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Club Alpino Accademico Italiano
Lunedì, 07 Marzo 2016 20:34

Questa nostra avventura inizia il 16 Agosto, quando arriviamo a Delhi e pochi giorni più tardi, il 21 Agosto, raggiungiamo il nostro campo base, chiamato Nandanban a circa 4400 metri, luogo idilliaco immerso nel verde dei prati, tra ruscelli di acqua chiarissima e con una stupenda visuale su Kedarnath, 6940m e Shivling, 6543m.

Ci avevano detto che quest’anno il monsone era debole, ed infatti il tempo è fin da subito abbastanza buono, e le montagne sono in condizioni piuttosto secche: i primi due giorni la coda del monsone ci porta ancora umidità, nebbia e pioggia pomeridiana, poi il tempo si fa man mano più bello e caldo.

Iniziamo fin da subito a trasportare il materiale al nostro campo base avanzato, posto ad una quota di circa 5000 metri, proprio nel mezzo di questa gigantesca “conca” formata dai Bhagirathi.
Il nostro obiettivo è quello di aprire una via nuova, in arrampicata libera, sulla ancora inviolata parete Ovest del Bhagirathi 4 (6193m).
Guardando il gruppo dei Bhagirathi, a mio parete la montagna più bella ed accattivante è il Bhagirathi 3, con il suo caratteristico, misterioso e tetro anfiteatro, sbarrato in cima dalla fascia nera di scisto.
Il Bhagirathi 4 si trova in secondo piano rispetto al 3 e a prima vista sembra più piccolo e più “addomesticabile”, anche se nonostante numerosi tentativi, nessuno è ancora riuscito a salirlo! (dalla parete Ovest)
Tuttavia, per qualche strano effetto ottico l’apparenza non rispecchia la realtà…

Bhagirathi 4 line

 

Il 26 di Agosto io e Luca ci avviciniamo alla nostra parete per la prima volta, con lo scopo di portare la portaledge e altro materiale fino alla base e studiare la linea che intenderemo attaccare; Giga soffre di forte mal di gola e febbre e ci attende al campo base.
Man mano che risaliamo faticosamente lo zoccolo che porta verso la parete, ci accorgiamo che questo muro è in realtà molto più ripido di quanto ci aspettassimo, pensiamo sarà molto molto dura salire dalla linea che avevamo immaginato a tavolino in centro alla parete. Dopo i primi 200 metri verticali o leggermente appoggiati, l’inclinazione della parete cambia drasticamente e tutto diventa strapiombante per circa 500 metri fino alla fascia finale di scisto al di sotto della cima.
Tra tutte le pareti che ho visto in vita mia, mi torna subito alla mente l’immagine della mitica parete di El Capitan. Queste due pareti sono così simili, forse la cosa che le rende più simili è lo spigolo, che sporge verso l’esterno proprio come il famigerato “nose” del Capitan e divide la parete in due lati.
Ma ci saranno anche qui le fessure che ci sono sul Capitan??
L’unico modo per saperlo è provare a salire.

Dopo essere ridiscesi al campo base ed aver riposato per bene, siamo pronti per il primo vero tentativo; nel frattempo anche Giga è guarito e sarà dei nostri.
Abbiamo raggiunto il campo base da meno di 10 giorni e il nostro stato di acclimatamento non è ancora ottimale; tuttavia siamo alla base della nostra linea dei sogni e proprio Giga apre le danze.
Dopo un primo tiro di riscaldamento, la fessura nel diedro scompare e subito le difficoltà si alzano.
Non senza fatica ci dirigiamo verso sinistra e nel primo pomeriggio riusciamo a vedere bene la parte centrale della via.
I presagi non sono per niente buoni: per accedere al grande diedro, c’è una sezione leggermente strapiombante di una cinquantina di metri, senza nessuna struttura evidente, solo qualche lama staccata qua e là in mezzo alla parete liscia. Ed inoltre con l’arrivo del sole la temperatura si sta alzando e diverse pietre stanno iniziando a cadere un po’ dappertutto, anche intorno a noi. Sapevamo che questa era una parete esposta alle scariche e che questo apparentemente è stato il motivo che ha fatto fallire molti dei tentativi precedenti, ed eravamo pronti ad accettare questo rischio, tuttavia quando ti trovi in mezzo, beh, non è mai proprio piacevole! Anche se i sassi cadevano solo sulla prima parte di parete perché più in alto, grazie alla sua natura strapiombante, il grande diedro restava riparato.

Tuttavia, capiamo che questa linea è troppo difficile per il nostro stile di salita. L’idea è sempre stata quella di scalare in libera e non siamo attrezzati (e nemmeno capaci) per fare artificiale difficile e scalare in libera su quel terreno è al di sopra delle nostre capacità. (Il nostro obiettivo era anche quello di non piazzare spit, sebbene ne avessimo con noi una decina in caso di emergenza)
La sera stessa attrezziamo le doppie e scendiamo, sotto una rada pioggia di sassi, per lo più di piccole dimensioni, che cadono dalla cima, terminiamo la discesa a notte fonda, stanchi, ma illesi e sempre più acclimatati.

Ed ora che si fa?!?

Chi mi conosce e ci conosce, sa che non siamo i tipi che abbandonano così facilmente…
Il nostro ragionamento è il seguente: “dato che la linea che avevamo pensato di salire, si è rivelata troppo strapiombante e liscia per essere scalata in libera, se proviamo a salire più a destra, dove la parete sembra più appoggiata, dovremmo trovare quello che stavamo cercando: un terreno sempre difficile, ma salibile”.

Una manciata di giorni dopo, siamo di nuovo pronti per un altro tentativo, partiamo 50 metri più in basso e più a destra della volta prima. Purtroppo per questo tentativo, su 3 settimane di tempo stabile e bello, riusciamo a beccare l’unico giorno di tempo pessimo. La temperatura fin dal mattino è particolarmente rigida, ma pensiamo che col tempo possa migliorare; dopo il primo tiro però inizia ad alzarsi un forte vento, dopo il secondo tiro il cielo si copre e alla fine del terzo tiro inizia a nevicare!
Non sapendo come potrebbe essere il tempo nei giorni successivi pensiamo che non ha molto senso mettersi a bivaccare in portaledge dopo nemmeno 100 metri e quindi decidiamo di scendere per ritentare in seguito.

Una volta tornati al campo base il tempo è perfetto e questa volta, nonostante ci fosse stato espressamente vietato, decidiamo di usare di nascosto il nostro telefono satellitare per chiedere al fido Deza le previsioni del tempo. Le notizie sono ottime: alta pressione con tempo bello, stabile e caldo (relativamente caldo…) per almeno 5 giorni.

Dopo solo un giorno di riposo partiamo ancora per quello che pensiamo possa essere l’assalto decisivo.

