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Club Alpino Accademico Italiano
Mercoledì, 26 Dicembre 2018 01:03

Un corso di alpinismo ed escursionismo eco-compatibile organizzato da Mountain Wilderness e dall’ISMEO con il patrocinio del Club Alpino Accademico Italiano

Foto di Emiliano Olivero e Silvia Mazzani

 

Il 28 agosto 2018 tre istruttori di alpinismo italiani ( Emiliano Olivero, Tommaso Castorina, Omar Scarpellini) sono partiti per il Pakistan, guidati da Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain Wilderness International e socio del Club Alpino Accademico Italiano.

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La meta è lo Swat Kohistan, estrema propaggine meridionale della catena dell’ Hindu Raj. Lo scopo non è stato quello di compiere l’ascensione di una delle affascinanti vette della zona, alte fino a seimila metri, ma di gestire un corso di alpinismo ed escursionismo eco- compatibile organizzato da Mountain Wilderness e dall’ISMEO ( Istituto Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente) e riservato a un gruppo di allievi del posto. Sono giovani che abitano in valli montane da molto tempo abbandonate dai visitatori stranieri interessati ad attività outdoors, ma allo stesso tempo esposte al serio rischio di un’ incombente colonizzazione turistica di bassissimo profilo, favorita da progetti di nuove strade di penetrazione. A causa della loro relativa vicinanza ai grandi centri urbani della pianura le alte vallate dello Swat già oggi sono le uniche, in tutta la grande catena himalayana, che possono essere raggiunte e frequentate senza dover necessariamente prevedere l’organizzazione complessa di spedizioni di tipo classico con lunghe marce d’avvicinamento alle vette. Le nuove strade renderebbero ancora più rapido il percorso. Un indubbio vantaggio in cui, purtroppo, si cela un pericolo per l’integrità dell’ambiente. Il corso di Mountain Wilderness ha avuto lo scopo primario di contribuire a neutralizzare per quanto possibile tale pericolo, fornendo agli allievi le competenze tecniche e culturali necessarie per proporre – dal basso - ai visitatori pakistani e stranieri una fruizione alternativa e lungimirante di quegli ambienti ancora incontaminati. Traendone, allo stesso tempo, reali benefici economici. Già durante il mese di giugno Mountain Wilderness aveva portato a termine la selezione dei 25 allievi che hanno poi preso parte al progetto. Quelli che hanno superato il corso hanno ricevuto un Diploma ufficialmente validato dalle autorità del Governo della regione Khyber-Paktunwa e potranno offrirsi come affidabili guide di trekking anche difficili o come facilitatori di spedizioni leggere in stile alpino; privilegiando sempre comportamenti rispettosi verso il valore delle montagne e la conservazione della loro preziosa wilderness. In questa prospettiva si è convinti che il Corso abbia favorito la comparsa di veri e propri presìdi ambientali disseminati sul territorio e sufficienti, si spera, a scoraggiare qualsiasi progetto di rozza manomissione. A questi nuclei di ex-allievi, consapevoli della posta in gioco, verrà anche affidato il compito di realizzare una guida cartacea, alpinistico/escursionistica dello Swat montano in cui saranno inserite, in appendice, le visite agli affascinanti ruderi dei monumenti buddhisti che ancora dominano le creste di molte colline nella parte più bassa della regione. L’idea di collegare in un’ unica esperienza culturale la frequentazione della montagna a piedi e le ricerche archeologiche fu sostenuta più di mezzo secolo fa dal famoso professor Giuseppe Tucci al quale si deve la scoperta e lo scavo dell’eccezionale patrimonio archeologico dello Swat e la sua identificazione con la mitica Uddiyana, da cui Padmasambava (Guru Rimpoché ) partì per convertire il Tibet al Buddhismo. Per queste ultime ragioni a Mountain Wilderness si è associata nel progetto l’associazione ISMEO che ha ereditato e porta avanti ogni anno con grande successo le ricerche iniziate da Tucci.

In prospettiva l’ultimo passo del progetto prevederà uno studio sul terreno, compiuto da un team di esperti, per l’istituzione di un vero e proprio parco nazionale dell’Alto Swat da offrire alle autorità competenti del Paese, come contributo italiano alla tutela di un ambiente naturale di grande valore, intriso di testimonianze storiche e culturali.

