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Club Alpino Accademico Italiano
Giovedì, 07 Aprile 2022 20:40

LE VIE DEI FIORENTINI (dal 1961 al 1977)

Sei vie aperte da alpinisti fiorentini, tra i quali diversi Accademici, verranno raccontate dai protagonisti in una serata organizzata dal CAI Firenze e dal CAAI a Villa del Poggio Imperiale il 21 aprile 2022.

Dopo la presentazione del libro "Una storia dell'alpinismo fiorentino" seguirà un audiovisivo sulle vie, commentato dai protagonisti. 

Per partecipare è necessario iscriversi perchè i posti sono limitati, come indicato nella locandina.

 

Proiezione FIRENZE 1

 

Proiezione FIRENZE 2

Giovedì, 07 Aprile 2022 19:00

BALCONATA GIUSTO GERVASUTTI al MONTE dei CAPPUCCINI a TORINO

cerimonia targa GERVASUTTI

 

Giovedi 7 aprile ore 11.00, a Torino si è svolto un evento importante e significativo per l’intero mondo dell’alpinismo. Si tratta dello scoprimento della Targa a Giusto Gervasutti  a cui viene così, ufficialmente e formalmente, intitolata la Balconata del  Piazzale al Monte dei Cappuccini, su cui si affaccia il Museo della Montagna. Un autentico balcone sulla cerchia alpina, sito che, più di ogni altro, riveste un'importanza simbolica nella visione del grande alpinista.

È un'iniziativa per la quale il Gruppo Occidentale del CAAI ha dato il suo attivo contributo: l’intitolazione di un sito importante per la Città di Torino a Giusto Gervasutti, grande alpinista e accademico, la cui figura non ha certo bisogno di presentazione.

Gervasutti rappresenta ancora oggi un simbolo per una interpretazione dell’alpinismo a cui, nonostante l’evoluzione e le trasformazioni dei tempi, non si può non guardare con grande ammirazione e farvi riferimento.

Alla cerimonia  hanno assicurato la loro presenza il Sindaco Stefano Lo Russo, la Presidente del Consiglio Comunale Maria Grazia Grippo ed altre autorità cittadine e delle istituzioni legate al mondo della montagna.

Chi era GIUSTO GERVASUTTI

 La cerimonia del 7 aprile 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Venerdì, 01 Aprile 2022 14:58

Quinto appuntamento con il CLUB ALPINO ACCADEMICO ITALIANO, (lunedì 4 aprile 2022 ore 21 a Cogoleto, GE, Auditorium Berellini), nel percorso di avvicinamento al Convegno Nazionale CAAI che si terrà a Genova il prossimo ottobre.

2772961Protagonista della serata è ANDREA MELLANO, uno dei più rappresentativi alpinisti italiani del dopoguerra che ha saputo interpretare e vivere in prima persona l’evoluzione dell’alpinismo. Iniziando a scalare sulle pareti di roccia piemontesi, Mellano ha praticato un alpinismo di esplorazione e ricerca di vie nuove sulle grandi montagne occidentali.

Prima salita dello Sperone Young sulla parete nord delle Grandes Jorasses,

Prima salita della parete nord-est del Pilier a Tre Punte al Mont Blanc de Tacul e poi la prima salita dello sperone ovest dei Petits Charmoz.

Nel Gruppo del Monte Rosa, prima salita dello sperone nord-est della Roccia Nera, una prima ascensione di misto, ghiaccio e roccia, in uno dei più imponenti bacini glaciali delle Alpi, mentre nel Gruppo del Gran Paradiso lascia la firma aggiudicandosi nel 1960 la prima ascensione dello spigolo ovest del Becco di Valsoera, una bellissima via di pura roccia che costituisce ancora oggi una molto apprezzata classica del massiccio.

Tra i suoi più assidui compagni di cordata ricordiamo l’accademico genovese Enrico Cavalieri e l’accademico, nonché Ragno di Lecco, Romano Perego. Proprio con quest’ultimo Mellano, tra il 1961 e il 1963, scalò le tre grandi pareti nord delle Alpi: Eiger, Cervino e Grandes Jorasses, primi italiani ad aggiudicarsi questa prestigiosa triade di grandi ascensioni. Mellano ha inoltre frequentato le più famose pareti dolomitiche, come appare nella foto della locandina, scattata sulla via Cassin alla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo. Nel 1961 per le sue importanti realizzazioni Mellano sarà ammesso al CAAI e nella sua attività non mancheranno, negli anni successivi, anche spedizioni in giro per il mondo.

 

 

 

ANDREA MELLANO CopiaInfine, con grande intuizione ed in linea con i cambiamenti in divenire nel mondo della scalata, fu l’ideatore e l’organizzatore, insieme a Emanuele Casarà, delle prime gare di Arrampicata Sportiva in Italia. La manifestazione, novità assoluta e clamorosa (patrocinata da vari enti, fra cui il Gruppo Occidentale del CAAI) ebbe luogo in Valle Stretta presso Bardonecchia nel luglio 1985. Fu inoltre lui a creare la FASI, la Federazione di Arrampicata Sportiva Italiana e a ricoprire per alcuni anni il ruolo di Presidente.

Un’attività quindi, quella di Andrea Mellano, che attraverso mezzo secolo di montagna, ha saputo attraversare le diverse fasi della recente storia dell’alpinismo e della scalata, sempre con una visione all’avanguardia e in linea con i tempi.

Tutto questo Andrea Mellano ce lo racconterà nella sua serata, lunedì prossimo 4 aprile a Cogoleto.

Interverrà alla conferenza anche il Presidente Generale del Club Alpino Accademico, Mauro Penasa, e Fulvio Scotto Presidente del Gruppo Occidentale.

Si ringraziano per il patrocinio Regione Liguria e la Sezione CAI Arenzano che organizza la serata presso l’Auditorium Berellini (ore 21) a Cogoleto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Prossimi appuntamenti:

12 maggio - MONTE BIANCO, SULLE TRACCE DEI GRANDI - dell'accademico LUCIANO PEIRANO - a cura della GIOVANE MONTAGNA (GE), a Genova (Palazzo Ducale)

25 maggio - MERAVIGLIE DI GHIACCIO, SCALATE SULLE CASCATE PIU' BELLE DELLE ALPI - dell'accademico ANSELMO GIOLITTI - Genova Sestri Ponente

Maggio (data da stabilire)- TRILOGIA DI UN INCANTESIMO - dell'accademico GIANNI GHIGLIONE - a cura del CAI di Finale, a Finale Ligure (SV)

Sabato, 26 Marzo 2022 21:48

Nel percorso di "avvicinamento" al Convegno Nazionale CAAI dell'8 ottobre a Genova, il Gruppo Occidentale con il contributo di Regione Liguria ha organizzato una serie di conferenze-incontri rivolti al pubblico degli appassionati di montagna e alpinismo in Liguria, con lo scopo di diffondere la cultura dell’Alpinismo e far conoscere il Club Alpino Accademico.

ANTARTICA 2020

 

Foto 6 locandina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

275664155 4825658930815284 3235240211431295866 n

>  8 – 24 marzo 2022 Mostra fotografica “ANTARCTICA 2020” a Genova, Galata Museo del Mare

> 17 marzo - LE TRE PARETI NORD DELLE ALPI a Cogoleto (GE)

                     Grazie a Regione Liguria, Comune di Cogoleto, CAI Arenzano, Gruppo Geki, Comune di Genova

> 22 marzo - IMMENSO BLU (film sulla spedizione in Antartide degli accademici Gian Luca Cavalli, Manrico dell'Agnola e Marcello Sanguineti nel 2020) a Genova c/o Cinema Sivori ore 21

> 29 marzo - FEDERICA MINGOLLA - LA MIA VITA IN VERTICALE, DA SCALATRICE INDOOR AD ALPINISTA E GUIDA ALPINA - a cura del CAI Bolzaneto, c/o il Cabannun di Campomorone (GE)

> 4 aprile - ANDREA MELLANO - Dalla Rocca Sbarua alle grandi pareti nord delle Alpi, dall'alpinismo esplorativo extraeuropeo alla svolta degli anni '70-'80, il Nuovo Mattino e la rivoluzione dell'arrampicata sportiva                      - a Cogoleto (GE)

> 12 maggio - MONTE BIANCO, SULLE TRACCE DEI GRANDI - dell'accademico LUCIANO PEIRANO - a cura della GIOVANE MONTAGNA (GE), a Genova (Palazzo Ducale)

25 maggio - MERAVIGLIE DI GHIACCIO, SCALATE SULLE CASCATE PIU' BELLE DELLE ALPI - dell'accademico ANSELMO GIOLITTI - Genova Sestri Ponente

Maggio, data da stabilire - TRILOGIA DI UN INCANTESIMO - dell'accademico GIANNI GHIGLIONE - a cura del CAI di Finale, a Finale Ligure (SV)

...ed altri appuntamenti ancora in via di definizione.

a cura di Alberto Rampini

FOTO 5

 

Locandina MINGOLLA

 

 

 

Venerdì, 11 Marzo 2022 13:58

MEMORIE STORICHE a cura di Alberto Rampini

Via Castiglioni-Gilberti alla Ovest della Cima Busazza - Prima invernale 29-30-31 dicembre 1975

Quando le “invernali” si facevano in pieno inverno

Torre Trieste e Busazza Inverno 75Torre Trieste e Busazza Inverno 75

 

Versante ovest BusazzaVersante ovest Busazza

Riscopriamo un articolo pubblicato nel 1976 dalla Rivista della Sezione Ligure del CAI  leggi qui l'articolo

Giovanni Costa, genovese, il roveretano Sergio Martini e i trentini Marcello Rossi e Franco Gadotti, tutti poco più che ventenni, concepiscono l’idea di salire d’inverno la Castiglioni-Gilberti alla Cima Busazza, una delle grandi vie dell’era del sesto grado non ancora percorsa in invernale.

Attacco via Gilberti CastiglioniAttacco via Gilberti Castiglioni

Franco GadottiFranco Gadotti

Giovanni CostaGiovanni Costa

 

Pendii inizialiSui pendii iniziali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta di un itinerario emblematico dell’arrampicata libera pura, non estrema ma lunga, continua, su roccia di qualità varia e con uso limitatissimo di chiodi. Venti tiri di corda per un dislivello di circa 1000 metri.

Venne aperta con due bivacchi nell’agosto del 1931 dal roveretano Celso Gilberti e dal milanese Ettore Castiglioni, entrambi Accademici del CAI ed entrambi poco più che ventenni.

Colpisce la giovane età dei primi salitori e quella dei ripetitori invernali, in linea peraltro con una realtà storica oggi profondamente mutata.

 

Uno dei protagonisti, Sergio Martini, ricorda quell'avventura di 46 anni fa

Martini Sergio Martini

 

Chiunque abbia vissuto a lungo la montagna, ha sicuramente avuto dei momenti in cui hanno prevalso determinati interessi su altri. Gli anni 70, per me, sono stati particolarmente significativi per l'attenzione che ho dedicato alle salite invernali. Per ragioni di vicinanza, le Dolomiti sono state le montagne che ho percorso con maggior frequenza e poterle visitare anche in inverno è stata una scoperta affascinante e pienamente coinvolgente per l'epoca. Forse un preludio per quello che sarà in seguito il mio interesse per le grandi montagne asiatiche.

La Busazza invernale, raccontata con magistrale bravura da Giovanni Costa, mi ha dato modo di rivivere con profonda emozione e con un pizzico di nostalgia quelle fantastiche giornate. Un racconto a me sconosciuto fino ad ora. Grazie a Francesco Leardi per averlo riproposto.

Si ringrazia Sergio Martini per le foto d'epoca

 

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Da sinistra Martini Franco Gadotti Marcello Rossi Giovanni CostaDa sinistra Martini, Gadotti, Rossi, Costa

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Lunedì, 21 Febbraio 2022 10:21

orco 118LA SPESA ENERGETICA NELL’ARRAMPICATA

Oltre la legge di Sarrus-Rameau in uno studio di Piero Villaggio

Piero Villaggio, oltre a svolgere un’intensa attività alpinistica di carattere accademico, si è impegnato professionalmente ai massimi livelli come ricercatore e docente presso l’Università di Pisa dove ha insegnato lungamente Scienza delle costruzioni e tenuto corsi di Equazioni differenziali della Fisica matematica e Meccanica dei Continui.

Proponiamo un suo studio che cerca di porre le basi per un calcolo scientifico del dispendio energetico nell’arrampicata.

pdfLeggi qui l'articolo

Partendo dalla teoria “pendolare” della deambulazione, sviluppata dalla biomeccanica già agli inizi dell’ottocento, Villaggio avanza una serie di ipotesi che, anche applicando la Regola di Sarrus, porterebbero a poter misurare lavoro dinamico e sforzo statico delle varie fasi dell’arrampicata.

Al di là di ogni possibile considerazione in ordine alla verosimiglianza e, perché no?, all’utilità stessa dei risultati ipotizzati, rimane sicuramente l’apprezzamento per lo sforzo di analisi effettuato e la proposizione di un metodo scientifico per approcciare un problema che all’apparenza sfugge ad ogni razionalizzazione sistematica.

Piero Villaggio, già socio del Gruppo Orientale, ci ha lasciati nel 2014.

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Domenica, 23 Gennaio 2022 16:47

SCI RIPIDO – MONTE ROSSO D’ALA (2763M) - LA DIRETTISSIMA SU MONDRONE

La ricerca di percorsi nuovi su montagne poco battute è sempre stimolante, ma a volte si apprezza anche avere a disposizione un minimo di indicazioni che lascino più tempo per concentrarsi sul lato tecnico del percorso. O semplicemente ci suggeriscano un’idea alla quale non avevamo pensato.

Luca Enrico ci propone il racconto di questa probabile “prima” discesa direttissima dal Monte Rosso d’Ala ed una breve relazione tecnica ad uso chi avrà voglia di andarla a sperimentare.

Diverse relazioni della zona Valli di Lanzo si possono trovare sul sito www.vallidilanzoinverticale.it

 

IL RACCONTO

Ma così tardi?

Il Camisa sembra ripetere come un mantra questa frase tutte le volte che combiniamo una gita con gli sci. Anche questa volta.

Effettivamente non ha tutti i torti: è marzo, la giornata è stupenda, il pendio che vogliamo scendere prende sole fin dal mattino… forse un ritrovo più consono ai canoni dello scialpinismo non sarebbe stato male.

Ma ormai siamo a Mondrone, guardando in alto la neve sembra esserci e così iniziamo a risalire a piedi la strada sterrata che porta all’Alpe Pian Prà.

Invero qualche dubbio ci coglie. Di neve sotto ce n’è ben poca. Chissà se davvero dal dosso dove sorge l’alpeggio la situazione cambierà? Quasi pensiamo di scendere e andare sul versante opposto, alla Ciorneva.

Ma ci incuriosisce troppo salire di qua.

MONTE ROSSO DALA LA DIRETTISSIMA DA MONDRONE SALITA verde e DISCESA 10 SALITA in verde e DISCESA in rosso

Sappiamo bene che è uno di quegli itinerari effimeri, difficilmente in condizioni.