Il 12 Settembre iniziamo a scalare e questa volta i presagi sembrano essere ottimi. Luca scala da primo per tutta la prima giornata, fino al nevaio prima della seconda parte di parete. La sua progressione è liscia ed efficace, nonostante ancora una volta ci sembra di scalare in un freezer. Quando arriva il sole anche le difficoltà si alzano e un difficile tiro di placca, nel perfetto stile #lucaschiera ci porta all’inizio del nevaio.
Decidiamo di montare la portaledge al termine superiore del nevaio, contro la parete per evitare le scariche di sassi, che nel frattempo sono cominciate a cadere.

Ci svegliamo con le prime luci e dopo aver ri-impacchetato tutto è il mio turno ad andare da primo. La temperature è ben al di sotto dello zero e sono piuttosto intimorito all’idea di scalare con questo freddo. Infatti dopo circa un paio di metri, piedi e mani sono già insensibili, la circolazione dei piedi è completamente bloccata nonostante le scarpette relativamente larghe e i calzettoni.
Per lo meno la scalata è decisamente nel mio stile: un diedro fessurato, da salire per lo più con incastri e spaccate, è un tipo di arrampicata che so di poter fare anche con roccia bagnata o mani e piedi insensibili. Tuttavia quella che con temperature accettabili sarebbe stata una divertente scalata ora si trasforma in dolore e sofferenza, ma pian piano riesco a procedere in bello stile a un buon ritmo nonostante siamo ormai intorno ai 5700-5800 metri.

5 Matteo Della Bordella assicurato da Matteo De Zaiacomo in apertura foto L. Schiera

                                                                           Matteo della Bordella in apertura assicurato da Matteo De Zaiacomo

 

Il diedro si fa sempre più ripido e la scalata si mantiene su difficoltà costanti. A un certo punto abbiamo una grande decisione da prendere: possiamo scegliere di continuare a salire dritti nel diedro ed arrivare quindi nel punto in cui lo scisto è più lungo, ma apparentemente rotto e facile, oppure prendere un ripido sistema di fessure e diedri che taglia tutta la parete verso sinistra e che porta dove la sezione di scisto ci sembra molto breve, anche se ripida.
Pensando che se andassimo a sinistra una eventuale ritirata sarebbe molto difficile per via della portaldege e dei sacchi pesanti, decidiamo di proseguire dritti, come prevedeva il nostro piano originario.

Purtroppo nell’ultima parte del diedro, il ghiaccio e la fatica mi obbligano ad abbandonare il sogno di una completa salita in libera a vista ed a ricorrere all’artificiale.

Arriviamo prima del tramonto a montare la portaledge, prima della fascia nera di scisto.

Come il sole abbandona la parete la temperatura precipita ed è solo infilandoci nella portaldge coperta dal telo che riusciamo a riposare, certo non si sta proprio comodi quando si è in 3 in una portaldge da due persone, ma ci sia arrangia…
Dovremmo essere circa a 5900 metri, più o meno a 200-250 dalla cima. Tra noi e la vetta solo la fascia di scisto nera, la grande incognita di questa montagna.

La mattina successiva è ancora più fredda della precedente, siamo più in alto e più esposti al vento, in pochi secondi le mie mani sono completamente congelate e fatico a muovere e a fare forza per smontare i pali della portaledge ed impacchettare il resto del materiale; ci impiegheremo quasi 3 ore per sistemare tutto.
Luca prende il comando, ma questa volta è decisamente troppo freddo per provare ad arrampicare e dopo qualche tentativo decidiamo di aspettare il sole. Arriva il sole e proviamo a salire sullo scisto nero marcio, prima verso destra, poi a sinistra ed infine dritti.
Non c’è modo di andare avanti, la roccia è inconsistente e si sfoglia al tattoo e, sfortunatamente, come sempre su questa parete, tutto è molto più ripido di quello che pensavamo!
Proviamo e riproviamo e valutiamo ogni possibile maniera di salire: consideriamo l’opzione di calarci in diagonale nel couloir tra il Bhagirathi 4 e il 3, ma purtroppo quest’ultimo è troppo a destra perché possiamo raggiungerlo.
Dopo qualche ora arriviamo alla conclusione che provare a salire su quel marciume sarebbe davvero troppo rischioso, a 6000 metri su una parete del genere, in un posto del genere, non si può sbagliare.

La decisione questa volta è dura da prendere e da digerire. Arrivare così vicini alla fine, dopo aver aperto 700 metri di parete, in ottimo stile e scalando bene e ritirarsi perché la roccia marcia ci impedisce di passare è come una beffa, non è facile da accettare.
Solitamente non rinuncio senza prima giocarmi ogni disperata carta che ho in mano, e se c’è da rischiare non mi tiro indietro, ma questa volta purtroppo è diverso, è tutto più difficile: il freddo, la fatica e soprattutto la roccia marcia che rende impossibile proteggersi e si rompe in mano, purtroppo non me la sento di prendere in mano la situazione e provare a salire comunque e così dopo una lunga “lotta interiore” mando giù la decisione presa di scendere.

Una volta giunti al campo base e dopo aver analizzato a mente lucida la situazione penso che alla fine la decisione presa è stata saggia. Non ho nulla da rimproverare a me ed ai miei compagni: abbiamo scalato bene, in due giorni e mezzo abbiamo fatto molta strada.

E’ un po’ come una partita di calcio in cui giochi bene, tieni in mano la partita, segni un goal e cerchi di amministrare fino alla fine, e poi all’ottantacinquesimo, con un contropiede gli avversari pareggiano e subito dopo, nei minuti di recupero, ti segnano il gol del 2-1. Un po’ tipo quell’Italia- Francia, finale degli Europei del 2000, vi ricordate?

Il bello dell’alpinismo e del nostro modo di fare alpinismo è che c’è sempre la possibilità di fallire.

Nei giorni successivi abbiamo intenzione di fare un altro tentativo su questa parete, seguendo un’altra possibile linea. Purtroppo non ne avremo l’occasione.
I giorni successive le temperature si abbassano e si mette e a nevicare, inoltre anche il mio fisico dopo 4 settimane di sforzi con carichi pesanti, mi chiede di fermarmi, facendomi uscire un fastidioso dolore all’inguine che non mi permette di camminare in salita.
Il bello di tentare obiettivo difficili è anche che spesso le chance che hai sono davvero contate.

Non so ancora se questo per noi sarà un addio o un arrivederci, sicuramente questa parete un po’ di amaro in bocca ce l’ha lasciato e la voglia di riuscire per primi a salirla con una bella via in bello stile è molto alta…Senza dubbio ancora una volta è stata una sconfitta della quale conservo un ricordo più bello rispetto a tanti altri successi.

Matteo Della Bordella – Ragni di Lecco, C.A.A.I.

