Stampa questa pagina

ANDARE OLTRE - Riflessioni di Gianni Ghiglione

Sabato, 16 Agosto 2025 21:06

di Gianni Ghiglione-Alpinista

Revisione a cura di Fausto Camera

Andare oltre…cosa vorrà dire poi….

In questo articolo vorrei esporre le mie osservazioni e le mie convinzioni riguardo all'apertura di nuovi itinerari, alla ricerca di emozioni ancora inesplorate.

Mi rendo conto ora che questo argomento mi ha sempre appassionato anche se nei primi tempi era una pura e semplice ambizione da raggiungere.

Perchè? È necessaria una premessa. Capita di chiedersi quante siano le scelte che vengono inconsapevolmente prese nell’arco di una

giornata per compiere un semplice gesto o esprimere un pensiero.

Situazioni molto meno importanti di quando, invece, interviene il ragionamento e si possono prendere decisioni che influenzano il futuro e la vita.

Attorno ai vent’anni, appunto, e durante il mio corso di studi mi sono chiesto spesso ciò che volevo fare da grande.

Se la scelta fosse tra “lavorare per vivere” o “vivere per lavorare”, senza incertezze scartai la carrieristica opportunità e mi votai alla prima alternativa che mi concedeva del tempo libero da dedicare alla mia passione per la montagna e all’arrampicata su roccia.

                               L’alternativa si tramutava così in “vivere per arrampicare” e le mie prime esperienze di alpinista rocciatore avvennero sulle fantastiche pareti che si trovano nelle vicinanze di Finale Ligure: affascinanti e immense nelle loro suggestioni.

Lì ho avuto modo di conoscere due grandi alpinisti: Gianni Calcagno e Giancarlo Grassi, quasi miei coetanei, ai quali ho chiesto di unirmi a loro come compagno di cordata. Essi accettarono con piacere, non li dimenticherò mai, e con loro effettuai numerose salite, anche nuove. E’ grazie a loro che mi sono avvicinato al desiderio forte di aprire nuovi itinerari. Desiderio che si è ampliato nel corso del tempo e che mi ha accompagnato poi durante tutto il mio successivo percorso alpinistico.

Una componente che principalmente mi ha attratto è che la scalata genera di per sé una qualità di emozioni veramente profonde, soprattutto nella ricerca di vie nuove.

Questa concentrazione, indotta dalla parete, risulta sicuramente superiore a quella generata da qualsiasi lavoro, anche se molto impegnativo.

Come sappiamo durante un lavoro, anche se si è molto concentrati, il mondo attorno a noi viene semplicemente ignorato ma non cessa mai di essere presente dentro di noi.

Nell’alpinismo, invece, la concentrazione conduce ad una stimolazione psicologica tale che il mondo viene escluso ed escludere è un livello più elevato che ignorare.

Poiché considero l’apertura di un nuovo itinerario come un’opera d’arte (non in tutti i casi, in alcune di esse c’è imperfezione, non c’è arte) e quindi di opera artistica, credo che sia molto importante nell’ambito dell’alpinismo, ma anche in altri ambiti, avere la consapevolezza che non si progredisce facendo meglio cose già fatte ma creando cose che non esistono.

L’opera d’arte prodotta lascia quindi una memoria storica, è proprio per queste ragioni che non dovrebbe essere modificata dai ripetitori.

La mia decennale esperienza nell’alpinismo è sempre stata fortemente orientata alle attività di ricerca ed esplorazione

Nell’alpinismo esiste il libero arbitrio, questo non significa che ognuno può far indiscriminatamente quello che vuole, ma che chi apre deve identificarsi nell’etica della zona in cui si vuole aprire la via. Considerando che l’essenza degli esseri umani è la curiosità, l’alpinista osserva attentamente le pareti che ha di fronte, valuta e traccia mentalmente a distanza l’itinerario che vuole percorrere.

E’ assolutamente necessario rispettare l’ambiente e quindi è doveroso, durante l’individuazione dell’avvicinamento, non fornire agli eventuali ripetitori tracce elettroniche di tipo GPS ma semplicemente descrizioni.

Torre Carlo 1 tiro

Quanto sarebbe stato scontato il viaggio di Ulisse se guidato dai satelliti e non dall’umore volubile degli dei.

Spesso gran parte della civiltà civile afferma che l’alpinismo è un’attività inutile, non produce benefici, è un’attività che va evitata in quanto pericolosa.

Tutto questo perché molte persone non sanno vedere ciò che esiste oltre una linea di demarcazione rappresentata dal lavoro.

Non si riesce a comprendere ciò che c’è di utile in progetti ritenuti inutili. Faccio un esempio. Le tre cime di Lavaredo viste dal rifugio Locatelli sono uno spettacolo veramente notevole ma rappresentano una conoscenza delle pareti piuttosto superficiale.

Solo l’alpinista, arrampicando su tali pareti, individua con precisione assoluta la loro vera natura metro dopo metro.

E’ questa una delle componenti utili per comprendere che l’esplorazione minuziosa e attenta della natura in ogni sua forma, nella sua morfologia, sia estremamente importante.

L’alpinismo, quello eticamente corretto e non commerciale, vede le scalate sotto un altro profilo, si occupa integralmente di cose che né si vendono né si comprano.

Sono esenti dal profitto. Le vie alpinistiche sono creazioni pure e incorrotte, concepite non per soldi ma per l’arte in se stessa; rappresentano un dono per l’essere umano.

Quando mi avvicino ad una parete sconosciuta e questo mi è capitato in molte occasioni, in particolare nelle magnifiche pareti della Corsica dove ho aperto delle vie nel gruppo di Popolasca, Bavella e Restonica, inizio soprattutto a stabilire un dialogo intimo con la parete.