O è pericoloso o l’esposizione meridionale fa fondere la neve assai in fretta.

E’ l’11 marzo e marzo è un mese perfetto per lo sci, non fa ancora troppo caldo ma al contempo il sole ha già consolidato molti pendii, la neve tiene bene anche se non si scende all’alba, non come quei marcioni dove si galleggia a fine aprile o maggio.

Così fiduciosi saliamo, tagliando, dove possibile, i tornanti della strada poderale. All’alpeggio la situazione cambia. La neve c’è e sembra anche di ottima qualità. Rallegrati e sollevati da questa constatazione calziamo gli sci e iniziamo la salita, via via su pendii più sostenuti.

 

 

 

 

Voltandoci ogni tanto indietro, per ammirare il panorama o per fare una foto, notiamo sul versante opposto, proprio davanti a noi, il Monte Rosso d’Ala.  

E’ lì che troneggia imponente ed in primo piano, è a nord ed è ancora ben innevato.

Chissà se da davanti è sciabile? Sarebbe bello sciarlo arrivando direttamente a Mondrone

Un plateau sospeso e poi? Una lunga diagonale sembra unire la parte alta a Mondrone…….

Un lungo canale. Sembra molto bello, sicuramente estetico.

Ci andiamo domani?  Ecco allora che il presente comincia a proiettarsi nel futuro.

Raggiungiamo la cima orientale della Leitosa scendendone il suo bel pendio triangolare.

 

Dovremmo essere contenti di questa gita particolare, praticamente sconosciuta. Una chicca, e non solo delle Valli di Lanzo, tanto la sciata e l’estetica sono stupende.

Eppure invece siamo già completamente proiettati all’indomani.

MONTE ROSSO DALA LA DIRETTISSIMA DA MONDRONE TRACCIATO GLOBALE 1080x808Tracciato globale della discesa

Siamo di nuovo in tre, mio fratello, il Camisa ed io. Siamo di nuovo a Mondrone. Ieri guardavamo a sud, oggi i nostri occhi sono invece puntati a nord. Abbiamo anche un binocolo e iniziamo a guardare il “nostro” canale. Sembra proprio bello. Lo guardiamo bene, cerchiamo di capire bene dove si deve prendere l’ingresso. Abbiamo infatti deciso di non risalirlo ma di seguire l’itinerario della normale, scendendolo poi “a vista”. Sappiamo però bene che ciò che da qui sembra chiaro quando saremo là, sul plateau sospeso, non lo sarà più. Dobbiamo provare a prendere dei riferimenti per non sbagliare l’ingresso.

Poi partiamo. Oggi il tempo è decisamente cambiato, una pesante nuvolaglia copre il cielo.

Chissà come sarà la neve?

Facciamo poca attenzione alla neve che troviamo nel vallone che conduce alla Ciorneva, tanto da qui non scenderemo. L’itinerario è lungo, a quota 2280m lo abbandoniamo e traversiamo a sinistra verso il panettone finale del Monte Rosso.

Dossi, canalini e valloncelli ci portano sotto la pala finale. Calziamo i ramponi.

Il pendio è ripido e la neve molto dura.

Uhmm… speriamo non sia così anche di là…

Una vaga apprensione ci coglie, via via che la discesa si fa più vicina… Il Monte Rosso…

Siamo quasi in vetta, i ricordi si affollano nella mente… quanto tempo che non saliamo qui… saranno 27 anni o giù da lì. Era estate allora ed eravamo partiti da Pian Belfè, la sera arrivammo appena in tempo per prendere l’ultima corsa della seggiovia, evitandoci così la discesa fino ad Ala di Stura.

E’ bello ritrovarsi dopo tanti anni su questa cima, questa volta nella stagione invernale, sotto queste nuvole che sembrano quasi voler trattenere i ricordi non disperdendoli nello spazio.

Siamo in vetta.

          La bella cima del Monte Rosso d'Ala

Oggi non abbiamo fretta, certo il caldo non verrà a rammollire la neve. Non c’è propria alcuna fretta e ci godiamo questi istanti. Ci prepariamo lentamente, seguendo quello che è un rito… le pelli, la chiusura degli scarponi, il riporre i ramponi, il controllo degli sci…

Gli attacchi sono ben chiusi. I bastoncini ben saldi nelle nostre mani.

Il Camisa parte. Sciatore dalle doti eccezionali, si ferma sul primo ripido pendio costellato di massi sporgenti. Salta, una curva da fermo perfetta.

Una e poi un’altra, esce da quel labirinto. In un attimo è in fondo al primo pendio più ripido.

Noi seguiamo. Con meno eleganza e maestria, ma arriviamo pure noi in fondo.

Adesso si apre davanti a noi un pendio bellissimo, solo moderatamente ripido, il grande plateau sospeso.

La neve qui è molto bella, ce ne stupiamo quasi, non l’avremmo mai detto, e invece è perfetta, divertentissima.

Inanelliamo una curva dopo l’altra, una serpentina e poi ancora una. Ci avviciniamo velocemente al bordo inferiore del vasto catino. Adesso è ora di capire dove si trova l’imbocco del lungo canale finale.

Lo troviamo abbastanza agevolmente.

Il primo pezzo è ancora largo e ben sciabile. C’è solo un tratto, appena sotto, che ci lascia ancora qualche dubbio. Si tratta di un passaggio obbligato, che dà accesso al canale vero e proprio, in prossimità di una grotta.

Da Mondrone non siamo riusciti a toglierci completamente il dubbio.

MONTE ROSSO DALA LA DIRETTISSIMA DA MONDRONE TRACCIATO PARTE ALTA 1080La parte alta della discesa

 

Si passerà bene? Bisognerà togliere gli sci?

Arriviamo al passaggio obbligato, un saltino di roccia con sopra un po’ di neve. Una stretta cornice porta sotto la grotta. Sotto si apre il ripido budello del canale.

Senza togliere gli sci riusciamo con cautela a traversare sulla poca neve residua, un breve salto e siamo al centro del budello. Bellissimo.

Adesso il canale è continuo, lineare, non presenta più alcuna interruzione. Passiamo a fianco del gigantesco monolite che forma una specie di testa, ben visibile dalla piazza di Mondrone. L’ambiente è magnifico e suggestivo. La sciata superlativa. Ripida e continua ma mai esasperante. Puro divertimento.

Nella parte inferiore il canale si allarga sfociando nel torrente, è lisciato dalle grandi valanghe che hanno accumulato la neve a livello dell’acqua. L’ultimo dubbio: il torrente… si passerà bene?

 

Ogni preoccupazione si rivela nuovamente infondata, il torrente si passa senza alcuna difficoltà.

Ci cambiamo vicino all’acqua, a una meravigliosa pozza con l’acqua dai colori verde e blu. Il canale sembra quasi specchiarsi dentro.

Ci chiediamo come mai nessuno, almeno così sappiamo, aveva mai sceso in precedenza questo itinerario, così estetico e diretto.

Una gita che, come recitano alcuni libri, “merita di diventare una classica”.

 

NOTE TECNICHE E BREVE RELAZIONE

PUNTA: Monte Rosso d’Ala (2763m)

ALPI: Alpi Graie Meridionali

VALLE: Val d’Ala

LOCALITA’: Mondrone (Ala di Stura)

DISCESA: Direttissima da Mondrone

PRIMA DISCESA / DATA: L. Enrico, M. Enrico, D. Margiotta / 12-03-2017

ESPOSIZIONE: nord-est

DISLIVELLO COMPLESSIVO: 1580m

DIFFICOLTA’: 4.1 E1

MATERIALE OCCORRENTE: Ramponi, piccozza utile

NOTE:

Itinerario superbo per la bellezza dei pendii e del canale, la varietà dei passaggi, l’asprezza dei luoghi. Una delle discese più consigliabili di tutte le Valli di Lanzo e non solo.

Necessita di neve sicura. Ramponi ed eventuale piccozza per la salita del ripido triangolo sotto la vetta.

L’itinerario nella sua interezza è visibile dalla parte opposta (lato Leitosa per intenderci) ma le due sezioni sono ben visibili separatamente dal fondovalle. Il pendio sotto la punta e la dorsale dalla piazza di Ala di Stura mentre il canale dalla piazza di Mondrone.

Non sappiamo se sia una prima discesa ma l’itinerario è davvero bellissimo e meritevole di essere percorso.

DESCRIZIONE:

SALITA: Posteggiata l’auto nella piazza della chiesa di Mondrone abbassarsi subito dietro le case verso la Stura e superarla su un ponte in legno. Seguire quindi l’itinerario della punta Ciorneva (vedi relazione su Gulliver) stando sempre sulla sx idr. del Rio Vallonetto (sentiero per il lago Casias).

Dove la profonda gorgia termina, a quota 2280m circa, abbandonare l’itinerario della Ciorneva e piegare con ampio semicerchio verso sx al Monte Rosso d’Ala. Raggiungere per dossi e vallette il colletto alla dx dell’ultimo ripido pendio (quota 2550m). Salirlo sci in spalla (ramponi, picca utile).

          Sopra il livello della vegetazione

 

          Alla base del canale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MONTE ROSSO DALA LA DIRETTISSIMA DA MONDRONE TACCIATO CANALE 1080x808Tracciato della discesa nel canaleDISCESA: Scendere direttamente dalla vetta (non sui pendii sottostanti alla punta ma sul lato Lusignetto), su pendenze sostenute ma mai esasperate in mezzo a roccette rossastre, che permettono di portarsi nel centro della parete visibile da Ala.

Via via il pendio diviene sempre più ampio e meno ripido. Scendere il grande plateau avendo l’accortezza di stare più o meno vicino alla dorsale. Non scendere in un primo invitante pendio-canale (che guardando bene non può essere il nostro in quanto invisibile da Mondrone) ma scendere ancora fin dove la dorsale si fa meno marcata e sopra alla zona dove iniziano le piante (quota 2100m circa).

Imboccare allora il canale anche se sembra poco sotto sbarrato da un salto. Scendere il primo facile tratto fino a un brevissimo traverso (3 m circa) un po’ esposto ed obbligatorio a sx su una piccola cornice che immette in un ripido budello sotto una caratteristica grotta.

Continuare a scendere superando un’altra strettoia. Via via il canale diviene sempre più ampio e passa a fianco di un gigantesco masso con una specie di testa, ben visibile da Mondrone. Scendere allora in maniera evidente fino al torrente che si attraversa senza difficoltà.

In breve si torna all’auto. Il canale si può probabilmente imboccare anche un po’ più in basso, immettendosi ugualmente in quello principale. Itinerario da guardare bene da Mondrone.

 

 

 

 

 

 

Venerdì, 03 Dicembre 2021 18:53

SPEDIZIONE CITTA’ DI TRENTO 1971

rievocata al Convegno del Gruppo Orientale – Trento 6 novembre 2021

Il Convegno autunnale del Gruppo Orientale, ospitato dalla SOSAT nella storica Sede di Via Malpaga a Trento, ha voluto ricordare la figura del socio Accademico Bepi Loss, scomparso sul Nevado Caraz in Perù nel 1971 assieme al compagno di cordata Carlo Marchiodi.

Nel cinquantesimo della SPEDIZIONE CITTA’ DI TRENTO 1971 i protagonisti hanno tracciato un grande affresco non solo della spedizione ma anche del momento storico nel quale si collocava e un’analisi dell’impatto che ebbe sull’alpinismo trentino negli anni a venire.

L’ambizioso programma di salire l’Alpamayo e il Nevado Caraz si infranse dopo la conquista di quest’ultimo in prima assoluta da parte di Loss e Marchiodi, periti durante la discesa.

a cura di A. Rampini

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Sede SOSAT in Via Malpaga TN                                Il Presidente SOSAT Luciano Ferrari saluta gli ospiti

1Bepi LossBepi Loss ph Archivio Salomon

 

Carlo Marchiodi ph Archivio CristofoliniCarlo Marchiodi ph Archivio Cristofolini

   

 

 

 

 

Mario Cristofolini ph G. SalomonMario Cristofolini ph G. Salomon

 

 

Mario Cristofolini traccia un ricordo vivo di Bepi Loss e dell’ambiente alpinistico trentino dell’inizio degli anni settanta, nel quale maturò l’idea della spedizione, con immagini e aneddoti illuminanti.

 pdfMario_Cristofolini_ricordo_di_Bepi.pdf

 

Attrezzatura originale della Spedizione Caraz 1971 a ph G. SalomonAttrezzatura originale della Spedizione Caraz 1971 ph G. Salomon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Giorgio Salomon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giorgio Salomon ricorda la spedizione oltre che come alpinista anche dall’angolo visuale del cineoperatore/fotografo che ha fissato in immagini veramente suggestive le varie fasi della spedizione fino al suo tragico epilogo.

 pdfGiorgio_Salomon_BEPI_LOSS_NEVADO_CARAZ.pdf

 

 

 

 

 

 

 

                               Paolo Loss parla del padre Bepi con grande emozione

 

 

 

 

 

 

 pdfLoss_ricodo_di_Papà.pdf

Paolo Loss, figlio di Bepi e anche lui Accademico, ricorda il padre con gli occhi del giovane figlio che visse l’esperienza difficile della perdita del padre e che poi, ad un certo punto della sua vita, si incamminò sulle stesse orme del padre diventando alpinista di livello.

 

Paolo Loss ph G. Salomon

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Altri alpinisti presenti prendono la parola e portano il loro contributo, tra gli altri Vincenzo Degasperi, Silvia Stefanelli, Sergio Martini, Mariano Frizzera, Valentino Chini.

 Il Presidente Francesco Leardi ph G. SalomonIl Presidente Francesco Leardi ph G. Salomon

Franco de Battaglia, alpinista giornalista e scrittore, invia un interessante intervento di analisi del mondo alpinistico trentino prima e dopo questa spedizione, che segnò un discrimine importante tra modi diversi di intendere le"spedizioni"

pdfDe_Battaglia-NEVADO_CARAZ_Alpinismo_cambiato.pdf

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Attrezzatura originale della Spedizione Caraz 1971 b ph G. Salomon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Mariano Frizzera ph A. Rampini

                               Sergio Martini ph A. Rampini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Valentino Chini intervistato da Marco Furlani ph A. Rampini

 

                               Vincenzo De Gasperi ph A. Rampini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Silvia Stefanelli

 

 

 

 

Attrezzatura originale della Spedizione Caraz ph G. SalomonAttrezzatura originale della Spedizione Caraz ph G. Salomon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella Gallery di fine pagina immagini d'epoca dell'ambiente nel quale maturò la spedizione

 

 Nel corso del Convegno vengono anche presentati i colleghi ammessi all’Accademico quest’anno: Mirco Grasso, Diego Toigo, Ivan Maghella, Alessio Gualdo e Stefano Menegardi

                               I nuovi soci Accademici: Mirco Grasso, Diego Toigo, Ivan Maghella, Alessio Gualdo e Stefano Menegardi

 

 

 

 

 

 

 

Lunedì, 22 Novembre 2021 18:00

Il 18 novembre 2021 ci ha lasciati Carlo Zanantoni, socio CAAI dal 1975.