Mercoledì, 02 Marzo 2016 22:47

La discussioni sui rapporti tra Accademico ed alpinismo professionistico hanno considetaro, tra gli altri, il caso dei soci del Club che hanno deciso, ad una certa svolta della loro carriera alpinistica, di diventare Guida. Ciò avvenne per la prima volta con Emilio Comici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il 1931 concluderà il periodo "accademico" di Emilio Comici. Ci sarà la magnifica "direttissima" italiana alla Nord Ovest del Civetta, altre nove "prime", ci sarà quello spostarsi in vari gruppi - Giulie Occidentali e Orientali, Pale di San Lucano, Civetta, Canon delle Meraviglie, in Istria, Cadini di Misurina, Lavaredo, Delfinato, Carniche - tipico della mentalità accademica, che verrà poi in parte a mancare.

SPIRO DALLA PORTA XIDIAS

Domenica, 28 Febbraio 2016 19:48

 

Maurizio Oviglia del Gruppo Occidentale e Rolando Larcher del Gruppo Orientale assieme a Luca Giupponi aprono "El lobo del desierto", una nuova via sulle torri che dominano Monterrey.

470m con difficoltà sino al 7c e 7a+ obbligatorio con lo stile di apertura che contraddistingue gli apritori:dal basso in libera con chiodatura da cliff e obbligatorio elevato.

Il racconto dellla salita su Planetmountain: http://www.planetmountain.com/News/shownews1.lasso?l=1&keyid=43480

 

 

FOTO VIA LARCHER MEXICO

by R. Larcher

 

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Luca Giupponi e Rolando Larcher durante la rotpunkt

 

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Lunedì, 22 Febbraio 2016 21:37

 

Non so spiegare bene il motivo per cui mi sia innamorato dell’Ossola e delle sue valli ripide e selvagge, con pareti rade e spesso lontane dai fondovalle di roccia spesso non da cinque stelle.

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Quello che so è che è successo e questa forte attrazione mi ha spinto 11 anni fà a trasfermici. Tutti noi alpinisti passiamo fasi nella vita, ognuno con i propri ritmi dettati da famiglia/e, lavoro, ispirazione, energia e casi che ti portano a fare cose che mai avresti detto. Da qualche anno mi ritrovo a praticare un alpinismo di scoperta e riscoperta e il territorio ossolano ben si presta a questa filosofia. Tante sono le pareti dimenticate, figuriamoci gli itinerari. Vie aperte e mai o pochissimo ripetute danno, per lo meno a me personalmente, uno stimolo per ravanate epiche come fossero delle prime.

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Il libro scritto insieme ad Alberto Paleari, Guida Alpina che non necessita di presentazioni, e del nostro collega Accademico e arrampicatore di classe Andrea Bocchiola, è stata una scusa in più per andare a scoprire vie, luoghi, pareti, pieghe tra le rocce nel profondo. Nel profondo della loro morfologia concreta ma anche della loro storia, degli aneddoti di chi era passato prima. E’ stato un viaggio appassionante per tutti e tre che chissà possa aver fatto viaggiare con la mente ed i pensieri e qualche sogno anche qualche romantico lettore. L’aspetto a mio avviso più bello di questa filosofia alpinistica è quella di non stancarsi mai di frequentare gli stessi luoghi e le stesse pareti. Passato il periodo della conquista delle grandi classiche nelle Alpi, della ricerca continua di nuove montagne su itinerari di prestigio, del raggiungimento obbligatorio della vetta, oggi godo nel frequentare una via di fianco a quella già percorsa in cui notai una vecchia sosta e a scoprirne gli autori, a rifrequentare una stessa via già percorsa in un’altra stagione, con nuovi compagni. Lo zaino non pesa, la sveglia del mattino non è più un sacrificio, la soddisfazione è massima anche senza nessuna vetta.

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Più difficile trascinare invece compagni in queste avventure tipicamente personali. Sono felice di aver contagiato un po’ di selvaggia Ossola nel nostro Marcello Sanguineti. Potrei scrivere un altro libro sulle ultime avventure, vorrei ora accennare all’ultima vissuta in questo tristemente anomalo inverno in cui sembrava che l’autunno mai volesse lasciare il posto all’inverno.

Non ero certo che fosse già stata effettuata la prima invernale alla via in oggetto, quello di cui ero certo era che avremmo vissuto una bellissima avventura in uno tra gli ambienti più bella delle sette valli ossolane. La carenza di informazioni è in stile all’ambiente. La via, pur non essendo difficile, ha pochissime ripetizioni e pensai a quella quando nel vociare alpinistico si parlava di sfruttare il momento caldo per tentare delle prime invernali. Marcello coinvolse marco Bagliani e così ci trovammo nella cordata perfetta da tre, ideale per dividere i carichi. Non ho grandi aneddoti da raccontare perché tutto andò liscio. L’avvicinamento al bivacco, salvo gli ultimi cento metri nella neve accumulata ed inconsistente che ci hanno impegnato molto, l’avvicinamento alla parete, la salita dello zoccolo con gli scarponi, la parete sommitale in scarpette e la guglia finale, la discesa e il rientro, tutto è andato liscio come in un team affiatato, che sa cosa deve fare. Il diedro rosso del terzultimo tiro sotto ad un cielo blu quasi finto, la vista su venti quattromila dalla guglia sommitale, l’esperienza della prima invernale che, per quanto agevolata, è sempre invernale e, per giunta a 3300 metri. Insomma, ancora una volta in Ossola ho trovato quello che cerco, quello di cui ho bisogno, quello che da un senso alla mia vita. E, come ho scritto in un post su facebook, nessuno di noi tre, dalla vetta non vetta, avrebbe fatto cambio con nessun altro posto in quel momento.

Alla prossima avventura ossolana!

Giovanni Pagnoncelli

28-29 dicembre 2015, Marco Bagliani, Marcello Sanguineti, Giovanni Pagnoncelli.

Pizzo Andolla, Pilastro Murgia, 450 m., VI- max, TD.

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Venerdì, 19 Febbraio 2016 19:53

Dal senso esoterico della montagna e dell'alpinismo ai rapporti tra wilderness ed ecologia, alcune interessanti riflessioni sul vulcanico accademico veneziano  

Venerdì, 19 Febbraio 2016 19:20

  

Ettore Zapparoli, nato a Mantova nel 1899 e scomparso sulla  parete est del Monte Rosa nel 1951, accademico del CAAI,  fu uno dei protagonisti dell’alpinismo classico tra il 1929 e il 1951,  praticando l’alpinismo solitario con nuove vie sul Monte Rosa.

