materiali e difficoltà superate è un dato di fatto. 

L’evoluzione dei materiali è stata, ed è ancora oggi, uno degli elementi fondamentali nella spinta al superamento di difficoltà sempre maggiori. Gli aspetti mentali, la tecnica e l’allenamento fanno il resto, ma soprattutto sul terreno ghiacciato l’innalzamento delle difficoltà è sempre stato strettamente legato alle innovazioni dei materiali.
Ce lo dimostra questo articolo preparato da Giuliano Bressan, impegnato da anni nelle attività di studio e sperimentazione sui materiali presso il Centro Studi Materiali e Tecniche del CAI
 
 
 
 
 
 
 
 
Se prendiamo in esame l’evoluzione dell’arrampicata, il “ghiaccio” è senza dubbio il terreno di gioco dove lo sviluppo tecnologico dei materiali è stato determinante per il progresso delle prestazioni e degli exploit. Andiamo però con ordine e ripercorriamo le varie tappe sino ad arrivare ai nostri giorni.
I primi attrezzi
La prima storica salita al Monte Bianco, compiuta nel 1786, ad opera di Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard fu effettuata grazie all’utilizzo degli “alpenstock”, lunghi bastoni dotati di punta metallica, utili non solo nelle fasi di salita e discesa  ma anche per sondare il terreno; in uso fin dal Medioevo, questi bastoni ferrati si possono considerare a tutti gli effetti gli antenati della piccozza.
Agli inizi del XIX secolo, oltre agli alpenstock, le guide che accompagnavano nelle ascensioni i primi alpinisti impiegavano anche delle comuni accette, atte a scavare dei gradini dove poter appoggiare gli arti inferiori e poter così superare con relativa sicurezza i ripidi pendii di neve dura o ghiaccio. Ben presto però l’ascia venne modificata e perfezionata: il manico fu allungato e dotato di una punta metallica mentre la lama si sdoppiò in una becca, adatta ad essere piantata nei pendii di ghiaccio per rendere più sicura la progressione e in una paletta, utilizzata per scavare i gradini.
Verso il 1840 la paletta diventa orizzontale dando origine in pratica alla piccozza, strumento che accompagnerà guide, scienziati, esploratori e  alpinisti nella salita delle grandi pareti ghiacciate.
In quegli anni, prima della comparsa dei ramponi, le salite su ghiaccio erano lunghe e difficili e si progrediva molto lentamente, utilizzando degli scarponi chiodati che permettevano una discreta tenuta sui gradini scavati nel ghiaccio. Era l’unico sistema possibile per poter salire sulle pendenze più accentuate, modo che richiedeva però un immane lavoro di gradinamento da parte delle guide.
fig. 1 prime piccozze e ramponifig. 1 prime piccozze e ramponiA rivoluzionare il procedimento di scalata  e di conseguenza la velocità di progressione, sia in salita che in discesa, fu l’introduzione dei ramponi, naturale evoluzione degli scarponi chiodati; probabilmente questi attrezzi sono stati i primi mezzi artificiali usati per affrontare le difficoltà del terreno montano e parallelamente gli ultimi ad essere comunemente accettati ed impiegati.  
Le prime testimonianze di “grappette” o “griffe”, cioè di ferri a più punte fissati sotto le calzature per non scivolare, si trovano raffigurate a Roma, sull'Arco di Costantino (inizio del IV secolo d.C.). Come tali, le grappette sono state usate nei secoli successivi in ambito contadino e soprattutto da boscaioli e cacciatori che si dividevano con i cercatori di cristalli la frequentazione della montagna. Nessuno dei pionieri della scalata sulle Alpi aveva però immaginato un loro impiego per superare i ripidi pendii ghiacciati tipici dell’alta montagna e si continuava così a salire gradinando con grande fatica dove le pendenze si facevano importanti. Solo nella seconda metà del XIX secolo si cominciò ad utilizzare delle grappette con strutture molto elaborate (4, 6 e 8 punte) adatte al ghiaccio, anche se nessuno di questi rudimentali ramponi riuscì a diffondersi veramente (fig. 1).
fig. 2 ramponi a 10 puntefig. 2 ramponi a 10 punte
 