Proponiamo un ricordo del Centro Studi Materiali e Tecniche del CAI, con il quale ha collaborato per lunghi anni.

Zanantoni Carlo 1a

 

Ciao Carlo,

ci hai lasciati all’improvviso creando un grande vuoto. Per noi del Centro Studi Materiali e Tecniche che abbiamo avuto il piacere e la fortuna di lavorare con te, sei stato prima di tutto un amico e anche se non è facile parlare di te come uomo, considerata la tua estrema riservatezza, ti ringraziamo per l’esempio di senso di servizio, di profonda cultura e di umanità che hai saputo dare.

Ecco schematicamente il curriculum di Carlo Zanantoni:

Zanantoni era nato a Verona il 12/6/30. laureatosi nel 1955 all'Università di Bologna in ingegneria elettrotecnica aveva svolto professionalmente la sua attività prima all’AGIP (progettazione della centrale nucleare di Latina), poi nel 1959 alla Commissione delle Comunità Europee, dove aveva operato in Inghilterra al progetto di un reattore di ricerca ad alta temperatura. Dal 1962 aveva lavorato al Centro Comune di Ricerca di Ispra (Varese), prima nel campo della progettazione di reattori e cicli di combustibile, poi nel campo delle politiche energetiche e dell’analisi di sistemi. Era uscito dal mondo del lavoro a fine 1998.

Socio della SAT per alcuni anni a partire del 1947, dopo un lungo periodo dedicato unicamente allo studio e al lavoro era ritornato alla montagna iscrivendosi di nuovo al CAI nel 1962. Carlo era cresciuto alpinisticamente in Dolomiti realizzando anche ascensioni di notevole levatura. La predisposizione verso queste montagne era favorita dalla facilità con cui si potevano raggiungere dalla sua Bologna e dalle consolidate amicizie instaurate. Dopo il suo trasferimento a Varese aveva cominciato a frequentare con gli alpinisti varesini le montagne di granito e le pareti di ghiaccio, facendosi apprezzare da tutti per la sua umanità e la profonda cultura che spaziava in ambiti diversi. Nel 1975 era entrato a far parte del CAAI, Gruppo Orientale concludendo la sua attività alpinistica nel 1997 anche se continuava a frequentare l’ambiente montano. 

Zanantoni aveva iniziato a occuparsi di problemi di materiali studiando il ruolo della corda (1967) e dell'assicurazione dinamica (1968) nell'arresto di una caduta. I suoi studi erano stati pubblicati sulla Rivista del CAI ed era stato invitato da Mario Bisaccia come consulente dell’allora Commissione Materiali e Tecniche del CAI.

Gli operatori sul terreno erano Giorgio Bertone, Pietro De Lazzer, Franco Garda, Pietro Gilardoni ed Emilio Marmolada. Grazie alle sue ampie conoscenze in campo tecnico, Zanantoni rappresentava invece la mente scientifica del gruppo trasformando con un ordine matematico ciò che succedeva sul terreno scoprendone l’efficacia del nodo mezzo barcaiolo nel trattenere le cadute.

Bepi Grazian e Carlo Zanantoni Rocca PendiceBepi Grazian e Carlo Zanantoni a Rocca PendiceNel 1970 era diventato membro della Commissione e per un lungo periodo delegato italiano alla Safety Commission dell’UIAA. Nel 1980 era stato nominato presidente della Commissione Materiali e Tecniche e nel 1987 delegato italiano presso il CEN (Comitato Europeo di Normazione) per il trasferimento delle Norme UIAA in Norme EN e loro successive modifiche.

Carlo ha sempre offerto generosamente il suo tempo libero dagli impegni di lavoro per partecipare alle riunioni, instaurando a livello internazionale un rapporto tecnico-scientifico di notevole qualità.                                                                                                                           

Grazie alla sua capacità di dialogo nelle diverse lingue ha saputo, in questo lungo periodo, far apprezzare gli studi italiani anche a livello internazionale nelle varie riunioni svolte nelle diverse nazioni del mondo.

Citiamo solo come esempio il contributo della Commissione alle norme su corde, viti da ghiaccio, chiodi da roccia, dissipatori e freni.

Fra le varie attività vanno senz’altro segnalate la realizzazione nel 1990 di una particolare struttura, la Torre di Padova, e nel 2008 del nuovo laboratorio di Villafranca Padovana, poderosi impianti per le varie prove di assicurazione dinamica e utilissimi strumenti di divulgazione didattica.

Nel 1999 non si era ricandidato alla presidenza della Commissione, continuando però il suo lavoro nell’ambito prima della stessa e poi nell’attuale Centro Studi.

Recentemente Zanantoni si era fatto fautore nel CAI di un Osservatorio della Libertà con l’ovvio compito di capire e far capire: capire che cosa l'uomo della strada pensa del rischio in alpinismo e fargli capire se e dove sbaglia e per prepararsi poi ad ostacolare iniziative lesive della libertà tramite media e attività politica.

Per l’instancabile lavoro, la dedizione, l’entusiasmo e la professionalità svolta nel campo dei materiali e della sicurezza in alpinismo e in arrampicata ha ricevuto la Medaglia d’Oro del Club Alpino Italiano nell’ Assemblea Nazionale dei Delegati a Porretta Terme nel maggio 2012.                                                                                              

il CSMT

Alcune note del suo amico Adriano Castiglioni

Negli anni sessanta si dibatteva molto sul problema della sicurezza nella progressione della cordata.

I singoli alpinisti proponevano diverse idee tecniche che erano però difficili da concretizzare sul terreno. Mario Bisaccia che era già componente della Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo ebbe l’idea di costituire la Commissione Centrale Materiali e Tecniche di cui divenne Presidente e, con le sue spiccate doti di coordinatore, scelse attentamente gli uomini che dovevano collaborare nella ricerca sperimentale sull’assicurazione dinamica.

Pietro Gilardoni, Franco Garda, Giorgio Bertone, Pietro De Lazzer, Emilio Marmolada costituivano gli operatori sul terreno, ma Carlo Zanantoni era la mente scientifica del gruppo. Grazie alle sue ampie conoscenze in campo tecnico, si occupava già da anni del problema della resistenza delle corde e del concetto di assicurazione statica e dinamica.

In alcuni suoi articoli dell’epoca rimarcava come in Europa si sottovalutassero le prestazioni dei materiali usati dagli alpinisti mentre negli Stati Uniti si eseguivano da tempo prove sulla resistenza delle corde da arrampicata.

La Commissione Materiali e Tecniche iniziò le prime prove sull’assicurazione dinamica usando il nodo mezzo barcaiolo anziché i dispositivi frenanti con piastrine metalliche. Nel 1968, presso la palestra di roccia del Campo dei Fiori di Varese, veniva allestito il primo impianto per la tenuta del volo del capo cordata con fattore di caduta estrema. Furono eseguite innumerevoli prove per studiare il sistema di ancoraggio alla parete e verificare la funzionalità del nodo mezzo barcaiolo come assorbitore di energia.

Zanantoni aveva la capacità di trasformare con un ordine matematico ciò che succedeva sul terreno e con i suoi studi si scopriva l’efficacia del nodo mezzo barcaiolo nel trattenere le cadute.

Attraverso la sua capacità di dialogo nelle diverse lingue sapeva far apprezzare gli studi italiani anche a livello internazionale nelle riunioni U.I.A.A. che si tenevano nelle diverse nazioni del mondo.

Zanantoni prove tenuta mezzo barcaiolo e sticht SalewaZanantoni sovrintende alle prove di tenuta con mezzo barcaiolo e sticht SalewaNel Settembre 1973 ad Andermatt nel corso della riunione della Commissione Metodi di Assicurazione U.I.A.A. si doveva effettuare un confronto diretto delle tecniche di assicurazione presentate dalle diverse nazioni europee. Dimostratore del metodo italiano era Pietro Gilardoni che utilizzava esclusivamente i mezzi tradizionali della cordata (corda, cordini, chiodi e moschettoni).

Al termine delle prove e dopo attente valutazioni da parte della Commissione di Sicurezza, il sistema italiano veniva raccomandato come metodo ufficiale dell’U.I.A.A.

Il lavoro svolto sul terreno e gli studi effettuati da Zanantoni, avevano portato a questo importante riconoscimento.

Si iniziarono poi le sperimentazioni sulle tecniche di assicurazione su neve, sulla resistenza dei manici delle piccozze con assicurazione statica e dinamica e si studiarono i coefficienti di attrito sulla neve in collaborazione con la Scuola Militare Alpina Fiamme Gialle di Predazzo comandata dal Col. Carlo Valentino.

Le prove si eseguivano soprattutto nel periodo primaverile al Passo Rolle attaccando alla corda una slitta del peso di ottanta chili e facendola scivolare lungo il pendio. Si cercava di fermarne la caduta con un nodo mezzo barcaiolo applicato a una piccozza inserita nella neve. Le prime prove non avevano dato risultati positivi, le piccozze venivano divelte e i manici si legno si rompevano.

Zanantoni pensò di utilizzare un’apparecchiatura dinamometrica elettronica per registrare gli sforzi massimi durante la caduta della massa. Grazie ai dati forniti dall’apparecchiatura si è cambiato il sistema di posizionamento della piccozza nel manto nevoso e migliorata la tecnica di assicurazione.

I progressi nelle assicurazioni su neve furono presentati dalla Commissione Materiali e Tecniche alla riunione U.I.A.A. tenutasi in Marmolada nel giungo 1974.

Poi l’improvvisa scomparsa di Pietro Gilardoni, Mario Bisaccia e Giorgio Bertone aveva lasciato un terribile vuoto nella Commissione. Era importante superare il difficile momento per continuare il lavoro al quale loro avevano dedicato tante energie ed entusiasmo.

Carlo Valentino accettava la nomina di Presidente della Commissione e Carlo Zanantoni era nominato Vice-presidente.

Zanantoni venne poi nominato responsabile del gruppo di lavoro U.I.A.A. per la modifica delle norme sul label delle corde ed ispettore degli apparecchi Dodero abilitati alle prove per la concessione del label stesso. I contatti con i responsabili dei gruppi di lavoro delle altre nazioni diventavano sempre più frequenti e costruttivi. Con Pit Schubert, coordinatore tedesco dotato di elevata competenza tecnica e carica umana, aveva stabilito un ottimo rapporto di lavoro per provare la sicurezza dei diversi materiali.

Zanantoni aveva anche avuto l’incarico di gestire la Sotto-Commissione U.I.A.A. per le norme sulle piccozze, tema molto complesso perché riguardava sia le tecniche di assicurazione che la resistenza dei materiali.

Nel 1979, la riunione U.I.A.A. si era tenuta a Venezia con il supporto della regione Veneto. Nel corso di questa riunione oltre alle tematiche già dibattute venivano avanzate proposte per definire le norme sulle imbragature da arrampicata, sui moschettoni, sui caschi e sui chiodi. Il lavoro diventava sempre più imponente e Zanantoni chiese la collaborazione dell’Università di Padova e della Commissione VFG Materiali e Tecniche che già aveva dato un notevole contributo alla sperimentazione e alla elaborazione dei dati sulle prove fisiche.

Le proposte presentate dalle Commissioni Internazionali dovevano essere vagliate sotto un profilo scientifico e Zanantoni ha sempre offerto generosamente il suo tempo libero dagli impegni di lavoro per partecipare alle riunioni instaurando a livello internazionale un rapporto tecnico-scientifico di notevole peso.

Dopo la nomina di Carlo Valentino a Vice-Presidente Generale del CAI, la Presidenza della Commissione Materiali e Tecniche fu affidata a Carlo Zanantoni.

Con la collaborazione della Commissione VFG sono state effettuate le prove di invecchiamento e usura delle corde, dei cordini e delle fettucce; è stata allestita la Torre di Padova per approfondire il comportamento delle tecniche di assicurazione, le prove sui chiodi da roccia e le viti da ghiaccio e lo studio dell’impianto Dodero presso l’Università di Padova.

Il Presidente era sempre presente nelle fasi sperimentali con i suoi suggerimenti e le sue idee molto qualificate.

Verso il 1990 vennero approvati dall’U.I.A.A. i label definitivi sulle corde, i cordini, i moschettoni, le piccozze ed i caschi.

Tutti questi obiettivi che hanno permesso di dare maggiore sicurezza all’alpinismo sono stati raggiunti grazie all’instancabile lavoro ed entusiasmo di Carlo e sono stati fonte di grande soddisfazione per tutte le persone che hanno dato il loro contributo alle diverse attività.

Ricordo su Planet Mountain

Ricordo su Lo Scarpone

 

Lunedì, 15 Novembre 2021 18:41

PILASTRO VINCENT – Via Grassi-Meneghin

Una delle vie di arrampicata più belle del Rosa, soprattutto per l'ambiente in cui si trova, particolarmente selvaggio.

Anselmo Giolitti (CAAI) racconta la salita effettuata il 27 agosto 2021 assieme a Gianfranco Gilardini (CAI Torino), Marcello Sanguineti (CAAI) e Marco Bagliani (CAAI)

 

Il versante valsesiano del Monte Rosa, severo e selvaggio, richiede lunghi avvicinamenti e spesso garantisce completa solitudine. Offre un terreno dove si può ancora fare dell’alpinismo con la ‘A’ maiuscola! Tra le sue pieghe è incastonato il Pilastro Vincent. Grandiosa quinta rossastra che si protende verso Est sopra il bordo settentrionale del canale Vincent. Senza nome né quota sulle carte, con i suoi 4050 m il pilastro presenta uno sperone quasi verticale verso Est e una larga parete Sud verso il colle Vincent.

foto 0Il Pilastro Vincent dalla Punta Giordani (Ph Enrico Pessiva)

Nel 1982 le guide di Alagna Valsesia Osvaldo Antonietti e Francesco Enzio aprono una tra le vie più belle su roccia dell'intero gruppo del Rosa, la "Enzio-Antonietti": itinerario elegante, vario, su roccia solida e al riparo da pericoli oggettivi (TD con difficoltà di V e VI-). Poco distante, il 13 luglio 1983, Gian Carlo Grassi e Isidoro Meneghin aprono una via per lo spigolo sud-est, che di fatto segue la Enzio-Antonietti fin quasi alla grande cengia a metà parete, per poi proseguire a sinistra sull'ardito spigolo sud-est (TD-).

Proprio di quest’ultima abbiamo già più volte parlato ed è stata oggetto di ipotetiche programmazioni.
Questa volta è quella buona...almeno per partire! Si sono concretizzate infatti tutte le ‘congiunzioni astrali’ necessarie per organizzare!
Nel corso dell’estate avevo sentito più volte Gianfranco e Marco per combinare qualcosa e questa volta ci siamo tutti e tre. All’ultimo Marco mi informa che c’è anche Marcello. Si susseguono i rendez-vous a Torino e Romagnano e una tappa per mangiare qualcosa... nel pomeriggio avremo sicuramente bisogno di ‘carburante’ da bruciare: ci aspettano 1800 metri di dislivello e almeno 5 ore di cammino!! Lasciata l’auto poco sopra Alagna, usufruiamo della navetta per arrivare alla partenza del sentiero. Poco dopo le 13, ci siamo: si parte! L’inizio è piacevole. Si passa il rifugio Pastore all’Alpe Pile (tutto molto addomesticato e a misura di turista!) e poi si sale bene fino al bivio per il rifugio Crespi. Di qua il sentiero piano piano si riduce a una traccia, sempre comunque ben segnata.