Leggi la recensione del volume pubblicato nel sessantesimo della scomparsa (parete Est del Monte Rosa, 1951)

 

 Alpinismo solitario

Giovedì, 18 Febbraio 2016 00:30

 

Da Planetmountain

Convegno CAAI: apritori a confronto al Forte di Bard

02.10.2007 di PlanetMountain

                       

Il 6 ottobre il CAAI (Club Alpino Accademico Italiano) organizza al Forte di Bard (AO) il Convegno Nazionale, mettendo a confronto grandi nomi dell’alpinismo sull’etica delle aperture in montagna.

“Impossibile by fair means”, diceva il biglietto lasciato dal grande Mummery e dalla guida forse più famosa dell’epoca, Alexander Burgener, alla base delle inscalabili rocce del Dente del Gigante sul Monte Bianco. Sappiamo com’è andata, pioli nella roccia e scale hanno avuto ragione dell’impossibile e la storia ha consegnato Sella e compagni come primi salitori del Dente. Chi ha avuto ragione?Non saremo noi i giudici, ma a partire da quel fatto, l’etica di apertura di una via è entrato come argomento nelle discussioni degli alpinisti. Il tema, in verità, non è mai passato di moda, anzi è particolarmente attuale e caldo in seguito alle aperture con protezioni fisse, i famigerati spit. 

 

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Tecnicamente si parla di aperture dal basso, di obbligatorio, di rischio di caduta ecc. tutti concetti nuovi e a totale discrezione dell’apritore. Non esistono regole conclamate tanto che una via a spit per alcuni deve essere sinonimo di sicurezza, per altri di protezione minima, anche con pericolo di caduta mortale.

 

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Nella straordinaria cornice del Forte di Bard, concesso grazie al Patrocino della Presidenza della Regione Valle D’Aosta, si svolgerà il Convegno Nazionale del Club Alpino Accademico Italiano che vedrà protagonisti alcuni dei massimi esponenti dell’alpinismo contemporaneo e del passato, sul tema delle aperture in montagna su tutti i terreni.Il convegno non ha la pretesa di porre delle regole, ma l’obiettivo del CAAI è quello di aprire pubblicamente il dibattito attraverso la testimonianza diretta dei protagonisti . I nomi sono tra i più prestigiosi, arriverà eccezionalmente da Parigi, visto i novant’anni suonati, Guido Magnone, gloria dell’alpinismo francese che ancora oggi rivendica le sue origini italiane e torinesi . 
Il Curriculum di Magnone è straordinario, citiamo solo la prima salita del Fitz Roy, considerata allora la montagna più difficile del mondo. Eppure anch’egli, in occasione della scalata della sua parete Ovest del Petit Dru, fu criticato per il metodo utilizzato.Tra gli ospiti interverranno grandi personaggi che hanno scritto pagine indimenticabili come
Alessandro Gogna, ed emergenti che esplorano nuovi terreni come Fabio Palma
Sentiremo ovviamente gli interventi degli Accademici che hanno nel loro DNA l’apertura di vie nuove, molte, se non la maggior parte di quelle che ripetiamo sulle nostre Alpi, sono opera di soci del CAAI. Tra gli altri, in prima persona interverranno 
Rolando LarcherNando Nusdeo,Manrico Dell’AgnolaUgo ManeraErik Svab.

 

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Si ringrazia Grivel e il Forte di Bard per il contributo.

Giovedì, 18 Febbraio 2016 00:12

 

Da Planetmountain

Il sogno di Sea, storie e memorie di arrampicata dal Meeting del Vallone di SEA

04.08.2011 di Planetmountain

Il 29, 30 e 31 luglio 2011 si è svolto il Meeting di arrampicata del Vallone di SEA (Val Grande di Lanzo) organizzato da Gism Gruppo italiano scrittori di montagna, Sasp Società arrampicata sportiva Palavela e CAAI Club Alpino Accademico Italiano. Andrea Giorda ce lo racconta con storie e memorie di arrampicata a tutto campo, tra Trad e No-Trad.                      

 

Dove è nato il nuovo mattino? In valle dell’Orco certo, ma le radici hanno avuto origine nella Val Grande di Lanzo, in particolare con la scalata della via del Naso al Bec di Mea, da parte di Gian Piero Motti e Gian Carlo Grassi nel 1969. Gian Piero Motti aveva casa a Breno, una frazione di Chialamberto. La Val Grande di Lanzo ha visto sorgere il sole del suo “ Nuovo Mattino”, ma è anche stata teatro del suo crepuscolo culminato con le “Antiche Sere” e la sua fine prematura.Gian Piero non aprì vie nel Vallone di Sea, che a partire da Forno Alpi Graie si dirama sinuoso come un solco di un drago nella parte alta della valle. Si limitò a dare i nomi alle pareti, attingendo alle credenze egizie e ai miti nordici. Nacquero così lo Specchio di Iside, il Trono di Osiride o la Torre di Gandalf il Mago, strutture di rocce lisciate da antichi ghiacciai e testimoni di grandi sconvolgimenti geologici.Se per Gian Piero il Vallone di Sea ebbe il sapore amaro del tramonto, per Gian Carlo rappresentò il sogno tanto cercato e desiderato. Un vallone dimenticato, lontano dai riflettori dove poter sfogare tutta la sua creatività, senza rendere conto a nessuno come piaceva a lui. Un vero terreno d’avventura che riservava sorprese ad ogni angolo.Oggi, con la mia compagna Sabrina e l’antico amico Gianni Battimelli di Roma, siamo all’attacco di una via simbolo, “ Il sogno di Sea” allo Specchio di Iside . Nome che Grassi utilizzò anche come titolo della sua dettagliata monografia che pubblicò nel 1988. E’ il primo giorno del Meeting di arrampicata voluto da Marco Blatto, strenuo divulgatore e difensore di questi luoghi. Quest’anno, oltre al Gism, Gruppo italiano scrittori di montagna e la Sasp , Società arrampicata sportiva Palavela, tra gli organizzatori c’è anche il CAAI.Negli anni in cui si aprivano le vie a Sea, ero attratto dal Vallone di Noaschetta o da Piantonetto, e un po’ mi sono perso la corsa all’oro di queste pareti, la curiosità di ripetere queste vie ora è grande. Purtroppo ha piovuto e tutte le fessure sono bagnate, occorre rivedere gli obiettivi. Ci consultiamo e individuiamo l’unico punto asciutto, una placca con una mitragliata di spit. 

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Meeting di arrampicata Vallone di Sea 2011 (Foto M. Blatto)


Dopo averla menata a tutti con il Trad è dura arrendersi, sperando di non essere individuati dal basso e come ladri in chiesa, ci lanciamo sulla via Super Controles dell’amico Joe Quercia. Una via molto bella, che offre un’ arrampicata sportiva logica e di grande soddisfazione, per i miei gusti personali le fessure potevano non essere spittate, un piccolo neo, ma si sa che non tutti gusti sono alla “ menta”. Sabrina, che oltre ad essere No Tav, è anche No Trad... mi zittisce e dice che va benissimo così! Ho la rivoluzione in casa.