Il progetto è stato reso possibile grazie al coinvolgimento finanziario di Mountain Partnership, del Ministero Italiano per i Beni Culturali ( MIBAC), del MIUR, del Club Alpino Accademico Italiano, della sezione di Roma del CAI, di alcune aziende italiane e delle due stesse associazioni leader del progetto.

Testo ricavato dal comunicato stampa ufficiale di MW

 

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Il punto sull'attuazione del progetto è stato fatto in una conferenza stampa a Roma il 15 settembre, con l'intervento di Carlo Alberto Pinelli e la partecipazione di diverse personalità, tra le quali l'Ambasciatore del Pakistan a Roma S.E. Nadeem Riyaz.

Invitati ad intervenire ADRIANO LA REGINA Presidente INASA, GIORGIO MARRAPODI Direttore Generale DGCS MAECI, ADRIANO ROSSI Presidente ISMEO, ROSALAURA ROMEO Direttore Mountain Partnership FOA, LUCA OLIVIERI Direttore della Missione Archeologica Italiana in Pakistan SWAT, FRANCESCO SCOPPOLA Direttore Generale DG-ER MIBAC, EMILIANO OLIVERO Direttore della Scuola Centrale di Alpinismo del CAI e Direttore Tecnico del Corso 2018 in SWATT, ALBERTO RAMPINI Presidente Generale del Club Alpino Accademico Italiano.

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 Carlo Alberto Pinelli,  Direttore  Asian Desk                                                                                    S.E. Nadeem Riyaz Ambasciatore del Pakistan a Roma

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Sabato, 08 Dicembre 2018 22:19

CENTRO STUDI MATERIALI E TECNICHE

 

50 anni di test e sperimentazioni per la sicurezza in montagna

Grande festa sabato 1 dicembre presso la Sezione di Padova del CAI per il 50° anniversario della fondazione della struttura del CAI deputata allo studio dei materiali e delle tecniche. Nata nel 1968 come Commissione Centrale per i materiali e le Tecniche, nel 2009 è diventata Struttura Operativa del CAI prendendo il nome di Centro studi materiali e tecniche.

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                                                                          Massimo Polato attuale Presidente e Giuliano Bressan PastPresident                                                                                                                                                               

Vinicio Stefanello ha condotto l’incontro, presentando le varie autorità e ospiti intervenuti. Giuliano Bressan, presenza storica e per 18 anni Presidente del Centro e Massimo Polato, attuale Presidente, hanno tracciato brevemente la storia di questa importante istituzione e Carlo Zanantoni, per anni collaboratore appassionato, ha illustrato uno degli ultimi studi portati a termine (effetto spigolo e umidità sulle corde da arrampicata).

Infine il figlio di Mario Bisaccia, precursore degli studi sui materiali (e inventore del nodo “mezzo barcaiolo”) ha presentato l’interessante volume appena pubblicato in memoria del padre.

Il Presidente Generale Alberto Rampini ha portato il saluto del CAAI, ricordando come l’Accademico abbia da sempre sostenuto il Centro e contribuito attivamente con l’opera di propri soci, tra cui Mario Bisaccia che fu il primo Presidente, Pietro Gilardoni, Bepi Grazian, Carlo Zanantoni, Giuliano Bressan.

Domenica, 02 Dicembre 2018 23:18

 

Numero chiuso sul Monte Bianco.

Disposizione necessaria o attentato alla libertà?

Di Mauro Penasa

Il Club Alpino Accademico Italiano è costituito da soci che provengono dai luoghi più disparati e che si incontrano per la loro attività lungo il vasto territorio montuoso della nostra penisola. Per sua natura riunisce persone di diversa estrazione e con differenti ambizioni, per quanto accomunate dalla passione per la montagna e, almeno teoricamente, da una visione dell’alpinismo libera dai condizionamenti dettati da fattori economici e da interessi personali.

Non è quindi sempre facile definire una posizione comune: questa dovrebbe tener conto dell’opinione della maggioranza dei componenti dell’Accademico, ed essere collegata direttamente alla storia del Club, che ha coinciso per lungo tempo con la Storia stessa dell’Alpinismo Italiano.

Pertanto, nelle molte situazioni che coinvolgono il mondo dell’alpinismo in cui il Consiglio Direttivo dell’Accademico periodicamente si imbatte, si evita di prendere posizioni immediate, specialmente se ci si confronta su questioni locali.