Dopo un po', il primo paventato guado. Via gli scarponi. Per fortuna una corda è stata lasciata come corrimano: agevola i passi incerti, soprattutto dove l’acqua è più profonda, e il ‘boulder’ finale…un masso bagnato sul quale issarsi a piedi nudi!   foto 2
Di qua il sentiero si inerpica su un’infinita schiena d’asino fino alle pietraie sotto la bastionata, dove è posta la Capanna Gugliermina.
A quota 2200 circa ci carichiamo di acqua in quanto non abbiamo informazioni precise sulla presenza in seguito. I due litri e mezzo/tre di cui mediamente ci carichiamo si fanno subito sentire! Terminata la sfiancante schiena d’asino, entriamo un po' nella nebbia. Per seguire la traccia sulla pietraia, con le rade tacche, dobbiamo fare un po' più attenzione.

 

 

foto 1Verso la Capanna Gugliermina nel Vallone del Bors (Ph M. Sanguineti)

 foto 2 il guado con boulder finale foto M. SanguinetiIl guado con boulder finale (Ph M. Sanguineti)

foto 3In vista della parte alta dell'accesso alla Capanna Gugliermina (Ph M. Sanguineti)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando arriviamo in prossimità della parete dove si insinua il percorso ferrato rileviamo con piacere la presenza di una bella cascatella, per cui rabbocchiamo tutto il possibile.
L’ultima parte dell’avvicinamento, come succede sempre, sembrava più breve!
In poco più di 5 ore eccoci alla capanna Gugliermina.

  

 

 

foto 4 la Capanna Gugliermina foto A.GiolittiLa Capanna Gugliermina (Ph A. Giolitti)  

Bivacco ben tenuto, con ogni comfort (gas, pentole, coperte, luce). Complimenti e grazie al CAI di Varallo!

Io e Gian, che ci siamo un po' avvantaggiati, nell’attesa di Marco e Marcello, andiamo a recuperare ancora un po' di neve da sciogliere e a fare un sopraluogo sulla parte inziale dell’avvicinamento per il mattino successivo. Poco dopo ci ritroviamo tutti nella capanna. Sistemiamo gli zaini e ceniamo. Si scherza e si ride e la bella atmosfera di amicizia contribuisce a farci dimenticare la stanchezza accumulata nel lungo avvicinamento!

foto 5 si cena in una bella atmosfera foto M. SanguinetiSi cena in una bella atmosfera (Ph M. Sanguineti)


Programmiamo la sveglia alle 2.30, con l’obiettivo di arrivare alle prime luci alla terminale e magari…chissà…di riuscire anche a scendere in tempo ai Salati per l’ultima funivia.
Sveglia e partenza come da programma verso le 3.40. Superate le rocce sopra la capanna, segue un traverso a destra su ghiaioni, poi all’altezza di un nevaio prendiamo una rampa ascendente verso sinistra. Terreno sul quale muoversi con attenzione, ma il sopraluogo della sera prima ci ripaga: cominciamo a vedere radi ometti che, come da relazione, segnano la salita che prosegue rimanendo sempre leggermente a sinistra della dorsale. Qualche passaggio di II-III e il percorso, sempre un po' da ricercare, scorre comunque veloce. L’aria cambia e ci conferma che ci stiamo avvicinamento al bordo del ghiacciaio. In meno di due ore ci siamo. Calziamo i ramponi e ci leghiamo per attraversare il ghiacciaio delle Piode. Nell’avvicinarci alla terminale l’alba illumina sempre meglio il cammino.

foto 6Sul Ghiacciaio delle Piode verso il Pilastro (Ph M. Sanguineti)
Ci portiamo sull’estremità sinistra della terminale, al di sotto dell’attacco della via, dove pare più agevole guadagnare il labbro inferiore della crepaccia. Una volta sopra rileviamo che, invece, purtroppo è molto aperta! Attraversiamo completamente a destra dove un ponte ci permette di attaccare la parte superiore e con un tiretto di 20m siamo sul pendio superiore.

foto 9 sulla rampa di L1 foto A.GiolittiSulla rampa di L1 (Ph A. Giolitti)


Ci tocca riattraversare nuovamente tutto a sinistra per raggiungere l’attacco.
Parto poi con i ramponi sulla prima rampa che ha ancora neve. Dopo quasi 60 m raggiungo la prima sosta con cordoni su uno spuntone.
Gian mi raggiunge e riparte, ma dopo una quindicina di metri, dove il diedro si impenna, bisogna cambiare assetto. Calziamo le scarpette e infiliamo scarponi, ramponi e picca nello zaino. Questa seconda lunghezza sale prima in una fessura per poi spostarsi a sinistra più verticalmente sullo sperone.

La successiva è più facile, su placche di roccia molto bella.

 

 


Prendiamo troppo alla lettera la relazione nel tenerci sulle placche di sinistra e rimaniamo alti rispetto al muro che porta ad imboccare il diedrone dove prosegue la via. Salendo il tiro i dubbi miei e di Gian sono sempre più forti, fino a che li manifestiamo a Marcello e Marco, che seguono. Dopo una breve valutazione a loro pare subito chiara la linea di salita verso destra. Ce lo comunicano e proseguono correttamente, mentre noi ci caliamo con una doppia su uno spuntone e ci accodiamo.
La linea ci ritorna subito evidente, in un diedrone di roccia rossastra molto bella.

foto 7Anselmo nel superamento della terminale (Ph M. Sanguineti)

foto 10Nella fessura di L2 appena calzate le scarpette (Ph M. Sanguineti)

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

foto 8L'attraversamento del pendio sopra la terminale (Ph M. Sanguineti)

foto 11 Marco sulle placche di L3 foto A.GiolittiMarco sulle placche di L3 (Ph A. Giolitti)

 foto 12 nel diedrone di L4 foto A.GiolittiNel diedrone di L4 foto (Ph A. Giolitti)

 foto 13 L5 foto A.GiolittiL5 (Ph A. Giolitti)

 

foto 14 Gian su L8 foto A.GiolittiGian su L8 (Ph A. Giolitti)

 

 

foto 16 la Punta Parrot foto A.GiolittiLa Punta Parrot (Ph A. Giolitti)

foto 15 la Piramide e il colle Vincent foto A.GiolittiLa Piramide e il colle Vincent (Ph A. Giolitti)foto 17Marcello sullo sfondo della Nord della Punta Giordani (Ph A. Giolitti)

foto 18Il superamento della cornice finale (Ph M. Sanguineti)

Si sale la fessura, anche se a volte si scala discostandosi un po' su belle placche o muri molto lavorati. Un’altra lunghezza di 60 m pieni nel diedro ci porta fin dove la parete si apre verso destra.

Da questo punto ci si sposta leggermente a sinistra della sosta per una trentina di metri, su bellissime placche lavorate. Ritorna quindi evidente la linea di salita che va ad infilarsi nell’ennesimo diedrone.

Con due lunghezze, di cui la seconda con un passaggio di uscita strapiombante un po' da cercare, superiamo la parte verticale del pilastro e con un'altra su roccia più articolata e rotta siamo in cima al pilastro.

L’ambiente è grandioso, vediamo ormai vicini il colle e la Piramide Vincent e più in alto la Punta Parrot, ma non è finita!

Ci aspettano due tratti di cresta su roccia articolata, interrotti da una doppietta di 15 m.
L’ultima parte di cresta è ardita e impieghiamo un po' di tempo ad individuare il punto debole dove superarla. A complicare tutto si è sollevato un vento gelido che ci obbliga un po' a scalare con i guanti e un po' a lottare con il freddo a mani nude. Una lunghezza di 60 m su roccia rotta ci porta al pendio finale. Mettiamo via tutto il materiale, indossiamo finalmente i duvet e saliamo l’ultima lunghezza su neve, con uscita su una modesta cornice già lavorata da recenti passaggi.

Reciproche congratulazioni di rito, qualche battuta e lo sguardo ad ammirare il ghiacciaio Lys e tutte le vette circostanti, in solitudine! Non ci sono più altre cordate in giro! L’ipotesi di raggiungere l’ultima funivia era già svanita da un po', non ci resta quindi che scendere fino in rifugio e sperare in qualche posto letto disponibile.


Al rifugio Mantova troviamo posto per tutti e ancora un semplice piatto di minestra e una fetta di frittata, che in questi casi sono ottimi!! Al mattino ad Alagna ci rifacciamo con un’ottima colazione e ci scambiamo le ultime considerazioni su una salita impegnativa, completa e di grande soddisfazione, nonostante le difficoltà tecniche non elevate!

Domenica, 24 Ottobre 2021 14:32

ARRAMPICATA SU GHIACCIO E MISTO OGGI - Ricerca di nuovi obiettivi e adeguamento delle strategie

Appunti dal Convegno Nazionale CAAI di Bergamo 2 ottobre 2021 a cura di Alberto Rampini

Foto di copertina: Leo Gheza

Videoregistrazione completa degli interventi 

Videoclip Convegno Nazionale C.A.A.I. 2021

I mutamenti climatici incidono fortemente sull’ambiente montano, modificano l’andamento delle stagioni e soprattutto l’ambiente glaciale di alta montagna ne risente in maniera crescente. Ecco quindi che gli appassionati di salite su ghiaccio e misto devono adottare nuove strategie, nuove tempistiche e perché no inventarsi nuovi obiettivi.

Questo il filo conduttore del Convegno Nazionale CAAI svoltosi al Palamonti di Bergamo il 2 ottobre 2021.

Dopo il saluto di benvenuto del Presidente del CAI Bergamo Paolo Valoti e di Augusto Azzoni, Presidente del Gruppo Centrale, che ha organizzato il Convegno, Daniele Banalotti, Direttore della Scuola Centrale di alpinismo e arrampicata libera del CAI, porta il saluto del mondo delle Scuole di Alpinismo.

                               Augusto Azzoni presidente Gruppo Centrale CAAI

                               La palestra del Palamonti ospita il convegno

                               Capienza ridotta secondo le norme anti Covid

                               Daniele Banalotti Direttore Scuola Centrale di Alpinismo e Arrampicata libera del CAI

A seguire, Mauro Penasa, neo Presidente Generale, traccia un quadro degli impegni che attendono l’Accademico nel prossimo futuro.

Claudio Inselvini, brillante moderatore dell’incontro, illustra il tema del Convegno ed introduce i relatori, tutti specialisti di alto livello, che tratteranno le varie sfaccettature dell’alpinismo su ghiaccio e misto nell’attuale situazione climatica.

                               Mauro Penasa inaugura il suo mandato triennale come Presidente Generale del CAAI

 

                               Claudio Inselvini brillante moderatore del convegno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Giovanni Groaz relatore

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Groaz, precursore della scalata su cascate in Dolomiti, rievoca i tempi d’oro di questa disciplina e delle classiche su parete Nord

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Tito Arosio relatore

 

 

 

 

Tito Arosio, alpinista e studioso del clima, traccia un quadro circostanziato della situazione attuale dell’ambiente montano alla luce degli stravolgimenti climatici attuali. L’attento monitoraggio della situazione gli ha permesso ad esempio la salita della Nord Ovest del Badile in piolet traction. Un modo nuovo di interpretare la salita di una grande parete, illustrato con splendide immagini.

 

 

 

 

 

 

 

                               Marcello Sanguineti relatore

 

 

 

 

 

Marcello Sanguineti fa una carrellata delle più belle salite “effimere” del Gruppo del Monte Bianco, rese percorribili meglio che in passato se solo si sa cogliere l’attimo fuggente. Oggi più che mai occorre seguire con grande attenzione e competenza l’evolversi della situazione climatica e delle precipitazioni per individuare le strettissime finestre con condizioni favorevoli.

 

 

 

 

 

 

 

                               Ennio Spiranelli relatore

 

 

 

 

 

 

 

 

Ennio Spiranelli illustra le più significative vie di ghiaccio e misto delle Alpi Orobie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Matteo Faletti relatore

 

 

 

 

 

 

 

Matteo Faletti ci porta in Dolomiti, con il resoconto di prime salite impressionanti su grandi pareti calcaree in piolet traction lungo linee esili di ghiaccio effimero.

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Alessandro Baù relatore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alessandro Bau traccia un interessante parallelismo tra il sogno e l’apertura di grandi vie di roccia e di grandi vie invernali su terreno effimero. Avventure paragonabili per impegno e difficoltà, anche se spesso con livelli di rischio ben diversi.

 

 

 

 

 

                               Marco Verzeletti e Daniele Frialdi relatori

 

 

 

 

 

 

Infine Marco Verzeletti e Daniele Frialdi introducono il dry tooling di alto livello, preparazione fondamentale per le grandi prestazioni in piolet su linee effimere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                               Lorella Franceschini Vice Presidente Generale del Club Alpino Italiano

 

 

 

 

 

A conclusione degli interventi prende la parola Lorella Franceschini, Vice Presidente Generale del CAI, sottolineando che rappresentazioni di grande alpinismo come quelle portate dai relatori a questo convegno dovrebbero essere diffuse e proposte a modello di un alpinismo di avventura ancora possibile sulle nostre Alpi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lunedì, 27 Settembre 2021 18:10

VENTO DELL’OVEST

ALPINISMO TORINESE DALLA MORTE DI GERVASUTTI ALLE GARE DI ARRAMPICATA

 di Ugo Manera

 

1 Quintino Sella fondatore CAI 1863Quintino Sella, fondatore del CAI nel 18631. L’IMPORTANZA DI TORINO NELLA STORIA DELL’ALPINISMO

Torino si trova in un angolo estremo dell’Italia eppure negli ultimi 150 anni molti avvenimenti importanti hanno avuto avvio dalla nostra città. Limitatamente alla nostra attività è doveroso notare che il Club Alpino Italiano è stato fondato a Torino nel 1863 da Quintino Sella. Che qui è nato il Club Alpino Accademico Italiano nel 1904; che a Torino hanno sede la Biblioteca Nazionale ed il Museo della Montagna ed a Torino è nata la Rivista del CAI e vi è rimasta fino al 1976.

Sebbene, almeno nel dopoguerra, l’attività svolta dai torinesi sia stata meno voluminosa di quella svolta in altre città, soprattutto nel campo extraeuropeo, molte iniziative tra le più importanti hanno continuato a sorge ed a svilupparsi in ambito torinese, ad esempio qui sono nate le due riviste alpinistiche private (che purtroppo oggi sono scomparse): La Rivista della Montagna ed ALP e qui sono state organizzate le prime gare di arrampicata in Europa nel 1985.

Parlerò spesso di CAAI (Club Alpino Accademico), dedico perciò due parole per spiegare ai giovani che cosa é.