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Urlo nel silenzio (Foto G. Battimelli)


Secondo giorno di meeting, sfiliamo davanti alla solare Torre di Gandalf e gli volgiamo le spalle per il cupo Trono di Osiride, per la precisione ci dirigiamo verso il Bracciolo. Questa volta dal Trad non si scappa ho convinto i compagni a ripetere “Urlo nel silenzio” . Il primo tiro richiede subito attenzione, e infatti sbaglio e mi porto troppo a destra, finisco su roccia rotta e fessure cieche ed erbose, armeggio con micro-nut e imprecazioni e raggiungo con qualche brivido la sosta. Sabrina,che ritiene il mio attaccamento al Trad un delirio senile, vista la scena opta per l’ammutinamento. Rimango con il Battimelli, del quale mi fido ciecamente nonostante in due facciamo 116 anni, lui è più vecchio di me, intendiamoci, e la nostra amicizia risale a più di 30 anni fa, nata sulla Detassis alla Brenta Alta in dolomiti.Due simpatici ragazzi di Bergamo, Mauro e Andrea, ci precedono ed è una soddisfazione vedere che i giovanissimi abbiano ancora voglia di cercarsi grane e “freddo per il letto” su queste vie , non tutto è perduto.La via in sé ha due tiri veramente belli e da non sottovalutare, i passi chiave si snodano su fessuroni off width. Un vero banco di prova per i giovani apritori che trasudavano talento, Maurizio Oviglia, Daniele Caneparo, Roberto Mochino e Roberto Calosso. Ora, con i friend grossi, anche il numero cinque, è uno scherzo proteggersi. La pietra incastrata nella fessura ci ricorda che così non deve essere stato per chi, buttando il cuore oltre l’ostacolo è passato per tracciare la via.Il bilancio del meeting è stato ampiamente positivo, non parliamo di grandi folle, ma di un buon numero di intenditori che ha voluto conoscere meglio questi splendidi posti e queste bellissime pareti, ricche di storia ,ma che non hanno esaurito il loro potenziale, specie in un’ottica Trad.Marco, ha organizzato serate che hanno messo in luce la storia della valle, con testimoni come Ugo Manera, Angelo Siri, Marco Scolaris, e nell’occasione mi è stato consegnato il Premio di Alpinismo del Gism “Paolo Armando”. Deciso in quel di Udine da una giuria presieduta da Spiro dalla Porta Xydias. Un premio speciale è andato anche a Fiorenzo Michelin , l’infaticabile scopritore di posti come il Bourcet.Ricevere un premio per un’attività, per dirla con Lionel Terray, così inutile come l’apertura di vie di arrampicata è qualcosa che fa riflettere. Chi apre vie non sempre è il più bravo, ma è paragonabile a un artigiano che non si limita a ripetere in serie ma vuole creare qualcosa che rifletta il suo pensiero.Le vie nascono prima nella mente come dei sogni. Qualsiasi cosa che ci circondi creato dall’uomo, anche un tavolo o un bicchiere, qualcuno l’ha sognato in quel modo e in quella forma. Le vie non sono nulla di più, sono solo forse un po’ più inutili agli occhi dei non scalatori.Che il Sogno di Sea duri dunque a lungo, così come l’aveva inteso Gian Carlo Grassi. Può qualcuno modificare i sogni altrui, specie se non c’è più ? Pensiamoci quando mettiamo le mani su una vecchia via. Andrea Giorda - CAAI

Nota: a conclusione del meeting, domenica 31, si è svolta una gara boulder sui massi ai piedi delle grandi pareti. Vincitori sono stati la giovanissima e brava Ilaria Scolaris della SASP Torino e per gli uomini Alessandro Pesarini di Montagna Viva, Vicenza. I festeggiamenti gastronomici organizzati da Marco valevano da soli il viaggio, tenetelo in conto per il prossimo anno . Arrivederci a Sea 2012.

http://www.planetmountain.com/News/shownews1.lasso?l=1&keyid=38425#

Mercoledì, 17 Febbraio 2016 19:17

Da Planetmountain

Vallone di SEA Climbing Meeting 2012

Lunedì, 15 Febbraio 2016 22:27

Attraverso il ricordo del compagno di cordata Marco Furlani rievoca i momenti magici dell'apertura delle grandi vie in Valle del Sarca nei primi anni novanta.

VIA LUCE DEL PRIMO MATTINO al DAIN Andrea Andreotti/Marco Furlani 1991.

 

ANDREA UOMO CHE VOLAVA ALTO

di Marco Furlani

 

Quella notte avevo bivaccato benissimo, la sera prima mi ero scavato una piazzola niente male sulla testa del pilastrino, dove avevamo deciso di bivaccare, e mentre contemplavo la valle che era ancora nel buio e incerta avanzava la luce dell’alba, osservavo estasiato in alto, oltre i grandi strapiombi e il formidabile tetto: al canto insistente del cuculo il sole incominciò a illuminare la roccia tingendola di colori incredibili, uno spettacolo mozzafiato.

- Andrea, Andrea… ho trovato il nome della via… che ne dici di Luce del Primo Mattino?

Furly 1 tiro

 

Primo tiro DAIN Luce del primo mattino 002 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sul primo tiro: a sin in apertura, a destra in una recente ripetizione (Archivio A. Rampini)

 

 

 

Al contrario Andrea Andreotti, il mio compagno, usciva dal torpore di una notte passata male, dopo la prima dura giornata trascorsa in parete; era stanco e la sera precedente aveva preferito bivaccare in amaca. Non aveva dormito nulla, però a sentire il nome si destò e disse: - Bello, molto bello… la nostra via si chiamerà Luce del Primo Mattino!

Intanto la giornata radiosa di sole inondava tutta la sottostante valle e fu una ridda di sfumature e colori fantastici come solo la valle del Sarca può garantire a chi la guarda dall’alto.

Sul diedro grigio 5 tiro DAIN Luce del primo mattino 015 2

Sul diedro grigio - 5° tiro (Archivio A. Rampini)

Il diedro bianco 7 tiro DAIN Luce del primo mattino 047 2

Il diedro bianco - 7° tiro (Archivio A. Rampini)

Andrea era un bell’uomo, alto, colto e con un volto particolare sempre abbronzato e incorniciato da una barba ben curata che lasciava spiccare la luminosità degli occhi: grande alpinista, uomo che volava alto, al di sopra di tutto, soprattutto delle sterili polemiche e chiacchiere che circondano la più insulsa delle attività umane cioè l’alpinismo, persona acuta, sapeva sdrammatizzare anche nella più critica delle situazioni, ma soprattutto era uno che sapeva quello che faceva e faceva quello che diceva.