Bisognerà attendere il 1909, quando l'ingegnere ferroviario Oscar Eckenstein (1859-1921) entrò nella fucina di Henry Grivel, fabbro di Courmayeur, ai piedi del Monte Bianco sulle cui nevi, cento e più anni prima, era nato l’alpinismo.
Eckenstein aveva progettato un rampone completo con 10 punte che ricopriva tutta la suola dello scarpone. Era ben chiaro nella sua mente il risultato aspettato e  presentò al fabbro dei disegni meticolosi e dettagliati; questi, nonostante un iniziale scetticismo realizzò i ramponi chiesti dall’ingegnere inglese che teneva comunque l’indiscussa prerogativa di poter pagare il lavoro.Dalla loro collaborazione nacque un modello così riuscito da restare valido ancora oggi (fig. 2).
Una vera e propria rivoluzione e, anche se l’impiego di questi attrezzi fu ritenuto dai puristi poco sportivo nei confronti della montagna, la loro affermazione, legata alle eccezionali prestazioni offerte, fu immediata. 
L’utilizzo del rampone a 10 punte consentiva di progredire velocemente su ghiaccio senza dover intagliare degli scalini. Quando il terreno si faceva erto, si procedeva con la tencnica raffinatissima  delle “punte  a piatto”; piegando tantissimo le caviglie, tutte le punte del rampone si aggrappavano al ghiaccio assicurando una buona tenuta. Raggiunta la pendenza limite, si adottava la tecnica della  "piolet ancre", utilizzando cioè la piccozza come un'ancora alla quale attaccarsi con entrambe le mani.
OLYMPUS DIGITAL CAMERA         fig 3 - piccozza in fase evolutiva
Il 30 giugno 1912 fu perfino organizzato un "Concours de Cramponneurs" che si svolse sulla seraccata del ghiacciaio della Brenva tra le guide e i portatori di Courmayeur. Da notare che Eckenstein, ottimo alpinista, spirito contestatore e solitario, aveva introdotto anche un punteggio particolare per valutare lo stile dei concorrenti nelle varie prove e che il concorso fu, molto probabilmente, la prima competizione di scalata, seppur di ghiaccio, della storia.
Con l’uso generalizzato dei ramponi la piccozza prende una forma più “moderna”: il manico comincia ad accorciarsi (dai due terzi dell’altezza a circa la metà della statura della persona) e le becche, originariamente quasi diritte e senza dentature, vengono modificate, solo nella zona della punta, con due o tre intagli per migliorare le doti di ancoraggio (fig. 3).    
Le grandi innovazioni
Qualcosa, tuttavia, si poteva ancora migliorare a favore della velocità di progressione. Si deve a Laurent Grivel, il primo figlio di Henry e guida alpina, l'idea di aggiungere ai ramponi due punte anteriori, permettendo così di affrontare direttamente, cioè con la faccia rivolta al pendio, le più ripide pareti ghiacciate (fig. 4).
fig. 4 rampone a 12 puntefig. 4 rampone a 12 punte
Con questa nuova evoluzione, datata 1929, i ramponi cambiano volto; le 12 punte rendono dinamici questi attrezzi, modificando l’approccio e la filosofia delle salite su ghiaccio e su terreno misto. 
Migliorato il prodotto, sorse ben presto la necessità di renderli più leggeri, per favorire  la rapidità nelle ascensioni in quota. Nel 1936, Amato Grivel, fratello minore di Laurent, in collaborazione con l'acciaieria Cogne, impiegando una lega al Nichel, Cromo e Molibdeno, forgiò dei ramponi davvero resistenti ma più sottili e quindi più leggeri. Attrezzi del peso di soli 360 grammi al paio, fino ad allora impensabili, che nei successivi decenni divennero protagonisti delle prime salite sulle tre cime più alte del mondo, l'Everest, il K2 e il Kangchenjunga.
Questa innovazione risultò determinante per la prima salita della parete nord dell'Eiger, effettuata dal 21 al 24 luglio 1938, expolit che mise fine anche alla decennale diatriba  tra la tecnica “frontale” e  quella delle "punte a piatto". Le cordate impegnate nella salita utilizzavano attrezzature diverse: Heinrich Harrer calzava scarponi chiodati mentre il compagno Fritz Kasparek si serviva di ramponi a 10 punte;  Andreas Heckmair e Ludwig Vòrg usufruivano invece dei ramponi a 12 punte. La differenza nella velocità tra le due cordate fu subito evidente, con la tecnica frontale che permise quasi di raddoppiare il ritmo di progressione, confermandone la maggior efficienza. Heckmair usò anche una piccozza più corta con la becca molto inclinata, di costruzione artigianale.
Gli ancoraggi: chiodi e viti da ghiaccio
fig. 5 chiodo da ghiacciofig. 5 il primo chiodo da ghiaccioSe verso il 1920 era stata introdotta in alpinismo l’assicurazione a spalla in abbinamento ai chiodi da roccia già utilizzati alla fine dell’Ottocento, sul ghiaccio, fino ad allora, le uniche assicurazioni erano costituite dal manico della piccozza, da qualche chiodo da roccia nei tratti di misto e da ancoraggi naturali quali spuntoni e massi affioranti. I rischi a cui andavano incontro i ghiacciatori erano pertanto molto elevati e certe imprese compiute allora hanno ancor oggi dell’incredibile.
Si deve all’alpinista tedesco Wilhelm "Willo" Welzenbach (1899-1934), uno tra i più forti alpinisti del periodo fra le due guerre mondiali, l’introduzione del primo chiodo da ghiaccio: una lama piatta di ferro con delle tacche incise (fig. 5). Questo nuovo tipo di chiodo, derivato da quelli da roccia, gli permise ascensioni sino ad allora inconcepibili, fornendogli efficienti possibilità di assicurazione su tratti altrimenti impossibili da attrezzare. L'esordio dei chiodi da ghiaccio avvenne nel 1924 per la scalata della parete nord del Grosses Wiesbachhorn (3564), in Austria, nel Gruppo degli Alti Tauri. 
Welzenbach assieme a Fritz Riegele, che forgiò materialmente i nuovi chiodi, salì l'impegnativa parete con elegante progressione intagliando un numero elevatissimo di gradini su cui poggiare la punta dei ramponi, purtroppo all’epoca ancora a 8 punte. Oltre ai primi chiodi da ghiaccio, Welzenbach è l’ideatore della moderna classificazione delle difficoltà alpinistiche, risultato della sua scrupolosità e della grande preparazione atletica, tecnica e teorica. Ideata su sei gradi, per l'epoca la massima difficoltà raggiungibile, è oggi conosciuta come Scala UIAA. 
I modelli a lama presentavano però un problema: più ghiaccio veniva rimosso durante l’infissione più la tenuta generale del chiodo si indeboliva. Bisognava quindi ideare ancoraggi  che fossero allo stesso  tempo meno invasivi e maggiormente sicuri.
fig. 6 viti da ghiacciofig. 6 le prime viti da ghiaccioLa soluzione fu trovata da Luigi Bombardieri (1900-1957) che introdusse il concetto del chiodo semi tubolare con feritoie, leggerissimo. Brevettato nel 1935, lo chiamò “arpione Roseg” in omaggio all’elegante vetta glaciale che si eleva accanto al Bernina.      
Nel decennio 1950-’60 fanno la loro prima apparizione anche le viti da ghiaccio; posizionate per avvitamento questi attrezzi soppianteranno in seguito l’impiego dei classici chiodi, ancoraggi che ovviamente richiedevano l’uso di un martello per l’infissione.
Le primi viti, i “cavatappi” per intendersi, come ad esempio lo Stubai Marwa (1957) in lega d’acciaio avevano una forma affusolata e sottile. Altri, come quelli prodotti dalla Salewa (1959), avevano una costruzione a spirale che consentiva una maggiore tenuta (fig. 6). 
 