L’alpinismo nacque ad opera di esploratori che cominciarono a scalare montagne accompagnati da esperti montanari che divennero, in seguito, Guide Alpine: professionisti esperti che conducevano “i Signori Clienti” ed avevano la totale responsabilità della cordata. Il CAAI nacque per promuovere l’alpinismo senza guide, ossia emancipare gli alpinisti dal servizio dei professionisti. Negli anni l’Accademico divenne il gruppo di elite del Club Alpino Italiano che raccoglieva gran parte dei migliori alpinisti non professionisti. Va osservato che dalla fondazione fino ad epoca recente l’Accademico era riservato agli uomini, le donne non erano ammesse.

2 CAAI centenarioCAAI centenarioLa motivazione era che il gentil sesso, per motivi di costituzione fisica, non era in grado di svolgere l’attività richiesta per l’ammissione. Dopo lunga ed ardua tenzone i progressisti, tra i quali il sottoscritto, riuscirono a vincere e questo anacronistico concetto venne eliminato. Ora ii CAAI è aperto agli scalatori, femmine e maschi che, per farne parte, debbono presentare, all’atto della domanda di ammissione, almeno 5 anni di attività alpinistica ad alto livello condotta da primo di cordata.

2. L’ALPINISMO COME AVVENTURA, RACCONTATA SCRITTA E NON SCRITTA

Le motivazioni che spingono a scalare sono molte e variegate, dal fascino dell’ambiente alpino alla prestazione sportiva, ma non c’è dubbio che il motivo trainante è il desiderio di avventura abbinato al fascino della scoperta. Non è detto che avventura e scoperta siano prerogative dell’alta montagna o delle pareti lontane, si possono anche trovare su una parete posta sul fianco di una valle o su di un masso disperso tra i boschi. E’ naturale che ad attirare gli scalatori è stata in primo luogo la sconosciuta alta montagna ma poi, esaurito questo terreno come luogo di scoperta, ci si è rivolti ad altre strutture ignote fino ad arrivare ai massi di pochi metri, ma sempre con la stessa sete di avventura e con pari dignità.

Capita che chi vive un’avventura tenga tale esperienza per sé, ma il più delle volte la racconta e, se l’avventura è stata grande ed ha richiesto un coinvolgimento totale, il protagonista sente la necessità di raccontarla anche per iscritto in modo che non vada dimenticata nel tempo.

L’alpinismo offre delle grandi avventure e fin dal suo albore molti protagonisti hanno scritto per esternare le proprie esperienze. E’ nata cosi una letteratura alpinistica, un po’ anomala, di tipo prettamente autobiografico che quasi mai ha offerto spunti a racconti romanzati. Io mi colloco tra quelli che, ritenendo le avventure alpine esperienze appassionanti, credono che non debbano andare perse, per cui amo raccontarle e mi adopero per fare si che anche quelle che non sono state scritte possano essere ricuperate.

Il periodo dell’alpinismo torinese che mi accingo a raccontare è stato denso di vicende interessanti, a volte drammatiche, ma spesso divertenti e curiose; con attori che non hanno mai scritto nulla. Cercherò perciò di trasmettere è a mia conoscenza affinché queste vicende, vissute sotto la spinta di una passione irresistibile, non svaniscano nel nulla.

3 Giusto GervasuttiGiusto Gervasutti3. LA MORTE DI GERVASUTTI – 1946

Il 12 settembre 1946 sul Mont Blanc du Tacul cadeva Giusto Gervasutti nel tentativo di aprire una via sul pilastro centrale della parete NE. Finiva un’epoca di cui il Fortissimo era stato uno dei massimi rappresentanti, certamente il principale protagonista torinese dell’“alpinismo eroico”. Gervasutti aveva solo 37 anni e se fosse vissuto avrebbe ancora avuto molto da esprimere, magari nell’alpinismo extraeuropeo. Il mondo alpinistico torinese si senti orfano ma in breve espresse una nuova generazione di scalatori diversi da quelli degli anni ’30.

4. CONNOTAZIONE SOCIALE DELL’ALPINISMO TORINESE PRIMA E DOPO LA GUERRA – NASCITA DEL G.A.M. – 1947

L’alpinismo torinese di punta dell’anteguerra ha una collocazione medio borghese, i suoi esponenti principali sono: avvocati, ingegneri, professionisti, artisti, studiosi….. La così detta “classe operaia” è quasi assente. Nell’immediato dopoguerra tale collocazione appare invertita. I giovani che, dopo la morte di Gervasutti, rilanciano l’alpinismo torinese sono in prevalenza operai e hanno vissuto da adolescenti, il dramma della guerra. Le loro disponibilità economiche sono scarse ed essi raggiungono le grandi montagne a prezzo di pesanti sacrifici.

Con l’obiettivo di unire e sostenere questi nuovi protagonisti nel 1946 nasce il GAM (Gruppo Alta Montagna) che, non a caso, trova origine nella sezione UGET che, tra le due sezioni torinesi, è quella dalla fisionomia più proletaria. Il GAM si propone di raccogliere gli scalatori con attività alpinistica rilevante al fine di promuovere la formazione di cordate in grado di affrontare le più difficili scalate dell’attualità.

5 Mont Blanc du TaculMont Blanc du Tacul

 

4 I FallitiI Falliti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1960 veniva pubblicato il primo numero dell’annuario Liberi Cieli della sezione UGET. Scorrendo lo storico bollettino appare evidente che, sebbene edito a nome della Sezione tutta, era principalmente l’espressione di uno dei componenti dell’UGET: il Gruppo Alta Montagna. Il presidente del GAM, Guido Rossa, in una scarna ed essenziale prefazione così sintetizzava storia ed intendimenti del Gruppo:

6 GAM UgetGAM Uget<< Nel 1947, dopo l’oscura parentesi della guerra, un gruppo di giovani torinesi, tagliati fuori dalle vicende belliche, dalle grandi tradizioni dell’alpinismo torinese, muniti solo di un immenso bagaglio di progetti e speranze, unitamente al desiderio di diventare degli autentici “montagnards” decisero di riunire in una unica somma le nozioni ricavate dalle loro disunite attività alpinistiche.

Nacque così il GAM in seno alla Sezione UGET i cui intendimenti, benché modesti, furono linearmente chiari: creare un ambiente alpinistico di un certo valore nelle leve giovanili nel quale poter trovare il compagno di cordata per affrontare le difficoltà delle: “Grandes Courses”.

Ora il GAM conta 13 anni, pochi, ma sembrano tanti ripensando agli amici incontrati, ai bei ricordi acquisiti, alle ore felici e piene vissute grazie ad esso.

Il GAM ha servito in questo modo, nel limite delle sue possibilità, la causa della grande montagna e dell’evoluzione dell’alpinismo. Per questo i soci del GAM salutano chi divide con loro una passione che è scuola di vita >>

Dalla sua fondazione il Gruppo aveva avuto, come presidenti: Salomone Giulio (1947-1949), Ghigo Luciano (1950-56), Mauro Giovanni (1957), Rossa Guido (1958-1960)

Il GAM non era un gruppo di “elite” confrontabile in sede nazionale al CAAI (Club Alpino Accademico Italiano) ma era una selezione di alpinisti attivi ad alto livello formante groppo nel quale, come scrive Rossa, trovare il compagno per affrontare le grandi salite. Il Gruppo Alta Montagna aveva un limitato numero di soci dovuto alla dinamicità di un preciso regolamento che disciplinava sia l’ingresso che la permanenza.

Il regolamento prevedeva che per ottenere l’ammissione occorreva, tramite le salite compiute, totalizzare 1000 punti in due anni di attività. Per la permanenza nel Gruppo era necessario, in ogni caso, presentare l’attività biennale che doveva raggiungere gli 800 punti. Chi raggiungeva i 5 anni di permanenza e non svolgeva più una attività alpinistica rilevante, poteva rimanere nel Gruppo come socio onorario, senza diritto di voto. Il punteggio necessario per l’ammissione e la permanenza era ricavato attraverso una semplice e razionale valutazione delle salite tramite efficace metodologia comparativa.

Negli anni ’50 per i giovani raggiungere ed operare in “alta montagna” era un problema di difficile soluzione; ristrettezze economiche e scarsità dei mezzi di trasporto spesso diventavano difficoltà più impegnative di quelle incontrate in parete. Poteva capitare poi che l’impresa tanto desiderata non veniva neanche tentata perché mancava il compagno preparato e pronto per la scalata.

Il GAM aveva come intento proprio quello di facilitare il contatto tra scalatori per formare delle cordate forti e determinate. Era, tra gli obiettivi del Gruppo, anche quello di fornire un piccolo aiuto finanziario ai soci attivi per l’acquisto dei materiali di scalata.

Il Gruppo, grazie ai suoi intenti ed alla formula dinamica, rappresentava una entità ideale per i giovani di allora tanto che acquisì consensi e notorietà anche oltre i limiti regionali, troviamo infatti nel 1969 Alessandro Gogna come vicepresidente. Nel momento di massima fortuna del GAM si pensò anche di intervenire sulla formazione alpinistica ad alto livello organizzando, nel 1965, un corso di perfezionamento per alpinisti già esperti. Il corso venne però funestato dall’incidente mortale del pinerolese Raffi sul Corno Stella e l’iniziativa morì sul nascere.

Sul riflesso di idee maturate nel ’68 ed anni successivi, l’ammissione al Gruppo legata ad una formula matematica apparve come una limitazione alla maturità ed all’auto determinazione dell’uomo moderno per cui i punteggi per ingresso e permanenza vennero aboliti e questo fu l’inizio della fine del GAM. Qualche anno dopo, quando il Gruppo Alta Montagna era ormai agonizzante, ci fu un tentativo di reintrodurre il punteggio di ingresso ma il declino era ormai irreversibile, l’interesse tra gli scalatori attivi si era ormai perso ed il GAM terminò la sua vita nel 1981.

8 G. DionisiGiuseppe Dionisi5. 1948 - NASCITA DELLA SCUOLA GERVASUTTI – GIUSEPPE DIONISI

Nel 1948 venne fondata la scuola di alpinismo Giusto Gervasutti al di fuori della Sezione di Torino del CAI in quanto nella Sezione già esisteva una scuola: la Boccalatte. Uno degli scopi dei due fondatori era quello di aprire alle esigenze dei giovani di estrazione sociale più popolare e non più con tendenze un po’ elitarie come la Boccalatte che era gestita in primis dal Club Alpino Accademico.

A fondarla furono Giuseppe Dionisi e Giorgio (Gino) Rosenkranz, due personaggi molto diversi tra di loro che si erano conosciuti attraverso la moglie di Dionisi che già scalava con i fratelli Rosenkranz.

Giorgio Rosenkranz era un atleta, riserva della nazionale olimpica di ginnastica, eccelleva nell’arrampicata su roccia ed avrebbe voluto orientare la scuola più su scalate tecniche su roccia che verso l’alta montagna, aveva poi, probabilmente, una visione più impostata sui rapporti amichevoli che sulla disciplina.

Pur essendo legati da grande amicizia, tra Dionisi e Rosenkranz sorsero dei contrasti nella conduzione della scuola che culminarono con le dimissioni di Dionisi nel 1952, rientrate poi due anni dopo quando la scuola versava in difficoltà e stava per chiudere l’attività.

Nota di colore: la scuola nacque senza le donne, nel periodo dell’assenza di Dionisi vennero ammesse da Rosenkanz e quando rientro trovò diverse ragazze tra gli allievi. Un incidente però ne causò la definitiva cacciata: in una uscita della scuola si pernottava al bivacco Gervasutti nel bacino di Fréboudze nel Gruppo del Monte 7 Giorgio RosenkranzGiorgio RosenkranzBianco; nella notte si ritrovarono un istruttore ed una allieva nella stessa cuccetta a fare delle manovre un poco agitate, la brandina cedette ed i due caddero su un’altra allieva che dormiva al di sotto, la poveretta ne uscì con un braccio rotto. Decisione di Dionisi: le donne sono causa di indisciplina perciò fuori dalla scuola.

Anni dopo nacque una scuola di alpinismo femminile nell’ambito della sottosezione USSI del CAI Torino. Quando però, nel 1972, Dionisi usci dalla scuola, subito avvenne l’unificazione e le donne ritornarono alla Gervasutti.

Giorgio Rosenkranz nel 1954 partecipò ad una sfortunata spedizione himalayana al Monte Api e non fece ritorno, morì di malore su quella lontana montagna.

Dionisi ha avuto una grande importanza nell’alpinismo torinese per le vicende legate alla scuola Gervasutti, e con il suo entusiasmo ha avviato all’alpinismo nomi importanti come suo nipote Franco Ribetti e più tardi Gian Piero Motti.

Sul piano dell’attività alpinistica nelle Alpi non espresse molto di importante anche se dobbiamo registrare un coraggioso tentativo alla difficilissima cresta nord dell’Aiguille Noire de Peuterey con Giorgio Rosenkranz, conclusasi con un avventuroso ripiego lungo il versante nord. L’impresa non era in quel momento alla loro portata, la cresta venne poi vinta da due grandi dell’alpinismo internazionale: Jean Couzy e René Desmaison.

Notevole invece l’attività di Dionisi nelle spedizioni sulle Ande Peruviane, ne effettuò numerose conseguendo anche dei risultati importanti come le prime ascensioni del Pucahirca Central nella Cordillera Blanca ed il Trapecio nella Cordillera Huayhuash.

Dionisi era circondato da un gruppo di “fedelissimi” tra i quali Luciano Ghigo, Gino Balzola e Giuseppe Marchese che furono indubbiamente condizionati, anche nella loro attività individuale, dalla spiccata personalità del leader.

10a 1949 g dionisi scuola gerva

10b 1949 g dionisi scuola gervai

 

11 Grand CapucinGrand Capucin6. OBIETTIVI ALPINISTICI ALLA FINE DEGLI ANNI ‘40

Dopo la parentesi della guerra l’orizzonte alpinistico è ancora dominato dall’eco delle grandi imprese degli anni ’30 che hanno dato una soluzione a quelli che erano ritenuti gli ultimi grandi problemi delle Alpi.

Primo obiettivo è perciò confrontarsi con quelle grandi imprese che da anni attendono i ripetitori. In questa rincorsa primeggia la nuova generazione di scalatori francesi, le grandi vie di Gervasutti vengono ripetute per la prima volta dai francesi Julien e Bastien; tra gli italiani, nel riprendere le tracce del passato, è molto attivo un gruppo di giovanissimi lombardi tra i quali primeggiano Walter Bonatti ed Andrea Oggioni.

Presto però le ripetizioni non bastano più, ci si accorge che sulle Alpi di grandi problemi da risolvere ce ne sono ancora molti e che fuori dall’Europa ci sono le grandi montagne del mondo che attendono. Sulle Alpi quattro prime segnano marcatamente il superamento dei limiti raggiunti in precedenza: la parete Est del Gran Capucin, la parete Ovest del Petit Dru e nelle Dolomiti la cima Scotoni e la Su Alto di George Livanos.