Con modo gentile di fare, non si alterava mai e le uniche cose che gli interessavano erano famiglia, lavoro, e aprire belle vie: intendeva l’alpinismo come una forma d’arte suprema, quasi esoterica.

Nel trionfo della luce dunque ci destammo e facemmo una magra colazione, poi preparammo il saccone e ripartimmo. Il programma di quel giorno era superare la zona delle pance rosse. Io superai il diedro bianco, poi le placche color ruggine sotto le aggettanti pance rosse e lì riprese lui il comando. Io mi sistemai sul seggiolino di legno e assicurai attento il compagno che saliva lentamente lo strapiombo in un vuoto assoluto.

Nelle lunghe ore di attesa ero rapito dalla visione sul sottostante lago di Toblino con le sue acque appena increspate dalla leggera brezza dell’òra: era la fine di maggio 1990, il verde intenso creava un delicato contrasto con la fioritura bianco rosa dei meli che era al massimo splendore.

Mentre Andrea avanzava con pazienza, tenacia e meticolosità piantando quei piccoli chiodini a espansione che a salirci sopra ti vengono i brividi, mi chiedevo quale fosse il segreto di questo magnifico atleta. Stava appeso per ore e ore a martellare senza battere ciglio, aveva una resistenza che trascendeva l’umanamente possibile, non esisteva né caldo né freddo e aveva per la montagna una passione esaltante.

luce11     Furly sooto tetto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A un certo punto un rumore di ferraglia secco e un violento strappo alle corde mi risvegliò dalla contemplazione, uno di quei famigerati chiodini era uscito e Andrea era volato con i suoi 90 kg per qualche metro nel vuoto…

Tutto bene, riparte con la calma che lo distingue, supera il tiro, attrezza la sosta su di un appoggio, dove stavano appena i piedi, in un vuoto da mal di stomaco. Dopo sette ore posso ripartire.

Fra equilibrismi e contorsioni ci scambiamo e riprendo il comando, superando la grigio-rossa placca superiore con una roccia a gocce incredibilmente bella, fantastica, e con un’arrampicata libera stupenda raggiungo la cengia sotto il grande tetto. Lasciando riposare Andrea mi do da fare a spianare per il bivacco, poi pianto qualche chiodo nel tetto, ma presto diventa buio e ci prepariamo alla seconda notte in parete.

 All'uscita dal grande tetto (Archivio A. Rampini)

Alluscita dal tetto 12 tiro DAIN Luce del primo mattino 092 2    Lo strapiombo finale DAIN Luce del primo mattino 079 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                Lo strapiombo del 12° tiro (Archivio A. Rampini)

 

 

 

 

 

 

 

                                                                         

Non ci manca niente, il saccone da traino era pesante da recuperare ma adesso abbiamo tutto quello che ci serve per una bella cena, pane, speck, persino torrone e acqua in abbondanza. Il tempo è sempre bellissimo, parliamo, facciamo progetti, siamo contenti per la via che è veramente bella, e poi di donne e della fatica che queste fanno a sopportare noi scalatori che siamo così presi dalla nostra passione che a volte egoisticamente ci dimentichiamo di loro… poi arriva il sonno ristoratore.

Un’altra alba, la terza sempre bella, sempre mozzafiato e le riflessioni sulla fortuna di abitare nel nostro ridente Trentino con tutte le sue bellezze. Andrea vuole finire di chiodare il tetto: - Così lo chiamerò Tetto delle Aquile dice.

Penultimo tiro DAIN Luce del primo mattino 098 2

                                                                   Sul penultimo tiro (Archivio A. Rampini) 

Io lo guardo e rispondo: - Ma che aquile… non vedi che sembri un passerotto impaurito?

Lui mi guarda e risponde: - Hai ragione, lo chiameremo Tetto dei Passerotti… va bene?

Annuisco ma il mio sguardo è preso dall’enorme soffitto.

Il tetto è veramente un tetto e richiede parecchie ore per chiodarlo. Finalmente verso mezzogiorno riesce a superarlo, io rapidamente sui chiodi lo seguo e riparto con due tiri di arrampicata sempre difficile ma su roccia ottima e raggiungiamo il bosco sommitale.

Conoscevo già Andrea per la sua eccezionale attività ma non avevamo mai scalato assieme prima che lui mi invitasse ad aprire questa via. Ci siamo veramente trovati bene anzi benissimo insieme, siamo due elementi che si compensano bene: le forze dell’uno equilibrano le lacune dell’altro, come deve essere in una cordata vera.

Furly tiro sotto il tetto

                                                                 Verso il grande tetto, in apertura sulla fantastica placca gialla dell'undicesimo tiro.

 

Quella sera sulla cima del Dain Picol scesi con due certezze: una, che prima o poi sarei venuto ad abitare nella valle del Sarca, l’altra, che avevo trovato il compagno giusto per scalare i grandi tetti del monte Brento. Ma questa è un’altra storia.

Un maledetto male ce lo ha portato via lasciandoci attoniti increduli, proprio LUI così buono, generoso e solare. Come sempre rimaniamo senza parole, non riusciamo a mandarla giù.

Ciao Andrea… ci rivediamo!

Domenica, 14 Febbraio 2016 19:51

 

Da Planetmountain

Si può essere Guide Alpine e insieme Accademici del Cai

23.10.2014 di Giacomo Stefani

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il commento di Giacomo Stefani (presidente CAAI) sulla modifica dell'art. 19 comma C dello statuto CAAI che sanciva l'incompatibilità assoluta tra l'essere appartenenti al Club Alpino Accademico Italiano e allo stesso tempo Guide Alpine.

Sabato 11 Ottobre si è svolto a Caprino Veronese il Convegno Nazionale del Club Alpino Accademico Italiano sul tema “La Libertà in Alpinismo”, argomento di grande attualità per i continui attacchi e limitazioni alla libera frequentazione della montagna. Ma per gli Accademici questa occasione è stata particolarmente importante anche perché al termine del Convegno si è tenuta l’Assemblea Generale con all’ordine del giorno la modifica di uno degli articoli più controversi del nostro statuto e cioè quello che sancisce una incompatibilità assoluta tra Accademici e Guide.