fig. 7 chiodi da ghiacciofig. 7 chiodi da ghiaccio a percussione
Una sostanziale evoluzione si verifica in seguito anche nei chiodi da ghiaccio, che iniziano a essere via via più solidi ed efficaci (fig. 7). Un chiodo molto all'avanguardia fu ideato nel 1957 in Austria da Felix Ralling: probabilmente il primo chiodo da ghiaccio a percussione con costruzione tubolare della storia.   
Degna di nota è anche l’introduzione, verso la metà degli anni ’50, da parte dell’alpinista austriaco Kurt Diemberger, del “pugnale da ghiaccio”. L’attrezzo piantato all’altezza delle spalle permetteva di togliere e ripiantare la piccozza più in alto senza perdere l’equilibrio; in pratica si poteva parlare per la prima volta di un secondo attrezzo per la progressione.
La rivoluzione della Piolet Traction, il ghiaccio verticale e il Dry Tooling
Gli anni successivi alla fine delle attività belliche portano ad un grande rinnovamento nei materiali e nelle attrezzature impiegate nelle salite, sia su roccia che su ghiaccio e terreno misto.
Le piccozze diventano sempre più corte, più leggere e performanti, ma mantengono una fisionomia tradizionale fino a metà degli anni '60. Nonostante queste innovazioni rimaneva però aperto il problema del superamento di tratti verticali senza dover fare ricorso alla tecnica artificiale. Ciò che ancora non si era intuito erano le enormi potenzialità che potevano derivare da una piccozza usata in trazione sul manico, abbinata alla tecnica frontale. 
Nel 1971, Walter Cecchinel, francese ma di genitori veneti, riprendendo le intuizioni di Lucien Devies e di André Contamine ideò un attrezzo che, partendo dal pugnale da ghiaccio, poteva offrire altre possibilità d’impiego, come per esempio quella di un martello. Ne uscì un arnese, a detta di Cecchinel, un po’ bizzarro: un pugnale da ghiaccio con manico che venne impiegato per aprire un’impegnativa via al Grand Pilier d’Angle sul Monte Bianco. Ben presto Cecchinel, proveniente dalla grande scuola dei ghiacciatori francesi, intuì che la mano poteva impugnare il manico del prototipo per ancorarlo, a braccio teso, al di sopra della testa, servendosene come presa di sostegno. Al contrario della tecnica piolet ancre, i ramponi venivano utilizzati “punte avanti” accoppiando al nuovo attrezzo una piccozza classica d’appoggio. Poco tempo dopo Cecchinel mise a punto due attrezzi ben specifici, piccozza e martello-piccozza, con becche inclinate e provviste di dentini ben marcati e incisi, prodotti da Simond, con i quali riuscì a ripetere il Couloir Lagarde-Segogne all’Aiguille du Plan (Monte Bianco) procedendo su inclinazioni sostenutissime. 
Con la successiva prima salita, nonchè prima invernale, nel 1973 del Couloir nord-est dei Drus, sempre nel Gruppo del Monte Bianco, a opera dello stesso Cecchinel con Claude Jager, la divulgazione della tecnica e successivamente la commercializzazione del relativo materiale, allargarono il campo d’interesse e vi fu grande attenzione per quella che prenderà il nome più che significativo di “piolet-traction” (trazione sugli attrezzi).
fig. 8 piccozza Terrordactylfig. 8 la mitica piccozza TerrordactylNegli anni ‘60 bisogna però riscontrare che gli alpinisti scozzesi erano già tecnicamente molto avanti, visto il terreno particolare sul quale arrampicavano: salite su pareti ghiacciate superficialmente  e fessure intasate di ghiaccio. Più che una piccozza vera e propria occorreva una specie di gancio da incastrare nelle fessure o da agganciare sugli appigli di roccia: da qui, la nascita della prima piccozza  simile alle attuali. All’alpinista scozzese Hamish MacInnes (1930-2020) si deve il progetto e l’utilizzo della prima piccozza e del martello-piccozza interamente in metallo: le “Terrordactyls” (fig. 8). Avevano un manico cortissimo (solo 40 cm) e una becca super solida di forma diritta, anche questa molto corta con 4 denti sulla punta molto inclinata (oltre 45 gradi) che funzionava molto bene in fase di aggancio; attrezzo però molto difficile da piantare dato l’angolo di infissione che procurava dolorose conseguenze per le dita ogni volta che andavano a  sbattere contro la parete. Con questi attrezzi MacInnes e soci salgono però nuove e difficilissime linee sul Ben Nevis e nel Glencoe, in Scozia.
Negli Stati Uniti anche l’alpinista e imprenditore Yvon Chouinard sviluppa nel 1969, nella sua allora piccola fabbrica in California, la prima coppia di attrezzi da ghiaccio: una piccozza con becca molto inclinata e un martello-piccozza, entrambi con lame intercambiabili e manico alleggerito. Strumenti che hanno portato ad una sostanziale evoluzione nella tecnica di progressione su ghiaccio, anche perché gli attrezzi scozzesi erano poco conosciuti e difficilmente reperibili fuori dai confini nazionali.
Nel 1975 nasce l’idea di invertire la curvatura della punta, negli Stati Uniti  con Forrest, in Francia con Simond che mette in commercio nel 1978 la piccozza “Chacal” con la lama a curvatura inversa detta “a banana” che in pratica si usa ancora oggi. La forma a banana, con dentatura completa fino al manico, aiutava moltissimo la penetrazione nel ghiaccio e allo stesso tempo consentiva un’ottima trazione. Sempre negli anni ’70 la Grivel e la Charlet Moser commercializzano le “dragonne” per collegare le piccozze ai polsi dell'arrampicatore; in pratica un utile accorgimento di sicurezza che limitava però moltissimo la libertà dei movimenti. Attualmente le dragonne non si usano più, preferendo collegare, per mezzo di sottili longe, le  piccozze all’imbracatura onde evitarne la perdita durante la scalata.
Dal punto di vista della normativa sui materiali, solamente nel 1978, vengono approvate da parte  della Commissione di Sicurezza dell’UIAA le norme riguardanti le piccozze che portarono all'adozione della lega leggera per la fabbricazione dei manici, al posto del tradizionale legno, già iniziata sia in Europa che negli USA.
 