Alla soluzione del problema Gran Capucin partecipa un torinese: Luciano Ghigo come secondo di cordata di Bonatti. Luciano, diviene Guida Alpina, cessa poi tale attività ed entra nell’accademico. Appare come persona calma e riflessiva ma poi anche lui ama lo scherzo ed il divertimento, affianca presto Giuseppe Dionisi nella scuola Gervasutti e con Dionisi condivide gran parte della propria attività individuale, comprese alcune spedizioni nelle Ande

14 mont blanc du tacul pilastriMont Blanc du Tacul pilastri7. LA CORSA AL PILIER GERVASUTTI

Nei giorni 29 e 30 luglio 1951, cinque anni dopo la morte di Gervasutti, venne aperta la via sul pilastro del Mont Blanc du Tacul ove era caduto il “Fortissimo”. Tale salita era diventata l’obiettivo di varie cordate internazionali, ma ad aggiudicarselo furono due giovani torinesi: Piero Fornelli, capo cordata, e Giovanni Mauro, sorprendendo tutto il mondo alpinistico di allora. Mauro fu istruttore della scuola Gervasutti fin dalla fondazione oltre che membro del Gruppo Alta Montagna. Fornelli era giovanissimo, secondo di una famiglia di 3 fratelli ed una sorella, tutti alpinisti.

Piero entrò nella scuola Gervasutti proprio nel 1951, l’anno dell’impresa sul pilier del Tacul. Era un fuoriclasse dell’arrampicata su roccia, forse il più forte tra i torinesi in quel momento. Nell’ambiente viene denominato “Peru Bel” per distinguerlo da un altro Piero. Quel Piero Malvassora, apritore della celebre via sul Becco Meridionale della Tribolazione, che è denominato invece: “Peru Brut”. Fornelli svolge una notevole attività alpinistica aprendo varie nuove vie, nessuna però più al livello del Pilier Gervasutti.

Il versante ENE del Tacul si può definire torinese: Il pilier Gervasutti, come abbiamo visto, venne vinto da due torinesi e torinese fu la cordata che si aggiudicò la prima invernale nel 1965, composta da Gianni Ribaldone e Dino Rabbi. Anche la prima solitaria fu opera di un torinese: Gian Piero Motti 1969. Precedentemente il grande canalone era stato salito da Gervasutti e Renato Chabod nel 1934 ed il pilastro ad est da Gabriele Boccalatte con Nini Pietrasanta nel 1936. Successivamente Il Pilier a Tre punte venne salito per la prima volta da Andrea Mellano e Beppe Ton con altri due compagni nel 1959 (prima invernale Grassi, Manera, Motti con il biellese Rava Miller, 1971). Infine il Pilier Sans Nom venne salito in prima ascensione da Gian Carlo Grassi e la prima solitaria con concatenamento di questi ultimi due piliers venne compiuta da Marco Bernardi nel 1980.

12 luciano ghigoLuciano Ghigo8. GIOVANI EMERGENTI

Nel corso degli anni ’50 vi è un fiorire di giovani talenti che lasceranno il segno nell’alpinismo torinese e non solo, citerò i più rappresentativi che hanno espresso un’attività ad alto livello volta alla ricerca del nuovo sia sul piano tecnico che nelle realizzazioni, non limitandosi quindi alla ripetizione di salite importanti.

Corradino (Dino) Rabbi, classe 1930, rappresenta tutto quello che c’è di positivo nella visione classica dell’alpinismo: grande rispetto della tradizione e della storia senza scivolare nel conservatorismo, forte su tutti i terreni, il suo alpinismo si esprime in tutte le direzioni, dalle ripetizioni alla ricerca di terreni vergini, sia sulle Alpi che sulle montagne extraeuropee, è rispettoso delle istituzioni del CAI e non sfugge alle responsabilità: passa attraverso innumerevoli cariche sociali dalla direzione della scuola Gervasutti alla presidenza generale del Club Alpino Accademico Italiano impegnandosi sempre con tutte le sue forze e con la massima serietà. Nel 1954 vince la severa parete nord del Corno Stella nelle Marittime, uno dei problemi importanti di quel periodo, la sua attività ad alto livello è diluita in moltissimi anni mai molto concentrata perché Dino non trascura la famiglia per privilegiare la sua passione e quando, nel mese di agosto, gli amici sono scatenati sul Monte Bianco o nelle Dolomiti, egli è in vacanza famigliare in Sardegna.

 

 

 

13 Piero FornelliPiero FornelliHa arrampicato con quasi tutti i giovani emergenti degli anni ’60 e ’70 in prime ascensioni, prime invernali, ripetizioni importanti, lasciando sempre via libera ai più giovani compagni ma contribuendo in modo determinante con il peso della sua esperienza. Una delle sue caratteristiche è stata quella di dare enorme valore al sentimento dell’amicizia, raramente ho scorto in altri un dolore così intenso come in Dino quando un amico cadeva in montagna o quando Guido Rossa venne assassinato dalle Brigate Rosse. Rabbi rappresentava la serietà in tutti i campi e non veniva coinvolto nelle imprese della banda di disperati della Villa Pisolino che vedremo in seguito.

Io cominciai a scalare montagne il 29 settembre 1957, ma non venni subito a contatto con il mondo degli scalatori di punta, avevo iniziato con un gruppo che praticava la collezione di cime rifuggendo le ascensioni difficili; quando cambiai indirizzo notai subito che vi era un nome che fungeva da riferimento tra gli arrampicatori: Guido Rossa, era riconosciuto da tutti come il più bravo e vi era un certo timore nell’affrontare i passaggi in libera delle vie da lui aperte. Si narra che la sua prima esperienza di arrampicata avvenne sulla parete dei Militi in valle Stretta a Bardonecchia condotto da Umberto Prato soprannominato “Tribula” per le tante tribolazioni che accompagnavano le sue scalate. Dopo aver superato “tribolando” e con dispendio di tempo il tratto iniziale, il capocordata comunicò all’inesperto compagno che era giunta l’ora di bivaccare e che avrebbero proseguito il giorno dopo.

Guido sulla Militi ritornò oltre trenta volte in tutte le stagioni ed anche in solitaria, tracciò delle vie che per quel tempo erano all’avanguardia e pochi avevano il coraggio di ripetere. Per rendere l’idea del livello e della sua determinazione basta osservare ciò che effettuò il 17 giugno 1956: sali lo spigolo Fornelli in 25 minuti, la via De Albertis in 40 minuti e la via Gervasutti di sinistra in un’ora.

15 Motti Rava Miller Grassi 1971 invern Pilier a tre PunteMotti Rava Miller e Grassi nel 1971, invernale al Pilier a tre PunteCredo che da Gervasutti fino a Marco Bernardi nessuno a Torino abbia espresso un talento nell’arrampicata comparabile a quello di Guido Rossa. In gioventù era attratto dalla voglia di andare contro corrente rispetto ai canoni dell’autorità costituita e di scherzare a tutto campo, con il più giovane Franco Ribetti ne hanno combinate di tutti i colori, il loro motivo conduttore, riferendosi al prossimo, era: “an tuca feje giré le bale “.

Fece una breve comparsa nella scuola Gervasutti trascinato da Ribetti in quanto era in ballo una spedizione nelle Ande su un obiettivo con grandi difficoltà di roccia e loro due erano i più attrezzati in quel momento per l’arrampicata; poi Ribetti si fracassò all’Uia di Mondrone e Guido usci dalla scuola in quanto gli obiettivi e la disciplina che la caratterizzava non erano compatibili con la sua mentalità.

 

 

16 Corradino RabbiCorradino RabbiAll’inizio degli anni ’60 rallentò il suo impegno nell’alpinismo attivo, militava politicamente nella sinistra e nel sindacato e l’impegno sociale divenne più importante della montagna stessa.

Ci siamo incontrati varie volte nelle assemblee del CAAI, abbiamo discusso di alpinismo e di temi sindacali ma ormai egli arrampicava solo saltuariamente anche se sempre sorretto da una classe eccezionale.

Era la sua una dirittura morale che non conosceva compromessi così egli, paladino dei diritti dei lavoratori, venne assassinato dalle Brigate Rosse.

Compagno di Guido Rossa nell’arrampicare ma più ancora nello studiare e combinare casini era Franco Ribetti; nipote di Dionisi. Cominciò ad arrampicare a 13 anni e a 16 era istruttore della Gervasutti. Franco non conosceva la paura, affrontava passaggi in libera con una determinazione che rasentava la temerarietà e perciò chiodava pochissimo. Come suo zio era conformista e molto rispettoso degli ideali tramandati dalla tradizione dell’alpinismo, così Franco era dissacrante e completamente inattaccabile da ogni sorta di mito. Era però molto affezionato a Dionisi, affetto ampiamente ricambiato, e spesso hanno arrampicato insieme dove a volte il più anziano veniva messo a dura prova dallo scatenato nipote.

Egli ha sempre preso molto sul serio la montagna per ciò che concerne rischi, preparazione e obiettivi, su tutto il resto si poteva scherzare e ridere. Con Franco arrampico da quasi 30 anni ed ho capito che della notorietà non glie ne è mai fregato nulla, scala perché gli piace e si diverte e perché ama fare gli sport di fatica. Non ha mai steso le relazioni delle vie che ha aperto ed ha scritto poche righe solo quando è stato costretto.

17 Guido RossaGuido RossaDice che se mai scriverà un libro il titolo sarà: “Stronzate Alpine”, perché egli è portato a dissacrare questo mondo così incline a mitizzare azioni e personaggi. Ma un libro non lo scriverà mai e spesso sono tentato io di raccontare quelle che lui chiama stronzate.

Andrea Mellano faceva gruppo a sé, pur appartenendo al GAM, aveva un gruppo di amici con i quali scalava abitualmente. Nelle più importanti delle sue imprese è quasi sempre in compagnia di un lombardo: Romano Perego e spesso con un genovese: Enrico Cavaglieri. Andrea è un alpinista serio con le idee molto chiare, è un ricercatore e scopre i problemi per poi risolverli.

Altri scalatori torinesi di quel periodo erano probabilmente più forti di lui nell’arrampicata ma Andrea è stato un realizzatore, caratteristica tipica di chi, magari non sorretto da un talento naturale, impara ad impegnarsi a fondo per raggiungere i propri obiettivi.

Il nome di Mellano è associato alla salita delle tre pareti Nord, ultimi grandi problemi degli anni ’30: Cervino, Eiger e Walker alle Grandes Jorasses, impresa mai realizzata in precedenza da scalatori italiani; ma, a mio avviso l’importanza di Andrea va cercata in altre realizzazioni come vie nuove, scoperte e realizzate con intelligente lavoro di ricerca; dallo sperone Young alla Nord delle Grandes Jorasses al Pilier a Tre Punte sul Tacul, dalle vie sulla Testata della Valle Grande di Lanzo alla Nord del Breithon. Ma la perla più brillante di questa collezione è lo spigolo Ovest del Becco di Valsoera, vinto nel 1960.

Andrea, più degli altri torinesi di quel periodo, raccontava le sue ascensioni, numerosi sono i suoi articoli sulle   riviste dell’epoca. La sua carriera come scalatore di punta non è stata molto lunga ma la sua opera è continuata con iniziative importanti e di ampie vedute, con il giornalista Emanuele Cassarà è stato l’inventore delle gare di arrampicata e uno dei fondatori del FASI (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana).

18 Franco Ribetti 1960Franco Ribetti 9. SCHERZO E DIVERTIMENTO

Il gruppo che faceva capo a Guido Rossa, pur nel rispetto dei pericoli legati all’alpinismo e fedeli alla tradizione che impone di non barare millantando imprese inesistenti, aveva eletto lo scherzo, spesso molto incisivo, come motivo conduttore nei momenti di pausa tra le scalate. Guido congedandosi dalla naja si era portato dietro un po’ di esplosivi: tritolo, petardi da esercitazione etc. Con quel materiale combinarono un bel po’ di casini. Sulla via Gervautti alla Sbarua, nel traverso del primo tiro, vi era una grande lama incastrata che muoveva (visibile in una foto storica), Guido la fece saltare con una carica di tritolo.

Un giorno con Ribetti si trovavano alla capanna Gnifetti al monte Rosa per salire la Nord del Lyskamm, per “caso” negli zaini, tra gli attrezzi di scalata, avevano delle cariche di tritolo. Saputo che doveva arrivare una delegazione di notabili del CAI e visto che esisteva un solo ponte di neve per accedere alle rocce, sempre fedeli al principio di fare girare le palle al prossimo, decisero di far saltare il ponte di neve. Al momento dello scoppio Ribetti si trovava troppo vicino e venne scaraventato in un crepaccio dallo spostamento d’aria, fortuna volle che ci fosse un ponte di neve dentro il crepaccio che arrestò la sua caduta.

La più bella però avvenne a Villa Pisolino, era questa una grangia che faceva parte del campeggio UGET in Val Veni, il gestore del campeggio, nonché presidente dell’UGET, Andreotti, lasciava gratuitamente questa grangia ai membri del Gruppo Alta Montagna che erano perennemente a corto di quattrini. Questi avevano denominato Villa Pisolino la vecchia baita. Un giorno era ospite del campeggio un prete che 19 A. MellanoAndrea Mellanodoveva celebrare una messa in vetta al Bianco, era un tipo grande e grosso e molto alla buona che Andreotti sistemò nella “Villa” dato che erano i disperati qui residenti che si erano offerti di accompagnarlo in cima al Bianco. Per le sue dimensioni venne sistemato in una branda collocata sul pavimento e mal glie ne incolse; una notte decisero di farlo saltare in aria. Collocarono sotto i piedini della branda 4 petardi da esercitazione e, nel cuore della notte, mentre il reverendo dormiva profondamente, li fecero esplodere; il poveretto si sveglio mentre veniva proiettato in alto lui e la brandina. Per sdebitarsi, oltre che al Bianco, Franco lo portò anche al Dente del Gigante.

In cambio di buoni pasto ed altre agevolazioni quelli di Villa Pisolino si prestavano ad accompagnare abusivamente (non essendo guide) degli inesperti ospiti del campeggio in vari giri tra i ghiacciai del Bianco; una delle mete era la traversata Rifugio Torino- Chamonix attraverso la Mer de Glace. Capitò che Guido e Franco giunti nella seraccata del Requin, anziché seguire la retta via portassero la numerosa comitiva in mezzo ai crepacci ove non si intravvedeva più possibilità di uscita, qui giunti, fingendo grande preoccupazione, comunicavano di aver perso la strada e di non sapere più cosa fare, arrivavano persino a far finta di piangere per simulare disperazione. Quando la disperazione vera cominciava a farsi strada tra i “clienti” Guido diventava serio e dicendo “abbiamo scherzato abbastanza, usciamo da qui” conducevano in salvo i malcapitati, e tutto si concludeva con grandi risate e qualche bevuta.

Un colpo micidiale lo fecero ad Arturo Rampini aspirante scrittore e giornalista, segretario della scuola Gervasutti e cantore delle glorie di Dionisi nella spedizione Ande 1961. Arturo era un gran rompiscatole e si lasciava andare a scherzi piuttosto cattivi. Durante un corso per guide alpine, corsi che a quei tempi venivano condotti con la collaborazione delle scuole di alpinismo e dell’Accademico, bisticciò con uno dei presenti e per ripicca gli pisciò nello zaino. Saputa la cosa i suoi “amici” glie la fecero pagare: tolsero la mollica ad una pagnotta, spalmarono l’interno di merda e la farcirono con abbondante prosciutto, poi chiamarono Rampini dicendogli che aveva dimenticato il panino che il rifugista aveva preparato per colazione. Allora non erano tempi di abbondanza, al vedere un panino così ben farcito il malcapitato si precipitò sopra e gli aguzzini gli comunicarono la verità quando ormai ne aveva divorato metà. Vi lascio immaginare la reazione del poveretto.