SPIRO AL convegno nazionale 2014 194 2

                     

Da sinistra: Spiro Dalla Porta Xidias, Giancarlo Del Zotto, Alessandro Gogna
Photo by Alberto Rampini

 

ALESSANDRO GOGNA CAAI convegno nazionale 2014 173 2

Alessandro Gogna interviene al Convegno

Photo by Alberto Rampini

 

Questa incompatibilità giustificata formalmente dallo statuto del CAI fino a 3 anni fa, che vietava l’appartenenza contemporanea di un socio a 2 Sezioni Nazionali, appunto CAAI e AGAI, è stata rimossa dopo l’istituzione della 3a Sezione Nazionale e cioè il CNSAS per permettere a Guide ed Accademici di essere anche membri del Soccorso Alpino.Ma vi è sempre stata una forma più complessa di incompatibilità: storica, per l’origine del CAAI nato 110 anni fa come Alpinismo senza Guida e, direi, etico-filosofica, per una tradizione centenaria legata anche allo spirito dell’Accademico che è quello di salire le montagne con tutte le motivazioni possibili, ma non quella di averne un ritorno economico.Caduta l’incompatibilità formale è rimasta l’altra, ma nelle valutazioni del Consiglio Generale del CAAI che ha proposto la modifica, c’è stata la convinzione che alcuni aspetti dell’altra stessero cambiando. Oggi assistiamo a cambiamenti epocali e le convinzioni granitiche di ieri si sgretolano con incredibile rapidità, portandoci a scelte e decisioni individuali e collettive impensabili poco prima. Una volta la Guida era una scelta di vita legata all’ambiente di origine (i valligiani di molte rinomate località montane sono figli e padri di Guide) e tramandata nel tempo, oppure una scelta di professionismo tout court che permetteva a chi la faceva di ricavare il massimo dalla frequentazione della montagna, quindi non solo accompagnare i clienti, ma poter svolgere tutte le attività economiche connesse al mondo montano.Oggi ci sono giovani che fanno dell’Alpinismo Accademico di altissimo livello e diventano guide perché non trovano lavoro ed allora pensano di applicare la loro capacità ad una attività che gli permetta di vivere, senza rinunciare al piacere di salire le montagne. Se li vediamo però nella completezza della loro attività alpinistica, non disdegnano di salire vie nuove, di fare ascensioni con amici, non per guadagnare ma per il piacere e la soddisfazione di farlo, e molti di loro, ancorché guide, partecipano attivamente ai nostri Convegni.La modifica del regolamento, approvata con circa il 70% dei voti a favore (era necessaria la maggioranza dei 2/3) permette al socio Accademico che diventa Guida di rimanere a tutti gli effetti socio purchè lo richieda espressamente. Ci è sembrato indispensabile mettere questa condizione perché, crediamo, serve ad esprimere la volontà del socio di continuare a praticare, quando possibile, un alpinismo “Accademico” , pur nell’ambito di una attività lavorativa affine per caratteristiche. Questa modifica non è quindi una porta d’ingresso per le Guide, ma è un modo per tenere vicini dei soci che vivono ancora momenti di alpinismo accademico e possono ancora dare il loro contributo.

UNA FASE DELLOO SCRUTINIO CAAI convegno nazionale 2014 251 2

Una fase dello scrutinio dei voti
Photo by Alberto Rampini


IL PUBBLICO CAAI convegno nazionale 2014 120 2

 

Il pubblico del Convegno "La libertà in alpinismo"
Photo by Alberto Rampini


Il Consiglio è consapevole che questa modifica ha turbato molti Accademici che volevano si mantenesse una netta distinzione, morale e di fatto, tra Accademico e Guida, e non è stato facile prendere la decisione di proporre la modifica all’Assemblea dei Soci. Ma è bene ricordare che ideali ed etica dell’ Accademico non vengono minimamente toccati, e restano il nostro carattere distintivo. Qualcuno dice che i soci fondatori di 110 anni fa si rivolteranno nella tomba...io non credo, anche perché oggi si parla da parte di tutti della necessità di cambiare la costituzione italiana e nessuno immagina che i padri costituenti si rigireranno nella tomba per questo. Comprendere i cambiamenti dei tempi facendo in modo di non esserne travolti, ma senza stravolgere la propria identità è un dovere di tutti ed è con questo spirito che il Consiglio Generale ha proposto e l’Assemblea Generale dei soci ha ratificato la modifica dello statuto del CAAI.Giacomo Stefani
Presidente Generale Club Alpino Accademico Italiano
Art. 19 del regolamento del CAAI, comma C. - PRIMA DELLA MODIFICA
c) è causa della cessazione della qualità di socio per incompatibilità il conseguimento della qualifica di Guida Alpina o Aspirante Guida Alpina e, in ogni caso, l’esercizio dell’attività alpinistica come prevalente fonte di guadagno. Le decisioni sull’incompatibilità spettano al Consiglio Generale. Contro le decisioni del Consiglio Generale in materia di radiazione e incompatibilità è ammesso il ricorso al Collegio dei Probiviri del C.A.A.I. entro 60 giorni dalla data della comunicazione all’interessato. La cessazione dell’appartenenza al C.A.A.I. comporta la cessazione della qualità di socio ordinario di diritto del C.A.I. Qualora la cessazione della qualità di socio del C.A.A.I. sia dovuta al conseguimento della qualifica di Aspirante Guida Alpina o Guida Alpina, l’interessato conserva il diritto a partecipare ai convegni e a ricevere l’Annuario, ed è pertanto iscritto in apposito elenco.
Art. 19 del regolamento del CAAI, comma C - DOPO LA MODIFICA APPROVATA DALL'ASSEMBLEA
c) è causa di cessazione della qualità di socio per incompatibilità il conseguimento della qualifica di Guida Alpina o Aspirante Guida Alpina e, in ogni caso, l’esercizio dell’attività alpinistica come prevalente fonte di guadagno. La cessazione di cui sopra non è applicabile nel caso in cui l’interessato faccia richiesta al Consiglio Generale di mantenere la qualità di socio.
Le decisioni sull’incompatibilità spettano al Consiglio Generale. Contro le decisioni del Consiglio Generale in materia di radiazione e incompatibilità è ammesso il ricorso al Collegio dei Probiviri del C.A.A.I. entro 60 giorni dalla data della comunicazione all’interessato. Qualora la cessazione della qualità di socio del C.A.A.I. sia dovuta al conseguimento della qualifica di Aspirante Guida Alpina o Guida Alpina, l’interessato che non intenda chiedere al Consiglio Generale di mantenere tale qualità, conserva comunque il diritto a partecipare ai convegni e a ricevere l’Annuario, ed è pertanto iscritto in apposito elenco.

http://www.clubalpinoaccademico.it

http://www.planetmountain.com/News/shownews1.lasso?l=1&keyid=42232

Domenica, 14 Febbraio 2016 19:34

 

Da Planetmountain

Arrampicata in Valle dell’Orco, dolce brezza di Vento Trad

30.09.2010 di Andrea Giorda

Dopo sette giorni, il 25 settembre 2010, si è concluso in Valle dell’Orco il Meeting Internazionale di arrampicata Trad organizzato dal Club Alpino Accademico Italiano. Un primo bilancio a caldo.

La prima considerazione è che il meeting è stata una vera e propria festa dell’arrampicata, in un clima internazionale dove il piacere comune era scalare, senza polemiche o dietrologie. I nostri ospiti provenivano da tutto il mondo, chi provava il 6a di Incastromania e chi sulle tracce di Brenna, si incartava sugli 8b di Itaca.