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Di tanto in tanto però, a fronte di un mondo nel quale sempre più l’apparire è fonte di autoreferenzialità, ci troviamo costretti a esprimere un giudizio ufficiale, come è avvenuto per l’impiego indiscriminato dell’elicottero per attività ludiche in montagna.

L’eventuale silenzio dell’Accademico non va comunque considerato come una sostanziale passività di fronte ai problemi della montagna. Semplicemente, spesso questi vanno al di là del nostro ruolo, che è soprattutto di sorveglianza “etica”. Ci si occupa, e per fortuna sempre meno dopo le iniziative portate avanti in favore del “trad”, delle diatribe sulla chiodatura delle pareti, ci si impegna nel mantenimento di una discreta rete di bivacchi, ci si interroga sul futuro di una disciplina, l’Alpinismo di avventura, che è sempre meno favorita dalle nuove mentalità di frequentazione e sfruttamento dell’ambiente alpinistico.

In realtà il Club è molto interessato a promuovere il dibattito su temi delicati ed è in questa ottica che, ormai molti anni fa, si è iniziata la discussione sulla libertà di frequentazione della montagna. Il risultato è stata l’apertura di un “Osservatorio per le Libertà”, che ha avuto altalenante fortuna fino ad essere recentemente rinvigorito dalla nuova gestione assunta dal CAI stesso.

Neanche su questo punto fondamentale è però semplice definire una posizione ufficiale. Specialmente quando occorra sintetizzarla e scriverla. Perché deve poter essere applicabile in linea generale, tanto da rischiare di svuotarsi di ogni energia…

In quanto territorio non occupato, non sfruttato, e quindi “libero”, la montagna è da sempre sinonimo di libertà, che gli alpinisti interpretano con la possibilità di scalare e salire vette e pareti. Si tratta di un’attività da sempre socialmente apprezzata, bisogna ammetterlo. Per gli appassionati dell’idealismo tanto caro all’alpinismo classico, la montagna è un luogo in cui ci si eleva e differenzia dal resto dell’umanità, facendo qualcosa di assolutamente gratuito ed inutile… qualcosa che è però in grado di guadagnarci un indubbio livello di autorevolezza sociale, e che ci procura una certa sicurezza psicologica nelle situazioni più critiche.

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L’avvento quasi simultaneo della società “sicuritaria” e dell’alpinismo di massa ha però tendenzialmente creato situazioni stridenti. Intanto quella che un tempo era la figura riconosciuta dello scalatore, esploratore e pioniere avventuroso, si sta confondendo sempre più con quella del fruitore di un ambiente, tra l’altro molto più sensibile e delicato di quanto si possa pensare, alla pari del grande numero di frequentatori che più o meno consapevolmente fruisce in modo analogo delle stesse libertà.

Su questa massa si innestano le istanze della società sicuritaria. Il business del tempo libero e i grandi numeri ad esso collegati trasportano i problemi metropolitani nelle zone montane di alta frequentazione. In quanto tali, a chi è chiamato a gestirle piacerebbe tanto poter considerare effettiva l’assenza di rischi. Conseguenza immediata è che anche al di fuori delle aree più battute, l’esistenza del rischio è sempre meno tollerata.

Nessuno di noi ha la pretesa di poter fare ciò che vuole in qualunque situazione. Per quanto la montagna sia vista come terreno rappresentativo della libertà, ci si rende conto di come sia necessario limitarne l’esercizio… Così ci si deve confrontare con chi in montagna ci vive, con chi ne è frequentatore abituale od occasionale, con chi fa della montagna una professione o una missione volontaria, senza pretendere troppo che i galloni guadagnati sul campo possano mettere un buon alpinista in una posizione di preminenza “dovuta”… Questo confronto ha da sempre creato conflitti che gli interessati sono per lo più riusciti a stemperare ed a superare, lasciando alla montagna la sua dimensione di ideale spiritualità a cui tutti ci rivolgiamo.

Peraltro, nel mutamento delle cose, assistiamo ormai da tempo al passaggio dalla “società della vergogna” alla “società della colpa”, per citare formule di successo.