 
 
 
fig. 9 piccozzze modulari con dragonnefig. 9 piccozzze modulari con dragonneAll’inizio degli anni ‘80 si affermano gli attrezzi modulari cioè con lame e martelli-palette intercambiali prodotti da Charlet Moser (fig.9), Grivel, Simond, Stubai e Lowe. Anche il concetto del tubolare o del semi-tubolare, utilizzato per i chiodi da ghiaccio, viene applicato sulle becche delle piccozze per la piolet-traction, idea che fa tuttora discutere entusiasti e detrattori. 
Altro balzo in avanti è l’introduzione del manico ricurvo sulle piccozze: la piccola fabbrica artigianale americana Ice, realizza nel 1982 “The Eboc”, una Terrordactyls con il manico piegato. Nel 1986 arriva sul mercato la “Rambo” della Grivel; il manico con curvatura accentuata e la lama molto sottile e performante consentono agganci efficaci anche su ghiaccio sottile e una maneggevolezza mai avuta prima. Sempre Grivel nel 1995 fa un altro balzo in avanti con la rivoluzionaria “Machine”, che presenta una marcata piega nel manico con un’inclinazione ottimale, sia per l’infissione della lama sia per l’impugnatura inclinata che fa risparmiare fatica.
Sono gli anni in cui l'arrampicata sulle cascate di ghiaccio diventa un'attività sempre più diffusa, con numerosissime prime salite e gradi di difficoltà sempre maggiori.  
Torniamo indietro nel tempo per raccontare  la concomitante evoluzione dei ramponi. Il loro sviluppo, ripreso dopo la seconda guerra mondiale, non puntò più all'alleggerimento degli attrezzi (attualmente la gran parte dei ramponi pesa di più rispetto al primo modello di super leggeri), quanto al suo miglioramento tecnico. Le prime innovazioni furono mirate alla realizzazione di ramponi regolabili che si potessero calzare su misure e modelli diversi  di scarponi e così nel 1962 la Salewa propose il primo rampone a regolazione totale.
Dal lato tecnico si cominciò però a sentire l'esigenza di attrezzi più adatti al ghiaccio duro e ripido che rappresentava la naturale evoluzione della ricerca alpinistica. Forse il primo a ideare e ad utilizzare dei ramponi rigidi che costituissero una piattaforma di appoggio più stabile e fossero più efficaci nel penetrare il ghiaccio duro fu ancora Yvon Chouinard; ne risultarono attrezzi molto efficaci ma assai fragili e pericolosi. 
fig. 10 ramponi Foot Fangsfig. 10 ramponi Foot Fangs
La vera trasformazione avviene solo con l'introduzione degli scarponi di plastica. Nel 1972 l’alpinista Jeff Lowe (1950-2018), fissò delle lame verticali dentate ai suoi scarponi da sci; erano nati i “Foot Fangs”, vera rivoluzione nel concetto di rampone: rigido, a struttura verticale, con aggancio automatico (fig. 10). Lowe ha effettuato oltre  mille prime ascensioni ed è anche stato cofondatore dell'azienda Lowe Alpine insieme ai suoi fratelli Greg e Mike.
Pochi anni prima la Stubai, per migliorare l'appoggio e l'equilibrio nella tecnica, orienta in avanti la seconda coppia di punte; di rilievo anche l'adozione della monopunta da parte della Charlet Moser e della Grivel (1986). I ramponi più diffusi fra i ghiacciatori di quel periodo sono i “Makalu” della Simond, progettati ancora da Walter Cecchinel.
fig. 11 ramponi modernifig. 11 ramponi moderniUn’ulteriore ed importante innovazione è infine rappresentata  dalla soletta anti-neve: un sistema utilissimo atto a impedire la formazione di uno zoccolo sotto al rampone, in caso di neve molle o crostosa, che può rendere inefficace la presa delle punte e creare pericolosi problemi di stabilità e sicurezza, aumentando conseguentemente il rischio di caduta (fig. 11). Nel 2003 la Grivel ha risolto definitivamente questo problema con l'anti-zoccolo proattivo che, grazie alla sua azione elastica, scarica la neve sfruttando il naturale movimento della camminata.
Ai giorni nostri i ramponi non sono più un oggetto polivalente adatto a tutte le situazioni, ma esistono modelli per i diversi settori di utilizzo; valga per tutti l'esempio di attrezzi specifici per il ghiaccio classico,  lo sci alpinismo, le cascate di ghiaccio e il dry tooling.
Anche chiodi e viti in questo intervallo di tempo vengono rivoluzionati dal punto di vista costruttivo e nelle caratteristiche tecniche. Nel decennio 1975-1985, compaiono alcuni “rivoluzionari” chiodi da ghiaccio tubolari a percussione e a vite con caratteristiche fra loro simili; il più valido fra questi era senza dubbio lo “Snarg” inventato dall’americano Jeff Lowe e commercializzato dalla Camp (fig. 12). 
Successivamente fanno la loro comparsa le prime viti tubolari russe al titanio, difficili da reperire e di costo spesso elevato e le Chouinard con le frese saldate. L’utilizzo di quesi ancoraggi era  però difficoltoso e assai rischioso perchè bisognava avvitarli con la becca della piccozza, rimanendo appesi all’altro attrezzo. Solo migliorando i sistemi di lavorazione e le finiture superficiali entrano nel mercato, alla fine degli anni ’80, viti da ghiaccio con fresa che si possono avvitare con una sola mano, agendo su una manovella fissata sulla testa dell’attrezzo (fig. 13).
fig. 12 chiodi Snargfig. 12 chiodi a percussione Snarg
 
fig. 13 viti tubolarifig. 13 viti tubolari attuali
 
fig. 14 piccozze fig. 14 piccozze attualiLa rugosità superficiale bassissima, unita alla cromatura interna ed esterna, hanno reso possibile la loro facile penetrazione nel ghiaccio, anche tra colonne, stalattiti e cavolfiori, consentendo così all’alpinista di proteggersi senza sprecare troppa energia.
L’ultima vera rivoluzione arriva negli anni ‘90 con il diffondersi del “dry tooling”, ovvero dell’arrampicata mista estrema, in cui le piccozze e i ramponi vengono utilizzati per arrampicare sulla roccia e raggiungere candele di ghiaccio sospese nel vuoto. 
L’innovazione negli attrezzi, anche in questo caso, ha preceduto e reso possibile un’evoluzione dell'arrampicata che ha spinto ancora più in alto il livello di difficoltà. 
Le piccozze di ultima generazione, con utilizzo del carbonio e di materiali sempre più leggeri, presentano oggi curvature più accentuate e impugnature molto piegate ed ergonomiche (fig. 14). Le viti da ghiaccio si avvitano ancora più velocemente e senza difficoltà con una mano sola, mentre i ramponi, in molti casi monopunta, consentono una migliore penetrazione nel ghiaccio e di ottenere la massima resa sulla roccia, perfino sugli appigli e sulle fessure più piccole. 
Dal 1786 ad oggi sono state salite le pareti, le goulotte, i couloir, gli hypercouloir, le cascate, le esili linee di ghiaccio effimero… cosa riserverà il domani?