Oviglia sui massi del Caporal                       

Oviglia sui massi del Caporal
Photo by arch.
A. Giorda

Tom Randall apre al Sergent

Tom Randall apre al Sergent
Photo by
Picco


In queste settimana ci hanno accompagnato leggende come Alessandro Gogna, Mauro Calibani e tanti altri provenienti da ogni dove. Il giovane e fortissimo Michele Caminati e Roberto Vigiani, che in gran forma e forse dopato da una bella nordica… si è fumato (termine appropriato visto il nome della via..) la Cannabis in libera e a vista. E poi ancora Manrico dell’Agnola, da sempre critico verso le protezioni fisse… e moltissimi altri nomi noti e meno noti che hanno voluto con la loro presenza testimoniare l’interesse per questo meeting, dal gusto Trad, particolare.Già, ma gli ospiti stranieri cosa avrebbero detto della tanto decantata Valle dell’Orco? Questa era la nostra prima grande curiosità. Per rendermene conto ho da subito pinzato una vitaminizzata ragazza californiana, Caterina, di Berkley, santo cielo… proprio una che alla domenica va in Yosemite come noi andiamo in Sbarua o al pian della Mussa. Lei mi ha detto da subito, procurandomi un imbrazzo totale, come quando una l’ha sparata grossa, che sapeva che la valle dell’Orco è la Yosemite italiana... mi son detto: adesso che vede il nostro Sergent, prende l’aereo e torna a casa.

Il gruppo del primo International Trad Climbing Meeting 

 

 

il gruppo del primo International Trad climbing Meeting della Valle dell’Orco
Photo by
arch. A. Giorda


E invece no, si è sparata a razzo su Incastromania e poi, incurante dei miei anni, mi ha fatto “scaldare” sulla Fessura della Disperazione, l’ho seguita con l’agilità di pinocchio, anche quando tra me e lei in sosta, c’era un solo friend numero sei e se cascavo, arrivavo dritto nel letto di casa mia. Verso sera, scendendo pesti (almeno io) ma felici dopo l’ennesima fessura, si è fermata in silenzio a rimirare le pareti, aveva  gli occhi di una bambina in pasticceria. Inutile dire che ero tronfio come un tacchino, mi ha chiesto se la Guida la vendevano in America! Ho trattenuto la lacrimuccia.Bando ai sentimentalismi, la considerazione seria è che la valle si è rivelata un patrimonio di livello internazionale, chi è venuto l’ha confermato e ci ha chiesto di preservarlo nel migliore dei modi. Tom Randal, l’inglese incursore che ci ha abituati a prodezze di ogni tipo in Valle, ha aperto sotto gli occhi di tutti una via a fianco della Fessura della Disperazione, non di 8b ma di 6c! Quanta strada abbiamo ancora da fare? Grazie Tom, dopo questo meeting la valle non sarà più la stessa, chi la sfregia dovrà fare i conti con il biasimo di mezzo mondo.

Paesaggi di fiaba in Valle dellOrco

Paesaggi da fiaba in Valle dell'Orco
Photo byarch. A. Giorda


Quanto al rumore di fondo che in questi mesi ha pervaso i forum a favore o meno delle protezioni fisse, possiamo dire che il meeting non ne è stato neanche sfiorato. Tenere ragazzine dai capelli biondi, ignare delle oscure predizioni, hanno percorso senza battere ciglio tutte le vie mettendosi i lotro bravi friend. Anche il Rolandone nazionale, Larcher per intenderci, ha voluto ripetere la chiacchierata Rattle Snake con un coraggioso danese. L’ha definita un’autostrada, e non vi dico cosa mi ha detto di farne del friend numero quattro che gli ho consigliato di portare. Sarà perché lui viene da lontano e certe cose non le capisce!Venerdì 24 era il giorno dell’Open Day, non abbiamo avuto fortuna con il tempo, sarebbe stata la ciliegina su una torta ben riuscita. Ma sabato era di nuovo bello e in molti si sono buttati sui tiri Trad preparati da Maurizio. Entusiasmante vedere Alessandro Gogna, che manteneva la sua fama di “Alpinista di Ricerca” e provava le microscalate, accanto i campioni da 9a come il francese Tony Lamiche e il fenomeno al femminile, la dolce e sorridente Liv Sansoz.Un'ultima considerazione sul convegno del CAAI, tenutosi sabato pomeriggio e che aveva come tema l’arrampicata Trad. Hanno partecipato molti ospiti importanti tra cui Lindsay Griffin, giornalista di fama mondiale ed editor dell’American Alpine Journal, la bibbia degli alpinisti. Il dibattito aperto da Marco Blatto e condotto molto bene da Luca Signorelli, non ha chiarito del tutto il significato di Trad. Ognuno ha potuto dire la sua e farsene un’idea. Forse la parola Trad che sta per tradizionale è fuorviante, occorrerebbe un termine più attuale per definire una scalata che si fa rigorosamente in libera, con mezzi moderni come i nut e i friend, sulle vie lunghe e anche sui massi.Questo meeting, è stata anche una occasione per mostrare agli amministratori locali e agli operatori del turismo le potenzialità economiche derivanti dal mondo degli scalatori. Il patto però è che si investa non solo in cemento e villette perennemente vuote, ma anche nella promozione di attività a basso impatto ambientale. E poi anche nel decoro, molti volontari hanno rimosso quintali di spazzatura dai massi lungo la vecchia strada, che andrebbe chiusa! Anche un luogo magico come la Fessura Kosterlitz, da ragazzi il nostro Camp Four, ora è una triste discarica.Andrea Giorda - CAAI
Gli organizzatori Mauro, Claudio, Maurizio e Andrea ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla buona riuscita del meeting, un  grazie  particolare a  Giacomo Stefani il nostro Presidente, che ha creduto, anche nei momenti più difficili, in questa avventura.Senza i nostri sponsor e patrocinanti non saremmo andati lontano, li elenchiamo con riconoscenza. A chi ci ha dato fiducia consegniamo la soddisfazione di aver contribuito ad un evento di successo che spesso ha trovato posto sui giornali nazionali e sul web, oltrepassando i limiti della stampa e dei siti specializzati:
ADAEM, IREN ENERGIA, PETZL, BEAL, FERRINO, LA SPORTIVA, VERSANTE SUD, E9, COMUNE DI CERESOLE, PROVINCIA DI TORINO, REGIONE PIEMONTE, PARCO DEL GRAN PARADISO, CESMA.

 

Calibani Gogna e Caminati al Trad Meeting

Calibani, Gogna e Caminati al Meeting

Foto Archivio GIORDA

 

 

 

 

 

 

 

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