La parete mi parla, io l’ascolto e quindi mi obbliga a scegliere il materiale che dovrò usare.

Se la parete mi suggerisce di usare chiodi tradizionali, o friends, perché presenta soluzioni di continuità come crepe o buchi penetrabili con normali chiodi classici, userò questi mezzi, ma se la parete è totalmente compatta come in Corsica, succede quasi sempre, sarò quindi costretto a profanare la roccia (se voglio aprire la via) con un trapano e inserire spit o fix.

Così, nel gruppo di Popolasca, ma anche al Monte Butara ad esempio o al Monte U Finellu dove ho operato, mi sono servito di spit sia durante l’arrampicata che nelle soste, cercando di rendere la via sicura agli eventuali ripetitori ma nel contempo senza abusare nella chiodatura mantenendo ciò che ho sempre ritenuto una giusta distanza tra i rinvii.

Quota 1551 Aria Salata Il tiro chiamato Nidi di Pietra Una cosa importante è che difficilmente io parlo di mie vie aperte.

Ritengo che le vie aperte siano un fatto internazionale che non implica un attaccamento alle vie, come dice il Buddismo in parte della sua filosofia.

Ciò implica che, a mio avviso, l'alpinismo non ha confini politici o statali e che il mondo dovrebbe

avere un’unica bandiera, il mondo è di tutti indistintamente, puntando all'uniformità.

Così come considero tutte le zone del mondo una terra meravigliosa che appartiene a tutti, è mia convinzione che tutte le vie aperte debbano rimanere così come sono state aperte al fine di trasmettere ai ripetitori e alle future generazioni la memoria storica di come si sono svolti i fatti e offrire ai successivi ripetitori l’opportunità di entrare nell’interiorità dell’apritore rivivendo le sue stesse emozioni.

Se la via venisse modificata non si proverebbero più. Quale barbarie sarebbe modificare le vie ad esempio di Bonatti o Desmaison, non lasciandole come loro le hanno aperte.. Sarebbe un enorme abominio.

Modificare una via tracciata in precedenza è un atto cinico e prevaricatore di chi è caratterizzato da un forte istinto predatorio e ha l’obiettivo di nascondere la propria inadeguatezza ad accettare il rischio insito nella via originaria. Un comportamento del genere equivale a un reato.

Questo procedimento equivale a un furto sentimentale, è annullare le emozioni provate dal primo apritore, è tentare di far cantare alle vie rubate il canto del cigno.

Si perde la consapevolezza di ciò che è stato vissuto nel passato. E’ falsificare gli eventi storici.

Durante le scalate, soprattutto nella fase iniziale, la paura esiste, è amica, ma è un’amica pericolosa. Solo interpretandola diventa alleata e abbatte la soglia del rischio.

Queste mie ultime affermazioni richiedono però un approfondimento. Nella parte più profonda del nostro inconscio agiscono due forze contrapposte.

La prima è la forza del cambiamento che ha come obiettivo di spingerci verso l’arrampicata ed ha caratteristiche rafforzative; la seconda è la resistenza al cambiamento e che quindi si oppone a questo: è una forza sabotante. Ambedue queste forze comunque hanno come obiettivo il nostro benessere.

Come alpinisti ci chiediamo per quale ragione questi meccanismi sono così predominanti nella profondità della nostra mente. La spiegazione è antropologica ed evolutiva. L’evoluzione di homo sapiens come specie non ha come primo obiettivo il benessere interiore, bensì la sopravvivenza.

Per prima cosa, perciò, il cervello primitivo ha prodotto meccanismi di difesa. Senso di pericolo, paura, allerta, aggressività sono stati evolutivamente gli istinti primordiali che ci hanno permesso la sopravvivenza. A livello limbico siamo ancora, evolutivamente, impostati sulla sopravvivenza e sul dolore. La nostra mente coglie le sensazioni di dubbio, paura, stress, ansia e automaticamente le interpreta come un segnale di pericolo, cercando di compiere tutte le azioni necessarie per tornare allo stato iniziale. Passiamo da una modalità di crescita a una modalità protettiva, causata dalla paura, dedicando tutta la nostra energia alla nostra protezione. Possiamo dimenticare il passato, ma è il passato che non si dimentica di noi. Il nostro cervello agisce per via riflessa, smettendo di pensare e iniziando ad agire, guidato unicamente dall’istinto di sopravvivenza.

Di fronte al pericolo, la fisiologia del nostro corpo ci prepara ad affrontare la situazione con queste due uniche soluzioni possibili: fuggi o lotta.

L'amigdala agisce direttamente sull'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), una parte del sistema limbico che attiva questo meccanismo lotta/fuggi e ci prepara all'azione.

Il nostro organismo viene sottoposto all’azione di particolari ormoni che ci aiutano a concentrarci per pensare velocemente a una soluzione. I principali sono l'adrenalina e l’idrocortisone, rilasciati nel torrente sanguigno in modo da aumentare il tono muscolare, la frequenza cardiaca, gli atti respiratori e l’acuità visiva (maggior percezione della realtà circostante), aiutano a concentrarci per pianificare e pensare velocemente a un modo per risolvere la difficile sezione rocciosa che ci sovrasta.

Le insidie che si incontrano durante le scalate sono diverse da quelle che incontrava l’uomo primitivo, ma il nostro cervello, le codifica ancora in quel modo.

Infatti scritto nella parte più antica del nostro cervello c'è lo stesso istinto di sopravvivenza e di pericolo dei nostri antenati. Durante la scalata la cosa più istintiva è la paura, la diffidenza, la paura della morte.

La paura è quindi utile; utile per evitare rischi e consentire di arricchire con ulteriori appassionanti momenti il fascino per la montagna.

33