 Immagine di copertina: Scozia, Ben Nevis Parete Nord Point Five Gully 

Venerdì, 17 Giugno 2022 18:12

SALENDO DAL MARE

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Per tutti gli amanti della storia del grande alpinismo d’avventura il CAI di Chivasso, in collaborazione con Camilla Calcagno e il patrocinio del Club Alpino Accademico Italiano e del Club dei 4000, propone una

MOSTRA FOTOGRAFICA dedicata a GIANNI CALCAGNO

il grande alpinista accademico scomparso nel 1992 sulla Cresta Cassin al Monte Denali in Alaska

La mostra rimarrà aperta dal 17 al 27 giugno a Chivasso, in Via Torino presso l’ex Chiesa degli Angeli

con il seguente orario: dal lunedì al venerdì dalle ore 18 alle 21,30, sabato e domenica dalle ore 10 alle 12 e dalle 16 alle 21,30

 

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Leggi qui una breve biografia di Gianni Calcagno

Mercoledì, 01 Giugno 2022 20:38

10° appuntamento delle conferenze-incontro con l’alpinismo del CLUB ALPINO ACCADEMICO ITALIANO, inserite nel percorso di "avvicinamento" (Progetto “Alpinismo accademico in Liguria”) al CONVEGNO NAZIONALE CAAI che si terrà a Genova il prossimo 8 ottobre.

CAAI locandina serata GHIGLIONE Finale L.1024 1

Ente promotore Regione Liguria Assessorato al Tempo Libero.

In collaborazione con il CAI di Finale Ligure,

venerdì 3 giugno, ore 21, presso il Teatro delle Udienze, piazza del Tribunale 11, a Finalborgo

videoproiezione con lo scalatore Gianni Ghiglione, alpinista accademico. Presenta la serata Fulvio Scotto presidente del CAAI Gruppo Occidentale.

“Trilogia di un incantesimo - Il tempo del sogno” è il titolo della serata, storia introspettiva dell’apertura di vie nuove in Corsica e Marocco.

Gianni Ghiglione è Istruttore Nazionale di alpinismo dal 1980 e Accademico del CAI dal 2000. Svolge attività alpinistica da molti anni, con l’apertura di numerose vie nuove. Ha effettuato anche prime ripetizioni e prime salite italiane, con oltre 200 ascensioni impegnative sulle grandi pareti delle Alpi, ed è stato anche compagno di cordata di Gianni Calcagno e Giancarlo Grassi.

Protagonista di alcune spedizioni extraeuropee, tra cui, nel 2004 la Spedizione CAAI al Kongur (7204 m) nel Pamir Cinese.

In questi ultimi anni si è dedicato in primo luogo all’esplorazione delle montagne di Corsica, con apertura di una dozzina di vie nuove, unico italiano, insieme ad alcuni compagni di cordata, ad effettuare attualmente un’esplorazione sistematica delle pareti di questa regione (vedi articolo su Annuario CAAI 2012-2013).

Ghiglione ha inoltre aperto vie nuove in Alto Atlante Marocchino, in Ala Daglar (Turchia) e nel Pamir Alai in Kirghizistan, tra cui citiamo la bella e difficile via “Mille papaveri rossi”.

Al termine della videoproiezione Gianni sarà lieto di dialogare con il pubblico.

Lunedì, 23 Maggio 2022 22:02

locand serata Giolitti Sestri 25 5 22

 

8° appuntamento delle conferenze-incontro con l’alpinismo del CLUB ALPINO ACCADEMICO ITALIANO,

inserite nel percorso di "avvicinamento" (Progetto “Alpinismo accademico in Liguria”) al CONVEGNO NAZIONALE CAAI che si terrà il giorno 8 ottobre a Genova.

In collaborazione con il CAI ULE Sestri e il Municipio VI Genova Medio Ponente.
Ente promotore Regione Liguria - Assessorato al Tempo Libero.
Mercoledi 25 maggio, ore 21
 
MERAVIGLIE  DI  GHIACCIO
Immagini e alpinismo di  ANSELMO  GIOLITTI
Genova, Sestri Ponente, Teatro San Giovanni Battista, via Domenico Oliva 5.
Mercoledì, 11 Maggio 2022 21:42

SPESSO L’AVVENTURA NON E’ COSI’ LONTANA, BASTA SOLO SAPERLA CERCARE E METTERSI IN GIOCO

di Ivan Maghella

Foto Ivan Maghella e Marco Gnaccarini

Per me il Monte Pastello in Val d’Adige (Monti Lessini) è stata una scoperta interessante dal punto di vista alpinistico, in quanto poco valorizzato e con grande potenziale di belle linee di roccia da tracciare.

Dopo una perlustrazione della zona e la ripetizione di due vie esistenti, mi sono reso conto che la possibilità di apertura di altri itinerari era possibile e soprattutto, su un terreno alpinistico d’avventura, insperato, visto la relativa vicinanza alla Val d’Adige dove moltissime vie sono state aperte negli anni da forti alpinisti.

La comodità di accesso alla parete ovest, il veloce rientro alla macchina e l’esposizione favorevole in estate mi hanno permesso di poter frequentare la parete più volte anche con poco tempo a disposizione.

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pdfRelazioni Monte Pastello

Relazioni Courtesy Rivista "Vertice"

La prima linea individuata è stata una sorpresa anche per me e Marco Gnaccarini, in quanto l’intenzione era di attaccare un pilastro di calcare grigio, ma abbiamo scoperto esserci già una via esistente; così, visto che eravamo già in ballo, ci siamo spostati più a destra per cercare una possibile linea di salita. Ci siamo trovati di fronte una bella fessura che sembrava continua su roccia calcarea grigio-rossa, così abbiamo attaccato la linea senza troppe pretese ma scoprendo che le difficoltà erano elevate già dai primi metri. L’intenzione è stata quella di aprire una bella via alpinistica, con mezzi tradizionali cercando la linea migliore.