Per quanto trovare territori isolati non sia ancora un problema, scoprire che certi comprensori molto affollati sono ormai gestiti a suon di regole e divieti risulta spesso indigesto a chi alla montagna ha dedicato, se non una vita, una fetta considerevole delle sue energie e tempo libero. Quando ci si accorge poi che regole e divieti sono esportati con gran leggerezza a toccare direttamente la sfera della nostra libertà personale in modo evidentemente miope e ottuso, ecco che i territori isolati diventano sempre più costretti…

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Esiste però la necessità di affermare il diritto di poter rischiare, sempre che tale rischio sia governato dalla consapevolezza di correrlo. In tutte le discussioni in seno all’Accademico appare chiaro che ogni posizione che si richiami al diritto alla libertà di frequentazione della montagna debba essere accompagnata dalla necessità di averne consapevolezza, e dalla responsabilità che viene dall’esercizio di tale libertà. In quest’ottica vengono trattate, in linea generale, tutte le istanze con cui accade di confrontarci in rete, sui social, o di cui veniamo più o meno direttamente a conoscenza.

E’ quindi sempre abbastanza difficile digerire i tentativi di scarico di responsabilità sempre più frequentemente fatti dalle istituzioni demandate alla gestione del territorio, che derogano dalla richiesta di una presa di coscienza per prendere invece la forma di divieti di accesso legati a situazioni di potenziale pericolo, in genere dipendenti da instabilità del manto nevoso o di strati di roccia superficiali.

Queste limitazioni d’accesso sono ovviamente di tipo formale e perlopiù nient’altro che alibi per togliersi il pensiero. Un pericolo generico 5 sul manto nevoso è l’avvertimento di un pericolo serio, che dovrebbe comunque essere mediato dal buon senso e dal giudizio dell’alpinista, buon senso e giudizio che non deve mancare neanche in condizioni di pericolo 1, perché il rischio nullo in montagna è proprio solo una pia illusione e sotto una slavina si può sempre rimanere se non si usa il cervello.

Il problema principale è che le ordinanze su limitazioni e divieti di accesso sono intraprese senza interpellare la comunità degli alpinisti, ma basandosi su valutazioni (ad esempio bollettini meteo e valanghe) che sono per forza di cose generiche, anche quando dedicate al mondo della montagna.

Vietare l’accesso “tout cour” a un territorio è una severa limitazione della libertà personale, specialmente se, una volta emessa un’ordinanza, questa viene mantenuta anche al di fuori della situazione critica, esponendo di fatto un frequentatore “disobbediente” a conseguenze “legali” spropositate e soprattutto ingiustificate in relazione alla reale situazione sul terreno. Le associazioni alpinistiche non vengono quindi interpellate né per decidere la ragionevolezza di un’azione limitatoria né per monitorare la situazione che tale azione vuole gestire. Ciò mette potenzialmente il mondo degli alpinisti nelle mani di Magistrati che non conoscono l’attività in montagna né sono disposti ad “apprezzarne” i rischi, e che si devono basare sulla lettura ed interpretazione di manuali e regolamenti che vorremmo tenere sempre lontani dal terreno della nostra passione.

La limitazione dell’accesso ad aree molto frequentate ha ancora un’altra connotazione, quella della tutela ambientale. La restrizione dell’arrampicata nei siti di nidificazione risponde ad esempio alla sollecitazione dei gruppi ambientalisti interessati alla protezione dell’avifauna. In linea generale si concorda con questo tipo di istanze sempre che dettate da effettive esigenze e non da posizioni ideologiche di preminenza. In genere la risposta è positiva.

Un altro tipo di fenomeno è invece l’aumento del numero di frequentatori in zone delicate che porta a situazioni potenzialmente critiche. In presenza di grandi folle il ricorso al numero chiuso è in genere visto come una tollerabile necessità, ancorchè molto difficile da gestire equamente. Peraltro sulle Alpi non c’erano stati finora eclatanti esempi di restrizioni di questo tipo in alta quota. Finora, appunto…

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L’ordinanza del Prefetto dell’Alta Savoia, emessa il 14 agosto di quest’anno, ha limitato l’accesso al Monte Bianco per la via della Tete Rousse ai soli titolari di prenotazione presso il Refuge du Gouter, per il periodo dal 16 agosto al 17 settembre.

La prima reazione da parte di tutti è stata di disgusto, poi di preoccupazione…

Poi viene voglia di saperne un po’ di più…

Se si va a leggere l’ordinanza (vedi allegato), non è difficile immaginarsi quanto sia successo e le motivazioni che hanno portato a questo punto. E allora non si può che concordare con la decisione del Prefetto, dettata da questioni legate alla sicurezza causate dal sempre meno tollerabile livello di maleducazione che pervade l’uomo dei giorni nostri.