20 Becco di ValsoeraBecco di Valsoera

 

21 anni 60 sul ValsoeraAnni '60 sul Valsoera

22 Sbarua via Gerva primo tiroSbarua via Gerva primo tiro

 

 

24 Giorgio BertoneGiorgio Bertone

 

26 Motti al Bec di MeaMotti al Bec di Mea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

10. 1963 - SPEDIZIONE UGET AL LIRUNG - NEPAL

Nel 1963 ricorreva il centesimo anniversario della fondazione del Club Alpino Italiano, la sezione UGET volle celebrare la ricorrenza con una spedizione himalaiana, l’obiettivo era il Lirung, una cima di oltre 7000 metri vanamente tentata da spedizioni giapponesi, era una occasione importante tenuto conto anche delle scarse iniziative del genere a Torino. Capo spedizione era Lino Andreotti e gli alpinisti, provenienti dal GAM, erano: Andrea Mellano, Giovanni Brignolo, Dino Rabbi, Alberto Risso, Guido Rossa, Giorgio Rossi con Cesare Volante medico. Non era un gruppo omogeneo, forse gli unici con la giusta determinazione in quel momento erano Mellano e Rabbi mentre Rossa cominciava a percepire altri interessi che stavano prevalendo sull’alpinismo; gli altri erano personaggi di secondo piano senza la mentalità vincente da protagonista. La spedizione venne funestata da una grave tragedia: Rossi e Volante morirono travolti da una caduta di seracchi e l’obiettivo principale venne abbandonato. Furono salite 2 cime sopra i 6000 metri e 2 oltre i 5000 metri.

23 Gianni RibaldoneGianni Ribaldone11. NUOVI PROTAGONISTI

Nel 1963 entrano nella scuola Gervasutti due giovani che non erano torinesi di origine, uno è a Torino per gli studi di ingegneria: Gianni Ribaldone, l’altro è valsesiano ed ha come obiettivo la professione di Guida Alpina: è Giorgio Bertone. Sono due scalatori eccezionali, spesso arrampicano insieme e sono legati da grande amicizia. Gianni è una forza della natura con una resistenza fisica eccezionale, ha una grande determinazione e non ci sono ostacoli che lo fermano, arrampica spesso con un altro giovane brillante della scuola: Alberto Marchionni e tra i due esistono divergenze di vedute espresse spesso vivacemente. Ribaldone spazia dalle Dolomiti al Monte Bianco, nelle Dolomiti ripete alcune delle vie più difficili del momento, nel Bianco ripete grandi vie, ne apre di nuove ed effettua delle prime invernali importanti come il pilier Gervasutti al Tacul e la via degli Svizzeri al Capucin. E’ un ragazzo intelligente e serio, che non trascura gli studi malgrado la travolgente passione per l’alpinismo; pratica anche la speleologia e gli viene assegnata la medaglia d’oro al valor civile per un salvataggio in grotta. E’ uno studioso ed in grotta scopre un insetto sconosciuto che ora porta il suo nome.

Nel 1966 durante un’uscita della scuola cade con due allievi sul canalone Gervasutti al Tacul.

Giorgio rimane alla scuola per due anni, scala con Ribaldone poi, conseguito il brevetto da guida, si trasferisce a Courmayeur. Diviene una delle più forti guide in attività, non scala solo con clienti e continua ad aprire vie estreme in estate ed in inverno. Arrampica anche con Gian Piero Motti e ne diviene grande amico. Con Renzino Cosson, anch’egli guida di Courmayeur, compie la prima italiana della via del Nose al Capitan. Ci fece ridere tutti quando, in una serata al teatro Regio organizzata dalla FILA e coordinata da Motti, ci raccontò in tono scherzoso, di come si erano presentati nel tempio degli scalatori americani da sprovveduti, con attrezzatura da alta montagna e scarponi rigidi. Diventò uno dei massimi esperti di soccorso alpino e di manovre di corda. Venne poi preso da una travolgente passione per il volo: troppo audace per la breve esperienza in quel campo, si schiantò con il velivolo sul Monte Bianco.

28 Paolo ArmandoPaolo Armando29 Claudio SantUnioneClaudio Sant'Unione

 

12. G.A.M. E SCUOLA GERVASUTTI CENTRI DI AGGREGAZIONE DELL’ALPINISMO DI PUNTA TORINESE

Alla metà degli anni ’60 la scuola Gervasutti ed il Gruppo Alta Montagna diventano sempre di più i centri d’incontro degli scalatori di punta torinesi e non solo, Il GAM sembra quasi mettere in secondo piano l’Accademico, quasi tutti i suoi membri sono anche istruttori della scuola.

25 Scuola seconda metà anni 60Scuola seconda metà anni 60Io fui ammesso al GAM nel 1964 e venni invitato come istruttore alla scuola nel 1965, ero autodidatta, non avevo mai abbastanza tempo per scalare, e fare l’allievo nella scuola mi sembrava una perdita di tempo. Spinto però da alcuni amici mi prestai volentieri ad entrare come istruttore, in questa veste mi resi conto di quanto si può apprendere e quanto ci si può migliorare restando nell’ambito di una scuola di alpinismo.

Nel 1965 divenimmo istruttori in 15 tra i quali un giovanissimo Gian Piero Motti che era stato brillante allievo e Giuseppe Castelli che aveva salito la Nord del Cervino con Mellano rimediando un congelamento ai piedi che però non limitò le sue eccezionali doti di arrampicatore.

La tragedia di Ribaldone sul Tacul lasciò un momentaneo vuoto nell’ambiente perché i personaggi che erano stati gli animatori degli anni precedenti avevano smesso o rallentato la loro spinta; Motti fu il primo ad occupare tale vuoto con una serie di ripetizioni di alta difficoltà e con l’apertura di nuove vie che spesso andavano oltre i limiti raggiunti dai predecessori, come la risoluzione del Diedro del Terrore sulla Militi, ove si era fermato Guido Rossa e dove si era arenato anche un tentativo di Bonatti.

Come sempre c’é chi frena su ciò che emerge, ed in quegli anni ho sentito più d’uno commentare negativamente l’attività esplosiva di Gian Piero formulando previsioni catastrofiche.

Per un po’ le nostre attività si svolsero parallele poi cominciammo a fare qualche cosa insieme e scoprimmo che seppure molto diversi, tante cose ci accomunavano. Ambedue amavamo il nuovo: mettere le mani su un tratto di roccia mai toccato da nessuno aveva per noi un fascino irresistibile.

Eravamo tutti e due appassionati di letteratura alpinistica e ci piaceva raccontare le nostre scalate e le emozioni che ne avevamo tratto, solo che mentre Gian Piero aveva una facilità di scrittura eccezionale, per me lo scrivere era sinonimo di difficoltà.

Cominciammo a scalare integrandoci a vicenda: Gian Piero sulla roccia arrampicava meglio di me ed io appresi molto da lui, io ero più forte su ghiaccio e terreno misto ed ero più duro e determinato in alta montagna. Ci piaceva andare da primi per cui iniziammo scalando insieme ma ciascuno a capo di una cordata, poi ci trovammo molto meglio a condividere la cordata alternandoci al comando.

Gian Piero proveniva da una famiglia borghese abbastanza agiata, la loro sede di vacanze era a Breno in Valle Grande di Lanzo e quella divenne “la Sua Valle“. Da ragazzo ne girò tutti gli angoli salendo colli e cime spesso da solo. I Motti conoscevano Giuseppe Dionisi il quale, vista tanta voglia di montagna, lo condusse alla scuola Gervasutti. Come allievo fu brillantissimo ad al termine dei corsi venne invitato nel corpo istruttori.

31 Bertone Motti Alberto Rosso 197Bertone Motti Alberto Rosso anni '70Gian Piero non è mai stato capito dai più, molti vedevano nel suo modo di presentarsi una forma di alterigia, certe sue assenze vennero interpretate come leggerezze egoistiche e poco responsabili. Invece egli era estremamente sensibile e soffriva molto per ogni atteggiamento critico nei suoi confronti; era generoso e timido di fronte al pubblico, in privato scriveva su tutti gli argomenti senza nessun timore nell’esternare le sue idee, anche se andavano contro corrente; di fronte ad un pubblico taceva, non mi ricordo di averlo mai visto condurre una proiezione o una conferenza, qualche volta, messo alle strette, catturava me e parlavo io; poi mi prendeva in giro per qualche frase colorita o impropria da me pronunciata; il nomignolo canzonatorio: Manera Pan e Pera me lo ha affibbiato lui.

 

 

34 Ugo ManeraUgo ManeraA quei tempi non esistevano i telefoni “cellulari“ e neanche tutti avevano il telefono fisso, due erano i punti di ritrovo più in uso per parlare di scalate e per combinarne di nuove: al giovedì sera al CAI in via Barbaroux, oppure, tutte le volte che ci capitava, presso il negozio di materiali per alpinismo dei Fratelli Ravelli in Corso Ferrucci, (ora non esiste più) il negozio era condotto da Leonardo (Leo) Ravelli (anche lui istruttore della scuola) figlio del mitico “Cichin” (Francesco) Ravelli. Li c’era sempre Pipi Ravelli con la sua barba bianca che gestiva il laboratorio e brontolava contro la moda delle picozze con manico sempre più corto. Spesso nel negozio si incontrava Cichin novantenne, vestito sempre con giacca e cravatta e costantemente aggiornato sull’attualità alpinistica. Un giorno, mentre discutevo con Leo, vidi entrare un ragazzo, sembrava un bambino si guardava attorno quasi fosse spaventato, chiese informazione sul prezzo di qualche attrezzo, ringraziò ed uscì: era Gian Carlo Grassi.

Gian Carlo è una delle figure più importanti dell’alpinismo torinese del dopo guerra, ebbe un inizio alpinistico difficile, cominciò a scalare da ragazzo animato da un entusiasmo enorme. Fu allievo della scuola Gervasutti e divenne istruttore, ma non si trovò a suo agio, le regole che vigevano allora non coincidevano con il suo modo di praticare l’alpinismo. Faceva un lavoro che odiava e che lo rendeva insoddisfatto, egli avrebbe voluto scalare a tempo pieno e vedeva il lavoro come un penoso impedimento. Legò presto con Gian Piero Motti con il quale effettuò molte delle sue prime scalate difficili, ma in posizione subalterna; raramente con Gian Piero riusciva a scalare da primo di cordata. All’inizio il nostro ambiente non fu generoso con lui, la sua perenne insoddisfazione e qualche incidente da sfigato gli valsero il nomignolo di Calimero, il pulcino piccolo nero e sfortunato. Per vivere di montagna, tra molte difficoltà, fece il corso guide e divenne guida alpina: il suo sogno era realizzato. Lasciato alle spalle il personaggio Calimero, Gian Carlo si avviò a diventare un grande protagonista dell’alpinismo.

33 MottiGiampiero MottiRitornò a Torino un torinese che si era trasferito a Milano per gli studi universitari: Paolo Armando. Egli non aveva amici in città per cui un giovedì sera si recò al CAI per trovare qualcuno con cui arrampicare. L’ambiente torinese non era il più idoneo a favorire amicizie istantanee: sempre un po’ chiuso ed indifferente nei confronti degli estranei.

Nessuno, come si suole dire in linguaggio attuale, lo cagò, e ciò fece emergere il suo spirito caustico e sarcastico che orientò verso gli scalatori locali.

Amava dissacrare con battute provocatorie e molti sono gli episodi che mettono in evidenza il suo spirito pungente.

Paolo Armando al di là di tutto è stato un grande alpinista ed il valore delle sue imprese appianò ogni contrasto, entrò nel GAM, diventò amico di tutti anche se ogni tanto tra le sue battute emergeva ancora qualche punzecchiata. La sua seppur breve carriera alpinistica è notevole: con Alessandro Gogna e Gianni Calcagno si aggiudicò l’ambita prima invernale della Nord Est del Pizzo Badile anche se con una tecnica stile himalayano che sollevò qualche critica, salì grandi vie dalle Dolomiti alle Occidentali con qualche prima” di grande difficoltà come la via sullo Scarason nelle Marittime con Gogna.

Cadde sulla Parete Nord del Greuvetta nel 1970 tentando di aprire una nuova via diretta.

Io non ho mai scalato con Paolo ma sono uno dei pochi a non aver avuto scontri polemici con lui. Nelle interminabili chiacchierate in strada, dopo la chiusura della sezione del CAI, a volte mi confidava le sue idee sull’alpinismo e quando fece una serata alla Galleria d’Arte Moderna, pochi mesi prima dell’incidente, volle che fossi io a presentarlo.

30 Rivista della Montagna primo numero 1970Rivista della Montagna primo numero 197013. LA RIVISTA DELLA MONTAGNA

Nel giugno 1970 esce il primo numero della Rivista della Montagna, è una pubblicazione indipendente, totalmente svincolata dagli organismi del CAI. Nel comitato di redazione vi sono Gian Piero Motti ed Andrea Mellano, quest’ultimo vi rimarrà solo per tre numeri mentre Motti ne diventerà direttore dal n. 22, ottobre 75, al n. 26, dicembre 76, per uscire poi dal comitato di redazione nel settembre 1978. Io all’inizio non ne condividevo completamente i contenuti perché mi pareva che la parte riservata all’alpinismo di punta fosse insufficiente, ma allora ero un po’ troppo assolutista, entrai poi a fare parte del comitato di redazione con il n. 28 del giugno 1977. La Rivista fu importante nel diffondere le nuove tendenze dell’alpinismo e dell’arrampicata che nel corso degli anni ’70 ebbe una vera e propria rivoluzione; questo soprattutto grazie all’opera di Motti che in quegli anni fu il punto di riferimento della cultura alpinistica torinese e non solo. Tutti gli argomenti innovativi vennero da lui affrontati e diffusi dalle pagine della Rivista con testi suoi e con traduzioni intelligentemente scelte dal mondo alpinistico anglo americano passando dall’apertura verso l’alto dell’ormai anacronistica scala Welzenbach delle difficoltà su roccia all’arrampicata ad incastro; dall’analisi dell’alpinismo californiano con le sue motivazioni, all’evoluzione dell’arrampicata in Gran Bretagna e all’uso delle pedule di arrampicata.

 

 

14. IL NUOVO MATTINO

All’inizio degli anni ’70 Gian Piero Motti era l’uomo di punta dell’alpinismo torinese e le sue idee influenzarono l’ambiente, non che fossero capite e condivise da tutti, anzi alcuni articoli male interpretati sollevarono critiche da alpinisti della vecchia guardia ma lui comunque era il punto di riferimento e lo rimase anche quando si allontanò dall’alpinismo attivo. E’ naturale quindi che ad inaugurare quel periodo che oggi si ricorda come “Nuovo Mattino” fosse lui.