Già dal primo tiro la via ha subito impegnato parecchio per la roccia un po’ friabile e le difficoltà che poi sono aumentate nel secondo tiro, una fessura rossa leggermente strapiombante di 40 metri su roccia a tratti delicata, ma proteggibile a friend che porta ad un bel terrazzino vista lago di Garda. Da qui la roccia migliora decisamente e un’altra bella fessura grigia apparentemente più facile ci ha impegnato nell’ultimo tratto, portandoci in sosta esausti ma soddisfatti. Qui decidiamo di scendere per tornare il giorno successivo a completare la via, tracciando gli ultimi due tiri composti da una difficile fessura strapiombante e poi un tiro finale più facile che porta al bosco sommitale.

Via PASTELLO CRACK

150 m di dislivello

Grado: VIII (VII A1 obbligato)

Parete Ovest, in ombra fino alle 14.00 in estate.

Aperta da Ivan Maghella e Marco Gnaccarini, in data 25 e 26/06/2020

Dopo la prima avventura su Pastello Crack, abbiamo proseguito l’esplorazione, scovando una serie molto logica di diedri e fessure che si prestavano ad una scalata “dolomitica”.

La via inizia sul primo tiro di Quaranta Galee, per poi spostarsi a sinistra fino a prendere diedri e fessure fino in cima.

Durante il giorno dell’apertura dal basso, abbiamo anche preso due temporali con grandine, ma diciamo che siamo andati avanti lo stesso, finendo l’apertura di questa bella via, mai banale ed impegnativa soprattutto nella terza lunghezza a causa della roccia delicata e delle difficoltà. I tiri successivi si sviluppano su roccia ottima con difficoltà mai banali di VII° da proteggere con scalata entusiasmante.

          Pastello Crack - Secondo tiro

 

          Pastello Crack - Terzo tiro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Via BASTA CREDERCI

220 m di dislivello

Grado: VIII (VII A1 obbligato)

Parete Ovest, in ombra fino alle 14.00 in estate.

Aperta da Ivan Maghella e Marco Gnaccarini, dal basso, in data 11/07/2020

Dopo le prime avventure aprendo le vie Pastello Crack e Basta Crederci, abbiamo proseguito l’esplorazione, di alcune linee logiche che secondo noi potevano essere scalate. La ricerca ci ha portato a trovare questa bella serie continua di diedri e fessure, sempre con caratteristiche alpinistiche ma più facile, massimo fino al VII° in un solo tiro.

          Basta crederci - Terzo tiro

          Basta crederci - Quarto tiro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

          Basta crederci - Quinto tiro

 

          Basta crederci - Sesto tiro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Via GIOCHI ESTIVI

160 m di dislivello

Grado: VII (VI+ obbligato) R2

Parete Ovest, in ombra fino alle 14.00 in estate.

Aperta da Ivan Maghella e Marco Gnaccarini, in data 26/06/2021

Questa ultima ulteriore via è nata in modo diverso dalle altre, infatti abbiamo deciso di utilizzare solo fix, in modo da renderla sportiva, con spittatura ravvicinata sui passi difficili e il più lineare possibile per poter scendere accedendo dall’alto in modo comodo con poche doppie.

La via si sviluppa inizialmente su fessura strapiombante e poi per placche grigie verticali e strapiombanti che portano ad un bellissimo diedro finale.

          Giochi estivi - Primo tiro

          Giochi estivi - Secondo tiro

 

          Giochi estivi - Quarto tiro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

          Giochi estivi - Quinto tiro

Via COMETE

170 m di dislivello

Grado: 7b+ (6b+ obbligato) S2

Parete Ovest, in ombra fino alle 14.00 in estate.

Aperta da Marco Gnaccarini e Ivan Maghella, in varie giornate nell’estate 2021.

Le soste sono state attrezzate a fix per poter dare sicurezza nelle ripetizioni ed eventuali calate.

Tutte le salite citate, meriterebbero di diventare delle classiche paragonabili alle vie della Valle del Sarca.

          Comete - Primo tiro

 

          Comete - Terzo tiro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mercoledì, 11 Maggio 2022 17:56

serata CAAI 12 5 2022

  

7° appuntamento con il CLUB ALPINO ACCADEMICO ITALIANO nel percorso di approccio al CONVEGNO NAZIONALE CAAI che si terrà sabato 8 ottobre a Genova.

Nell'ambito del Progetto "Alpinismo Accademico in Liguria", Ente promotore Regione Liguria Assessorato al Tempo Libero, in collaborazione con la GIOVANE MONTAGNA Sezione di Genova,

giovedì 12 maggio ore 21

MONTE BIANCO

Immagini e alpinismo di LUCIANO PEIRANO 

Genova, Palazzo Ducale, Sala della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche (primo piano ammezzato ala Est). Ingresso libero.

 

Luciano Peirano, uno dei sette alpinisti liguri che fanno attualmente parte del Club Alpino Accademico, ci accompagnerà con spettacolari immagini e il suo racconto su alcune delle più grandi vie di scalata del Monte Bianco.

Presenta la serata Fulvio Scotto, Presidente del CAAI Gruppo Occidentale.

 

 

 

Prossimi appuntamenti:

-  25 maggio - MERAVIGLIE DI GHIACCIO, SCALATE SULLE CASCATE PIU' BELLE DELLE ALPI - dell'accademico ANSELMO GIOLITTI - Genova Sestri Ponente

- 26 maggio - Riprese di Mario Fantin per Italia K2 - Savona

-  fine maggio (giorno da stabilire)- TRILOGIA DI UN INCANTESIMO - dell'accademico GIANNI GHIGLIONE - a cura del CAI di Finale, a Finale Ligure (SV)

Giovedì, 07 Aprile 2022 20:40

LE VIE DEI FIORENTINI (dal 1961 al 1977)

Sei vie aperte da alpinisti fiorentini, tra i quali diversi Accademici, verranno raccontate dai protagonisti in una serata organizzata dal CAI Firenze e dal CAAI a Villa del Poggio Imperiale il 21 aprile 2022.

Dopo la presentazione del libro "Una storia dell'alpinismo fiorentino" seguirà un audiovisivo sulle vie, commentato dai protagonisti. 

Per partecipare è necessario iscriversi perchè i posti sono limitati, come indicato nella locandina.