Siamo di fronte ad un’arrogante limitazione della libertà di accesso alla montagna? No, certamente no. Semplicemente la capienza del rifugio è limitata e, sistematicamente, chi in alta stagione non riesce a prenotare un posto fa finta di nulla, si presenta ugualmente e pretende, questa volta si in modo arrogante, che gli sia data assistenza ed un ricovero di fortuna. Un gestore di rifugio è tenuto a seguire regole di sicurezza relative al numero degli ospiti, la cui inosservanza lo espone a potenziali conseguenze “legali” certamente pesanti. Se la situazione si ripete in modo sistematico, si può concludere che alcuni alpinisti non hanno alcun rispetto per chi vive in montagna ed in montagna fornisce dei servizi al pubblico.

E non dobbiamo pensare che si tratti di situazioni solo legate alla affollata via normale al Bianco. Dopo poco tempo da quando il bivacco della Fourche è stato rimesso in ordine con impegno e fatica pochi anni fa, un alpinista spagnolo ne ha scritto paragonandolo ad un immondezzaio, e lamentando decisamente l’incuria dei frequentatori che in quel caso non possono essere che alpinisti, anche se di certo con un profilo etico straordinariamente basso… Anche allora il titolo sulla stampa colpiva – i titoli sono fatti evidentemente per questo – e sembrava suggerire una responsabilità del proprietario, dell’Accademico… Se ci si ferma ai titoli è ovvio che l’idea che ne viene fuori è fuorviata e non rispondente al messaggio reale, ma il mondo di oggi sembra muoversi sempre di più su questa pericolosa china...

Così se vogliamo far passare l’immagine “Numero chiuso sul Monte Bianco” non stiamo facendo un buon servizio alla comunità. La limitazione di accesso è solo colpa della superficialità di tanti alpinisti, che sarebbe ora ritornassero a vedere la montagna come un luogo di esperienza e non di record.

Si può essere certi che l’intervento della Gendarmerie non può che aver migliorato la situazione. Non bisognerebbe dirlo, ma tutti sappiamo che un bel ceffone dato al momento giusto è più efficace di mille parole. Del resto il buon senso ha comunque governato l’ordinanza prefettizia. E’ stata infatti, ovviamente, accordata al gestore la possibilità di deroga per accogliere alpinisti in condizioni di effettivo bisogno (nel nome della mutua solidarietà in montagna) e soprattutto è stato demandato alla Gendarmeria il giudizio sulla capacità dello scalatore di fare a meno dell’alloggio notturno, che sulla via di salita è costituito dal solo Refuge du Gouter.

A meno di eccessi di protagonismo da parte dei gendarmi, e questo è l’unico pericolo (anche se potenzialmente importante) nel momento in cui si dà a qualcuno la possibilità di giudicare l’adeguatezza di uno scalatore, non siamo in realtà di fronte ad una limitazione della libertà, bensì solo ad una regolamentazione pratica, dopo che i tentativi di procedere via avviso si è dimostrata inefficace.

Quindi in realtà non esiste numero chiuso sulla via francese al Bianco. Esiste il richiamo alla civiltà, di cui l’alpinista dovrebbe essere campione. Esiste il richiamo alla consapevolezza di dover salire la vetta più alta delle Alpi, con la preparazione che richiede e con il rispetto che merita. E se è necessario dormire sotto le stelle, bene, quella salita non potrà che essere un ricordo davvero indelebile, e non solo un dato su un curriculum.

 

Martedì, 09 Ottobre 2018 21:37

Stili a confronto.

Il diverso modo di approcciare le grandi montagne da parte dei quattro alpinisti invitati come relatori al Convegno Nazionale CAAI di Barzio sabato 6 ottobre 2018.

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I relatori. Da sinistra: Marcello Sanguineti, Luca Schiera, Fabio Valseschini, Denis Urubko.

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Luca Schiera, Fabio Valseschini, Denis Urubko

 

 

Fabio Valseschini, Luca Schiera, Marcello Sanguineti e Denis Urubko hanno raccontato il loro modo salire le montagne e la filosofia che vi sta dietro.

Un quadro fresco e spontaneo che ha offerto una panoramica di sicuro interesse sulle motivazioni profonde e le aspettative diverse di persone che interpretano quattro ben diversi modi di affrontare le grandi ascensioni e, probabilmente, la vita.