32 Caporal tempi moderniCaporal tempi moderniNel 1972 Gian Piero ed io scoprimmo il Caporal e vi apriamo la prima via che battezzammo con un nome molto significativo: “via dei Tempi Moderni”, fu l’atto d’inizio del “Nuovo Mattino” da un termine coniato appunto da Motti in un suo scritto. Quel periodo durò circa 3 anni.

Molto si è detto e scritto sul “Nuovo Mattino”, spesso in modo impreciso, si è anche detto che fu il movimento che influenzò il ritorno all’arrampicata libera in Italia, non è esatto, innanzitutto l’arrampicata libera come la vedevamo noi allora era ben diversa da come la intendiamo oggi; poi in Italia il massimo promotore di un ritorno all’arrampicata libera, dopo l’abbuffata tecnologica dovuta al diffondersi del chiodo a pressione, fu Reinhold Messner, come è dovuta principalmente a lui l’apertura verso l’alto della scala delle difficoltà su roccia: il superamento del sesto grado!

E’ vero che fummo soprattutto noi i primi a diffondere in Italia le tendenze che andavano affermandosi negli USA, nel Regno Unito e anche in Francia.

Visti a tanti anni di distanza gli obiettivi principali che originarono il nostro Nuovo Mattino furono:

Tracciare vie con livelli di difficoltà superiori a quanto era stato fatto prima di noi, sia in arrampicata libera che in artificiale.

Dare pari dignità alle pareti poste a bassa quota rispetto alle pareti di alta montagna: la grande avventura poteva essere vissuta ovunque indipendentemente dalla quota.

Uscire dalla concezione eroica, ideale e drammatica dell’alpinismo, ancora tanto radicata tra gli scalatori italiani e di lingua tedesca. Pur accettando dei rischi inevitabili, fatiche e privazioni, a scalare volevamo andare per vivere avventure grandi varie e complete, non per sfidare” eroicamente” la morte, volevamo inoltre privilegiare i fattori tecnici e ludici su quelli emotivi.

Non è che le nostre idee fossero tutte originali, molte erano già rintracciabili per esempio tra il gruppo che faceva riferimento a Guido Rossa, solo che loro non le esternavano con la scrittura. Nella prefazione di presentazione del GAM a firma di Rossa, presidente dello stesso, sul numero 1 di Liberi Cieli del 1960, compaiono ancora i concetti di: << … la causa della grande montagna ……evoluzione dell’alpinismo…….. passione che è scuola di vita>> Concetti ormai scomparsi nella nostra concezione Novomattiniana dell’alpinismo.

35a Danilo Galante fessura Disperazione 1974Danilo Galante fessura Disperazione 197415. CIRCO VOLANTE E MUCCHIO SELVAGGIO

Nell’aprile 1972 con Gian Piero salii una difficile via sulla Paroi de Glandasse in Vercors, tale salita faceva parte della sistematica esplorazione delle pareti calcaree francesi intrapresa proprio da Motti e da me. Dietro di noi vi era una cordata di due giovanissimi uno dei quali era Danilo Galante, proveniva dalla scuola Gervasutti ove era stato allievo brillante. Si dimostrò subito molto dotato nell’arrampicata e, dopo i corsi alla scuola, iniziò a scalare con Gian Carlo Grassi che ritornava all’attività dopo il ricovero in sanatorio. Con lui si legò di grande amicizia. Danilo diventò il punto di riferimento per un gruppo di giovani tendenzialmente trasgressivo ed in questo gruppo venne chiamato “Il Mago” mentre Grassi, più anziano, veniva definito: “Maestro”. Il gruppo si autodefinisce, volta a volta, “Circo Volante” o “Mucchio Selvaggio”.

La trasgressione nell’alpinismo Torinese non era una novità, basta ricordare le imprese di Villa Pisolino, ma questa era una trasgressione diversa, non solo rivolta all’interno del proprio campo di attività ma manifestata a più ampio raggio come ad esempio: “spese proletarie”, prelievo di benzina da auto altrui ecc….

Eravamo tutti amici e quando capitava scalavamo assieme, ricordo con piacere un tentativo ad una grande parete calcarea francese nel giugno 1974, naufragato sotto la pioggia. Era condotto da Motti e da me seguiti da una cordata formata da Galante, Roberto Bonelli e Piero Pessa, tentativo sfortunato ma sorretto da tanta allegria. Ricordo con qualche rimpianto i lunghi discorsi sopratutto con Danilo e Roberto.

35 Grassi a TrentoGiancarlo Grassi a Trento

 

C’era però in questo gruppo una visione un po’ critica verso ciò che rappresentavamo io e Gian Piero.

Io ero per una forma di ordine, esemplificato da una ferrea volontà nel conseguire gli obiettivi e nel pretendere il rispetto delle regole che la tradizione ci aveva insegnato; Gian Piero era visto come il Principe, libero di scegliere senza tanti condizionamenti. Noi due poi eravamo un po’ ingombranti con le rubriche che curavamo sulla Rivista Mensile del CAI e con i tanti scritti che pubblicavamo. Ciò malgrado Danilo fu molto influenzato da Gian Piero.

Galante morì per sfinimento assistito da Grassi in Chartreuse, nel bosco sull’altopiano, stroncato dal maltempo, se fosse vissuto sarebbe stato uno dei protagonisti dell’arrampicata libera sportiva che sbocciò alla fine di quel decennio. Alcune sue vie dimostrano una concezione che era già proiettata in avanti.

Grassi, divenuto guida alpina incrementò ancora la sua enorme attività abbracciando tutti i campi; altri del Circo Volante continuarono a scalare ma senza formare più un gruppo definito e rappresentativo.

36 CAAI fine anni70 CichinCAAI fine anni '70 Cichin16. LA NUOVA ARRAMPICATA LIBERA 

Nella seconda metà degli anni ’70 un vento di novità arriva ad investire l’arrampicata libera su roccia, proviene inizialmente dalla Regno Unito poi successivamente dalla Francia e dalla Germania. Ancora una volta è Gian Piero Motti a farsi portavoce traducendo sulla Rivista della Montagna n° 33 del settembre 1978, uno scritto di Peter Boardman: “Dove sta volando l’arrampicata in Gran Bretagna”.

L’arrampicata libera diventava sempre più “sportiva”, quindi con regole che la disciplinavano, parallelamente prendevano importanza scale di valutazione delle difficoltà aperte verso l’alto tali da registrare e classificare gli enormi miglioramenti conseguiti dagli scalatori atleti. Come in tutti gli sport vennero sviluppate tecniche di allenamento che consentirono di arrivare a livelli di difficoltà sempre più alti.

37 albori dell arrampicataAlbori dell' arrampicata38 arrampicata in fessura 1975Arrampicata in fessura 1975Nasce un nuovo obiettivo: superare con le regole dell’arrampicata sportiva le vie aperte con ricorso alla scalata artificiale, ossia senza usare ancoraggi né per la progressione né per il riposo.

Per definire le difficoltà in arrampicata libera, noi torinesi sposiamo fin dall’inizio il metodo francese che applica una scala di valutazione molto semplice e razionale; quella numerico-letterale, oggi usata quasi universalmente.

Molti ambienti restavano conservatori e all’epoca si opposero alle novità, mi ha fatto impressione rileggere il verbale di una assemblea del Club Alpino Accademico Gruppo Occidentale del 17 dicembre 1978 dove una mia mozione per l’apertura della scala delle difficoltà oltre il sesto grado venne bocciata 6 voti a 11.

 

39 Messner 1976Messner 197640 patrik berhault a TorinoPatrik Berhault

 

44 GAM a Capo NoliGAM a Capo Noli

47 1983 Ribetti Manera Meneghin in vetta alla Lera1983 Ribetti Manera Meneghin in vetta alla LeraSempre più sport, quindi allenamento e necessità di tempo libero per praticarlo. Nasce perciò la voglia da parte di molti arrampicatori di scalare a tempo pieno come dei professionisti dello sport.

A Torino vi è molta sensibilità su questi temi. Promossi da Andrea Mellano, sempre aperto al nuovo, e da Emanuele Cassarà, vengono tenuti due convegni sul Settimo Grado, il secondo in occasione della Manifestazione Sportuomo 1980 promossa dal comune di Torino.

Fu un incontro importante, conoscemmo l’astro nascente del nuovo modo di arrampicare: il francese Patrik Berhault che si presentò con una chiarissima relazione sul suo modo di allenarsi sia fisicamente che psicologicamente, il suo fu un forte stimolo per i nostri campioni nascenti che servì a proiettare verso l’affermazione internazionale del più forte di tutti: Marco Bernardi.

 

 

 

41Marco BernardiMarco Bernardi

 

 

17. MARCO BERNARDI

Marco Bernardi è stato, probabilmente, il più forte arrampicatore dell’ambiente torinese del dopo guerra, il suo era un talento naturale che egli affinò applicandosi con intelligenza allo studio della dinamica della scalata ed allenandosi intensamente e scientificamente. Quando le sue straordinarie capacità erano già note legò con Gianni Comino e Gian Carlo Grassi che lo iniziarono, quasi giovane allievo, al giaccio estremo. Allievo sul ghiaccio si intende perché sulla roccia era già insuperabile. Dopo la morte di Comino sui seracchi della Poire al Bianco, continuò a scalare con Grassi aprendo le prime vie con passaggi di settimo grado nel gruppo del Gran Paradiso. Il legame di amicizia tra i due si interruppe dopo una salita al Capitan in Yosemite negli Stati Uniti.

Bernardi si impone nell’alpinismo internazionale con una serie di prime solitarie eccezionali tra il 1980 e l’81: il concatenamento in solitaria del Pilier a Tre Punte ed il Pilier Sans Nom al Mont Blanc du Tacul, la prima solitaria della via Gervasutti alla Est delle Jorasses e la prima solitaria del Pilier Derobèe sulla Sud del Monte Bianco. A queste imprese nel Massiccio più ambito dagli scalatori torinesi, va aggiunta la prima solitaria della difficilissima via Armando- Gogna sullo Scarason nelle Alpi Marittime.

Quello delle solitarie e dei concatenamenti era il motivo conduttore dell’alpinismo di punta in quel momento. E’ però un modo di scalare che impone forti rischi che Marco non è disposto a correre per cui non continua su quella strada. Diviene Guida Alpina e si afferma sempre di più nella nuova “arrampicata sportiva”, sarà il tracciatore delle prime gare di arrampicata a Bardonecchia.

45 Bernardi e GrassiBernardi e GrassiSulla pubblicazione Monti e Valli della Sezione CAI di Torino del secondo semestre 1983, in un articolo dedicato all’orrido di Foresto, sintetizza molto bene lo scostamento che va formandosi tra l’”arrampicata sportiva” e la concezione tradizionale e classica della scalata: <<….se si era scoperto il nuovo terreno a bassa quota e si iniziava a vivere l’arrampicata come un gioco, la tendenza rimaneva quella di aprire vie nuove anziché cercare di realizzare quelle già esistenti in arrampicata libera. La sensazione data dal raggiungimento dell’armonia tra forza, movimento ed equilibrio rimanevano inferiori per intensità a quelle date dalla conquista di una parete………………Si era comunque compiuto il passo comprendendo che l’esercizio di salire una parete poteva essere vissuto sportivamente senza le implicazioni dell’alpinismo………….Si iniziava a distinguere tra Alpinismo finalizzato alla realizzazione di un’impresa e Arrampicata come movimento fine a se stesso…… arrampicare sportivamente significa allenarsi sia a secco che in parete e richiede un impegno simile a quello della danza classica o della ginnastica artistica……….>>

Nella seconda metà degli anni ’80 Marco Bernardi si allontana dalla scena discretamente, in punta di piedi: la Montagna non è più il suo principale interesse.

 

 

 

 

43 Isidoro MeneghinIsidoro Meneghin

 

18. SPETTATORE ATTIVO

Pescando tra i ricordi dei fatti e dei personaggi mi sembra di esser uno spettatore che vede comparire, sparire, e ricomparire i protagonisti. Spettatore attivo però, sempre nella mischia condannato come: “L’Ebreo Errante” protagonista di un antico romanzo, a non fermarsi mai, sempre alla ricerca di nuovi compagni per nuove scalate. Ritorna Franco Ribetti dopo tanti anni di assenza, compare Isidoro Meneghin che mi è compagno in tante “Prime”

Nel 1981 chiude il Gruppo Alta Montagna, ha esaurito la sua spinta nell’alpinismo torinese.

Nel giugno 1983 si toglie la vita Gian Piero Motti, straordinario protagonista dell’alpinismo della nostra città.

 

 

 

48 Changabang versante SudChangabang versante Sud19. SPEDIZIONI

Se i torinesi sono stati protagonisti in molti eventi, lo sono stati molto meno nelle spedizioni extraeuropee. Nel 1981 viene organizzata una spedizione importante, ad una delle più belle montagne che esistano: il Changabang. Era divenuta celebre per le imprese di alcuni dei massimi esponenti dell’alpinismo himalayano. Io vidi quella montagna nel 1976 ne rimasi affascinato e mi ripromisi di fare di tutto per salirla. La nostra spedizione era composta da alpinisti della domenica e qualche sorriso certamente ci accompagnò: << cosa cercano dei dilettanti su una montagna da professionisti? >>. Malgrado tutto il Changabang venne da noi salito per una nuova via, in vetta Lino Castiglia di Alba e Ugo Manera.

L’appetito vien mangiando, dicono, così nel 1984 nuova spedizione nell’Hindu Kush Pakistano con obiettivo la sconosciuta catena dei Bindu Gul Zom.

49 Bindo Gol arrampicata libera a 5000 mjpgBindo Gol arrampicata libera a 5000 m

 

Una cavalcata attraverso cinque cime mai salite tra i 5200 e 6200 metri che offri una straordinaria arrampicata su granito seguita da aeree creste di misto. In vetta Lino Castiglia, Ugo Manera, Franco Ribetti e Claudio Sant’Unione. Parteciparono alla spedizione Corradino Rabbi e Giuseppe Dionisi, sessantanovenne, tante volte nelle Ande, desideroso di vedere l’Himalaya.

Due anni dopo il nocciolo duro della spedizione del Bindu Gul Zom con altri due scalatori ripartiva nuovamente per l’Hidu Kusch per un grande obiettivo ma fummo sfortunati, un fuoristrada si ribaltò nel viaggio di avvicinamento e nell’incidente perse la vita Alessandro Nacamuli, giovane istruttore della scuola Gervasutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

20. GARE DI ARRAMPICATA - ALP

Nel 1985 nasce la rivista ALP che accompagnerà l’evoluzione dell’Arrampicata Sportiva che si sta creando il suo spazio sempre più ampio (Purtroppo il cammino editoriale di questa rivista è finito). Lo stesso anno vengono effettuate le prime gare di arrampicata in Europa Occidentale. A volerle e promuoverle, tra tante difficoltà, furono Andrea Mellano ed Emanuele Cassarà.

51 1985 prima gara darrampicata1985 prima gara di arrampicata

 

50 ALP primo numero 1985ALP primo numero 1985

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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