 

Proiezione FIRENZE 1

 

Proiezione FIRENZE 2

Giovedì, 07 Aprile 2022 19:00

BALCONATA GIUSTO GERVASUTTI al MONTE dei CAPPUCCINI a TORINO

cerimonia targa GERVASUTTI

 

Giovedi 7 aprile ore 11.00, a Torino si è svolto un evento importante e significativo per l’intero mondo dell’alpinismo. Si tratta dello scoprimento della Targa a Giusto Gervasutti  a cui viene così, ufficialmente e formalmente, intitolata la Balconata del  Piazzale al Monte dei Cappuccini, su cui si affaccia il Museo della Montagna. Un autentico balcone sulla cerchia alpina, sito che, più di ogni altro, riveste un'importanza simbolica nella visione del grande alpinista.

È un'iniziativa per la quale il Gruppo Occidentale del CAAI ha dato il suo attivo contributo: l’intitolazione di un sito importante per la Città di Torino a Giusto Gervasutti, grande alpinista e accademico, la cui figura non ha certo bisogno di presentazione.

Gervasutti rappresenta ancora oggi un simbolo per una interpretazione dell’alpinismo a cui, nonostante l’evoluzione e le trasformazioni dei tempi, non si può non guardare con grande ammirazione e farvi riferimento.

Alla cerimonia  hanno assicurato la loro presenza il Sindaco Stefano Lo Russo, la Presidente del Consiglio Comunale Maria Grazia Grippo ed altre autorità cittadine e delle istituzioni legate al mondo della montagna.

Chi era GIUSTO GERVASUTTI

 La cerimonia del 7 aprile 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Venerdì, 01 Aprile 2022 14:58

Quinto appuntamento con il CLUB ALPINO ACCADEMICO ITALIANO, (lunedì 4 aprile 2022 ore 21 a Cogoleto, GE, Auditorium Berellini), nel percorso di avvicinamento al Convegno Nazionale CAAI che si terrà a Genova il prossimo ottobre.

2772961Protagonista della serata è ANDREA MELLANO, uno dei più rappresentativi alpinisti italiani del dopoguerra che ha saputo interpretare e vivere in prima persona l’evoluzione dell’alpinismo. Iniziando a scalare sulle pareti di roccia piemontesi, Mellano ha praticato un alpinismo di esplorazione e ricerca di vie nuove sulle grandi montagne occidentali.

Prima salita dello Sperone Young sulla parete nord delle Grandes Jorasses,

Prima salita della parete nord-est del Pilier a Tre Punte al Mont Blanc de Tacul e poi la prima salita dello sperone ovest dei Petits Charmoz.

Nel Gruppo del Monte Rosa, prima salita dello sperone nord-est della Roccia Nera, una prima ascensione di misto, ghiaccio e roccia, in uno dei più imponenti bacini glaciali delle Alpi, mentre nel Gruppo del Gran Paradiso lascia la firma aggiudicandosi nel 1960 la prima ascensione dello spigolo ovest del Becco di Valsoera, una bellissima via di pura roccia che costituisce ancora oggi una molto apprezzata classica del massiccio.

Tra i suoi più assidui compagni di cordata ricordiamo l’accademico genovese Enrico Cavalieri e l’accademico, nonché Ragno di Lecco, Romano Perego. Proprio con quest’ultimo Mellano, tra il 1961 e il 1963, scalò le tre grandi pareti nord delle Alpi: Eiger, Cervino e Grandes Jorasses, primi italiani ad aggiudicarsi questa prestigiosa triade di grandi ascensioni. Mellano ha inoltre frequentato le più famose pareti dolomitiche, come appare nella foto della locandina, scattata sulla via Cassin alla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo. Nel 1961 per le sue importanti realizzazioni Mellano sarà ammesso al CAAI e nella sua attività non mancheranno, negli anni successivi, anche spedizioni in giro per il mondo.

 

 

 

ANDREA MELLANO CopiaInfine, con grande intuizione ed in linea con i cambiamenti in divenire nel mondo della scalata, fu l’ideatore e l’organizzatore, insieme a Emanuele Casarà, delle prime gare di Arrampicata Sportiva in Italia. La manifestazione, novità assoluta e clamorosa (patrocinata da vari enti, fra cui il Gruppo Occidentale del CAAI) ebbe luogo in Valle Stretta presso Bardonecchia nel luglio 1985. Fu inoltre lui a creare la FASI, la Federazione di Arrampicata Sportiva Italiana e a ricoprire per alcuni anni il ruolo di Presidente.

Un’attività quindi, quella di Andrea Mellano, che attraverso mezzo secolo di montagna, ha saputo attraversare le diverse fasi della recente storia dell’alpinismo e della scalata, sempre con una visione all’avanguardia e in linea con i tempi.

Tutto questo Andrea Mellano ce lo racconterà nella sua serata, lunedì prossimo 4 aprile a Cogoleto.

Interverrà alla conferenza anche il Presidente Generale del Club Alpino Accademico, Mauro Penasa, e Fulvio Scotto Presidente del Gruppo Occidentale.

Si ringraziano per il patrocinio Regione Liguria e la Sezione CAI Arenzano che organizza la serata presso l’Auditorium Berellini (ore 21) a Cogoleto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Prossimi appuntamenti:

12 maggio - MONTE BIANCO, SULLE TRACCE DEI GRANDI - dell'accademico LUCIANO PEIRANO - a cura della GIOVANE MONTAGNA (GE), a Genova (Palazzo Ducale)

25 maggio - MERAVIGLIE DI GHIACCIO, SCALATE SULLE CASCATE PIU' BELLE DELLE ALPI - dell'accademico ANSELMO GIOLITTI - Genova Sestri Ponente

Maggio (data da stabilire)- TRILOGIA DI UN INCANTESIMO - dell'accademico GIANNI GHIGLIONE - a cura del CAI di Finale, a Finale Ligure (SV)

Sabato, 26 Marzo 2022 21:48

Nel percorso di "avvicinamento" al Convegno Nazionale CAAI dell'8 ottobre a Genova, il Gruppo Occidentale con il contributo di Regione Liguria ha organizzato una serie di conferenze-incontri rivolti al pubblico degli appassionati di montagna e alpinismo in Liguria, con lo scopo di diffondere la cultura dell’Alpinismo e far conoscere il Club Alpino Accademico.