 

 

Mercoledì, 03 Ottobre 2018 18:41

Sabato 6 e domenica 7 ottobre si svolgerà a Barzio/LC il Convegno Nazionale 2018.

In allegato la locandina dell'evento.

Venerdì, 10 Agosto 2018 10:44

Tutti gli arretrati disponibili degli Annuari CAAI sono acquistabili on line con spedizione gratuita sul sito dell'editore IDEAMONTAGNA   

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Giovedì, 12 Luglio 2018 17:13

MAURIZIO GIORDANI vince il Pelmo d'Oro 2018 per l'alpinismo in attività

Ecco le motivazioni della giuria:

"Rientra a pieno titolo tra le eccellenze dell'alpinismo italiano. Affascinato dalla gigantesca parete d'argento della regina delle Dolomiti, la sud della Marmolada, comincia fin dagli albori della sua attività alpinistica a legare ad essa il suo nome. Vi aprirà vie nuove di continuità estenuante e difficoltà estrema, e vi compirà prime ripetizioni invernali e in solitaria di vie simbolo come la via Attraverso il pesce e Tempi moderni. Si afferma anche come il maggior conoscitore di questa parete, ripetendone la maggior parte degli itinerari e dando alle stampe due accurate guide e un libro, Marmolada, sogno di pietra,  impreziositi dalle sue splendide foto"

 

Lunedì, 04 Giugno 2018 23:07

MARIANO FRIZZERA, Accademico del Gruppo Orientale, è stato nominato Socio Onorario del CAI nel corso dell’Assemblea dei Delegati di Trieste del 26-27 maggio 2018.

Grandi imprese, dedizione al lavoro e profonda umanità nei rapporti interpersonali sono le caratteristiche che hanno fatto meritare questo prestigioso riconoscimento, come ha ricordato all’Assemblea il Presidente generale del CAAI Rampini.

A Mariano gli auguri di tutti i soci.

Domenica, 03 Giugno 2018 23:44

 

Nel corso dell’Assemblea dei Delegati CAI a Trieste sabato 26 maggio ha avuto luogo la cerimonia di premiazione dei candidati

al conferimento del Premio Paolo Consiglio 2018.

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Matteo della Bordella e David Bacci

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il riconoscimento è attribuito ogni anno dal CAI ad una o più spedizioni extraeuropee.

L’individuazione e la proposta delle candidature è demandata alla Sezione Nazionale CAAI.

A seguito della modifica del Regolamento del Premio del 2016, il riconoscimento viene attribuito a spedizioni a prevalente composizione giovanile.

Quest’anno si è ritenuto di premiare ex aequo due spedizioni, tra loro molto diverse, ma accomunate da più elementi: formate da giovani,

spedizioni leggere e quindi a basso impatto ambientale, autogestite, con spiccato carattere di avventura ed esplorazione, oltre a contenuto tecnico rilevante.

SPEDIZIONE PATAGONIA 2018 CERRO RISO PATRON

Composta da Matteo della Bordella e Silvan Schüpbach, due alpinisti entrambi giovani ma di già ottima esperienza. Riconoscimento assegnato “a progetto”, in esecuzione al momento della delibera di proposta. La spedizione ha raggiunto l’obiettivo prefissato, la prima salita lungo una grandiosa via di ghiaccio della Cima Sud del Cerro Riso Patron, una delle montagne più remote ed isolate della Patagonia. La spedizione ha operato “by fair means” con lungo avvicinamento a piedi e oltre 100 Km in kayak.

 http://www.planetmountain.com/en/news/alpinism/cerro-riso-patron-in-patagonia-matteo-della-bordella-silvan-schupbach-climb-new-route.html

SPEDIZIONE ALASKA 2017

Composta dai giovani Luca Moroni e David Bacci per la ripetizione della Diretta Slovacca al Denali. Aperta dai fortissimi slovacchi Blajez Adam, Tono Krizo e Franticek Korl nel 1984, la via supera con 2800 m di dislivello e più di 3000 m di arrampicata l’enorme parete sud e conta oggi, dopo oltre trent’anni, solo sette ripetizioni.

Si tratta di un itinerario di estremo impegno ambientale, tecnico ed alpinistico sulla montagna più alta del Nord America, percorso in cinque giorni da Moroni e Bacci.

Un’impresa alpinistica di grande valore, che ha avuto sui media risalto molto inferiore ad altre salite, magari prime e molto sponsorizzate, ma sicuramente inferiori come ingaggio e come avventura. Uno spunto anche di riflessione sul rapporto tra alpinismo e media.

 http://www.mountlive.com/bacci-e-moroni-prima-ripetizione-italiana-del-denali-via-degli-slovacchi/

CONCLUSIONI E MOTIVAZIONI

Due esempi diversi e complementari di sviluppare un’avventura piena, ancora possibile sia come scoperta di nuovi itinerari sia come ripetizione di salite che rimangono di elevatissimo ingaggio per chiunque vi si voglia cimentare. Avventure complete, concepite ed attuate in autonomia da giovani alpinisti italiani e da pubblicizzare come stimolo ed esempio per un recupero dei giovani al grande alpinismo di avventura, dove la difficoltà tecnica è solo una delle componenti e si accompagna necessariamente a doti personali importanti come la progettualità, l’impegno, la capacità di valutare le proprie potenzialità e il coraggio di esprimerle al massimo.

 

Martedì, 29 Maggio 2018 23:20

 

Spedizione del Club Alpino Italiano e JTB (Jordan Tourism Board) nella inesplorata zona del Wadi Sulam in Giordania

 Il socio Maurizio Oviglia relaziona con la consueta precisione i risultati della spedizione esplorativa svoltasi dal 22 al 29 aprile 2018 in una zona alpinisticamente inesplorata della Giordania.

Alla spedizione hanno partecipato diversi soci CAAI.

Di seguito il link all'articolo pubblicato su PLANETMOUNTAIN.

http://www.planetmountain.com/it/notizie/arrampicata/arrampicata-in-giordania-nuovo-vie-nella-zona-del-wadi-sulam.html

 

Lunedì, 28 Maggio 2018 23:47

Convegno primaverile del Gruppo Orientale del CAAI

Castelnuovo Monti/RE 19/20 maggio 2018

 

A Castelnuovo Monti, nell’Appennino reggiano ai piedi della Pietra di Bismantova, si è tenuto il Convegno primaverile 2018 del Gruppo Orientale del CAAI.

Si ringrazia per il supporto logistico ed organizzativo la locale Sezione del CAI, guidata dall’inossidabile Ginetto Montipò.

Dopo il saluto delle autorità, dal Sindaco di Castelnuovo Monti al Presidente del Parco Nazionale nel quale si colloca Bismantova, e dopo il saluto del Presidente generale Alberto Rampini, il primo ospite della giornata, Matteo Bertolotti, Presidente CNSASA Lombardia e animatore del Gruppo Sass Baloss, ha tracciato una interessante e documentata storia alpinistica della Pietra di Bismantova, della quale fra l’altro ha compilato di recente una apprezzata guida alle arrampicate, assieme all’Accademico trentino Diego Filippi. In allegato un breve sunto della storia alpinistica di Bismantova elaborato dallo stesso Matteo, che ringraziamo.

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Matteo Bertolotti                                                                                                                               Alessandro Baù

 

Alessandro Baù, Accademico e Guida Alpina, e Nicola Tondini, Guida Alpina, hanno introdotto e sviluppato il tema specifico del Convegno” Etica, sicurezza e tradizione”, seguiti da un pubblico attento e qualificato, che si è reso alla fine protagonista di un interessante dibattito.

In estrema sintesi, il risultato condiviso della relazione e del dibattito propone un approccio discreto e conservativo alle grandi vie storiche, capolavori da conservare e valorizzare nel modo più soft possibile, per preservarli dal degrado del tempo, documentarli e proporli agli alpinisti di oggi, che siano intenzionati e preparati a percorrerli con lo stesso spirito di avventura che animò a suo tempo gli apritori.

Nicola Tondini

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Questo non significa opposizione a qualsiasi opera di bonifica, ma si ribadisce che eventuali interventi dovrebbero avvenire nel tempo, a cura dei ripetitori e non sulla base di interventi sistematici e pianificati.

La “bonifica” e “messa in sicurezza” delle vie classiche è un obiettivo fuorviante, nella convinzione che la sicurezza prima deriva dalla preparazione, dall’approccio graduale e dalla consapevolezza anche culturale dei frequentatori.

In questa prospettiva si è sottolineata l’importanza del fattore educativo e formativo svolto dalle Scuole del CAI.

Mercoledì, 23 Maggio 2018 00:41

 

Al Palafiemme di Cavalese  sei incontri dedicati all'alpinismo ed ai suoi protagonisti

 

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