ANTARTICA 2020

 

Foto 6 locandina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

275664155 4825658930815284 3235240211431295866 n

>  8 – 24 marzo 2022 Mostra fotografica “ANTARCTICA 2020” a Genova, Galata Museo del Mare

> 17 marzo - LE TRE PARETI NORD DELLE ALPI a Cogoleto (GE)

                     Grazie a Regione Liguria, Comune di Cogoleto, CAI Arenzano, Gruppo Geki, Comune di Genova

> 22 marzo - IMMENSO BLU (film sulla spedizione in Antartide degli accademici Gian Luca Cavalli, Manrico dell'Agnola e Marcello Sanguineti nel 2020) a Genova c/o Cinema Sivori ore 21

> 29 marzo - FEDERICA MINGOLLA - LA MIA VITA IN VERTICALE, DA SCALATRICE INDOOR AD ALPINISTA E GUIDA ALPINA - a cura del CAI Bolzaneto, c/o il Cabannun di Campomorone (GE)

> 4 aprile - ANDREA MELLANO - Dalla Rocca Sbarua alle grandi pareti nord delle Alpi, dall'alpinismo esplorativo extraeuropeo alla svolta degli anni '70-'80, il Nuovo Mattino e la rivoluzione dell'arrampicata sportiva                      - a Cogoleto (GE)

> 12 maggio - MONTE BIANCO, SULLE TRACCE DEI GRANDI - dell'accademico LUCIANO PEIRANO - a cura della GIOVANE MONTAGNA (GE), a Genova (Palazzo Ducale)

25 maggio - MERAVIGLIE DI GHIACCIO, SCALATE SULLE CASCATE PIU' BELLE DELLE ALPI - dell'accademico ANSELMO GIOLITTI - Genova Sestri Ponente

Maggio, data da stabilire - TRILOGIA DI UN INCANTESIMO - dell'accademico GIANNI GHIGLIONE - a cura del CAI di Finale, a Finale Ligure (SV)

...ed altri appuntamenti ancora in via di definizione.

a cura di Alberto Rampini

FOTO 5

 

Locandina MINGOLLA

 

 

 

Venerdì, 11 Marzo 2022 13:58

MEMORIE STORICHE a cura di Alberto Rampini

Via Castiglioni-Gilberti alla Ovest della Cima Busazza - Prima invernale 29-30-31 dicembre 1975

Quando le “invernali” si facevano in pieno inverno

Torre Trieste e Busazza Inverno 75Torre Trieste e Busazza Inverno 75

 

Versante ovest BusazzaVersante ovest Busazza

Riscopriamo un articolo pubblicato nel 1976 dalla Rivista della Sezione Ligure del CAI  leggi qui l'articolo

Giovanni Costa, genovese, il roveretano Sergio Martini e i trentini Marcello Rossi e Franco Gadotti, tutti poco più che ventenni, concepiscono l’idea di salire d’inverno la Castiglioni-Gilberti alla Cima Busazza, una delle grandi vie dell’era del sesto grado non ancora percorsa in invernale.

Attacco via Gilberti CastiglioniAttacco via Gilberti Castiglioni

Franco GadottiFranco Gadotti

Giovanni CostaGiovanni Costa

 

Pendii inizialiSui pendii iniziali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta di un itinerario emblematico dell’arrampicata libera pura, non estrema ma lunga, continua, su roccia di qualità varia e con uso limitatissimo di chiodi. Venti tiri di corda per un dislivello di circa 1000 metri.

Venne aperta con due bivacchi nell’agosto del 1931 dal roveretano Celso Gilberti e dal milanese Ettore Castiglioni, entrambi Accademici del CAI ed entrambi poco più che ventenni.

Colpisce la giovane età dei primi salitori e quella dei ripetitori invernali, in linea peraltro con una realtà storica oggi profondamente mutata.

 

Uno dei protagonisti, Sergio Martini, ricorda quell'avventura di 46 anni fa

Martini Sergio Martini

 

Chiunque abbia vissuto a lungo la montagna, ha sicuramente avuto dei momenti in cui hanno prevalso determinati interessi su altri. Gli anni 70, per me, sono stati particolarmente significativi per l'attenzione che ho dedicato alle salite invernali. Per ragioni di vicinanza, le Dolomiti sono state le montagne che ho percorso con maggior frequenza e poterle visitare anche in inverno è stata una scoperta affascinante e pienamente coinvolgente per l'epoca. Forse un preludio per quello che sarà in seguito il mio interesse per le grandi montagne asiatiche.

La Busazza invernale, raccontata con magistrale bravura da Giovanni Costa, mi ha dato modo di rivivere con profonda emozione e con un pizzico di nostalgia quelle fantastiche giornate. Un racconto a me sconosciuto fino ad ora. Grazie a Francesco Leardi per averlo riproposto.

Si ringrazia Sergio Martini per le foto d'epoca

 

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Da sinistra Martini Franco Gadotti Marcello Rossi Giovanni CostaDa sinistra Martini, Gadotti, Rossi, Costa

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Lunedì, 21 Febbraio 2022 10:21

orco 118LA SPESA ENERGETICA NELL’ARRAMPICATA

Oltre la legge di Sarrus-Rameau in uno studio di Piero Villaggio

Piero Villaggio, oltre a svolgere un’intensa attività alpinistica di carattere accademico, si è impegnato professionalmente ai massimi livelli come ricercatore e docente presso l’Università di Pisa dove ha insegnato lungamente Scienza delle costruzioni e tenuto corsi di Equazioni differenziali della Fisica matematica e Meccanica dei Continui.

Proponiamo un suo studio che cerca di porre le basi per un calcolo scientifico del dispendio energetico nell’arrampicata.

pdfLeggi qui l'articolo

Partendo dalla teoria “pendolare” della deambulazione, sviluppata dalla biomeccanica già agli inizi dell’ottocento, Villaggio avanza una serie di ipotesi che, anche applicando la Regola di Sarrus, porterebbero a poter misurare lavoro dinamico e sforzo statico delle varie fasi dell’arrampicata.

Al di là di ogni possibile considerazione in ordine alla verosimiglianza e, perché no?, all’utilità stessa dei risultati ipotizzati, rimane sicuramente l’apprezzamento per lo sforzo di analisi effettuato e la proposizione di un metodo scientifico per approcciare un problema che all’apparenza sfugge ad ogni razionalizzazione sistematica.

Piero Villaggio, già socio del Gruppo Orientale, ci ha lasciati nel 2014.

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