Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino, nella piena consapevolezza della situazione di estrema criticità del sistema sanitario e del Paese nel suo insieme, lancia un appello agli alpinisti invitandoli alla massima responsabilità, evitando di andare in montagna per escursioni, salite, arrampicate per rispetto di sè stessi e della collettività.
Ecco il testo dell'appello, che ognuno di noi deve far proprio con responsabilità e senso civico.
“I nostri medici negli ospedali ad assistere i contagiati, state a casa”, l’appello del Soccorso Alpino
La montagna italiana è stata chiusa
Arriva anche l’appello del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico – CNSAS a essere responsabili e a stare a casa. Rinunciare alla montagna non solo per evitare di contagiare gli altri o se stessi, ma anche per non rischiare di gravare, in caso di necessità, sul sistema sanitario nazionale che oggi più che mai ha bisogno dei medici e degli infermieri del Soccorso Alpino.
La voce è unanime: rimanete in casa se potete, le montagne saranno sempre lì ad attendervi non appena tutto sarà finito.
L’appello del CNSAS
“Il Paese è in difficoltà: i medici e gli infermieri del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico – CNSAS sono impegnati insieme agli altri colleghi ad assistere migliaia di contagiati dal nord al sud Italia. Sapete bene che per effettuare un soccorso speleologico in grotta o un soccorso alpino in alta montagna dobbiamo impegnare decine di operatori, compreso il personale sanitario. Immaginate quindi le difficoltà a cui andremmo incontro in questo momento per effettuare un soccorso, un soccorso che naturalmente metteremmo in atto, ma che potrebbe innescare una delicata gestione post intervento.
Ci sarà tempo per scalare nuovamente una montagna, ci sarà tempo per esplorare di nuovo insieme una grotta.
Adesso però è il tempo di fermarsi. Il tempo di essere responsabili verso sé stessi, verso gli altri e verso l’Italia. Come è scritto nella Costituzione italiana: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Dobbiamo difendere questi valori, dobbiamo salvaguardare i nostri medici, i nostri infermieri e l’Italia da un collasso del Servizio Sanitario Nazionale. Non vengono chiesti sacrifici immani, non viene chiesto di scalare una montagna da 3000 metri: viene chiesto di rimanere in casa per un breve periodo di tempo.
#iorestoacasa non è uno slogan, non è un hashtag per riempire i social ma un invito concreto a limitare al massimo gli spostamenti non necessari.
Ce la possiamo fare. Ce la faremo. Coraggio, Italia!”
Un appello alla responsabilità anche da parte di Sara Grippo e del nostro socio Romano Benet:
Coronavirus, io resto a casa. Parola a Sara Grippo e Romano Benet
Quando sono nate le Scuole di Alpinismo in Italia?
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Oggi sono diffuse capillarmente in tutto il Paese e non esiste praticamente Sezione del CAI che non abbia una sua scuola di alpinismo o quanto meno non partecipi ad una scuola consorziata assieme ad altre Sezioni. Sezioni CAI e Scuole di alpinismo sono quindi realtà talmente radicate e connesse che riesce difficile immaginare le une senza le altre.
Come riesce difficile immaginare che ancora agli inizi del 1900 l’idea di istruire gli alpinisti fosse un concetto appena nato in ristrettissimi ambienti illuminati e non considerato, se non addirittura osteggiato, nell’ambiente ufficiale del CAI. Nei Congressi CAI del 1905 e 1906 si discusse a lungo sulla liceità della pratica dell’alpinismo senza guida, che venne all’inizio respinta. La responsabilità e la capacità della conduzione delle ascensioni restava in capo alle guide locali e di conseguenza la necessità della formazione tecnica degli alpinisti non si poneva.
Nel 1904 venne fondato l’Accademico, proprio per porre al centro dell’attenzione l’alpinismo senza guida e la conseguente necessità di istruire gli alpinisti con vere e proprie Scuole di Alpinismo
Si può dire che l’Accademico nacque proprio per perseguire lo scopo di una crescita anche tecnica degli alpinisti che consentisse loro di effettuare le salite in completa autonomia, affrancandosi dalla tutela delle guide.
Videro la luce così le prime scuole e i primi manuali, il successo fu via via crescente e anche il CAI ben presto abbracciò questo nuovo corso. Da allora la collaborazione CAAI - Scuole di Alpinismo del CAI è sempre stata profonda e costruttiva.
Nell’allegato articolo di Fabio Masciadri, già pubblicato sull’Annuario CAAI, un prezioso approfondimento storico, seguito dal resoconto dei primi Corsi INA a cura di Cirillo Floreanini e ulteriori approfondimenti a cura di Carlo Negri e Carlo Ramella.
A cura di Alberto Rampini
Secondo quanto comunicato dalla Fondazione Montagna Sicura, sabato 8 febbraio si è verificato il crollo principale, nell’alto bacino della Brenva, seguito da altri minori nei giorni successivi, per una massa complessiva stimata in oltre 100mila m3 di ghiaccio.
La situazione, monitorata da tempo anche tramite immagini satellitari fornite da ESA Sentinel, era peggiorata drasticamente nei giorni immediatamente precedenti il crollo, con una accelerazione dello scivolamento della massa glaciale superiore ai 50 centimetri al giorno.
L’evento non ha coinvolto persone e non ha avuto ripercussioni in fondovalle ma conferma in modo evidente la situazione complessiva di fragilità del bacino della Brenva, dovuta in parte alla normale dinamica di scivolamento delle masse ma sicuramente anche aggravata dagli effetti del mutamento della situazione climatica degli ultimi anni.
Rimandiamo all’articolo webcam sulla Brenva pubblicato il 30 agosto scorso.
Per seguire da vicino la situazione dei ghiacciai e delle pareti nel bacino della Brenva clicca su Webcam sulla Brenva (immagini trasmesse in diretta).
A cura di Alberto Rampini
Presidente Generale
Incredibile ma vero!
Chi avrebbe mai detto che l’arrampicata sportiva, dove il grado fa premio su tutto, è stata “inventata” proprio da alpinisti provenienti da quella tradizione di alpinismo classico per il quale non è certamente il grado, o solo il grado, a fare premio, bensì l’avventura, la ricerca e il confronto diretto e leale dell’uomo con la montagna, al di fuori di qualsiasi regola prestabilita e competizione diretta con altri?
Alcuni visionari, Mellano in primis, furono ammaliati dalla nuova idea dell’arrampicata come sport e la immaginarono come altra faccia possibile della passione verticale.
A quasi quarant’anni di distanza, se non possiamo negare il contributo importante dello sport arrampicata alla crescita tecnica, non possiamo però far a meno di costatare che le idee sono, se possibile, ancora più confuse di allora. E questa confusione ci induce a pensare che sia venuto il momento di fare una distinzione precisa e profonda tra sport e alpinismo, per valorizzare in pieno il primo e conservare al secondo i suoi valori costitutivi.
Nella confusione di oggi, la “sportivizzazione” dell’alpinismo (o “l’alpinizzazione” dello sport arrampicata) introduce elementi di grande destabilizzazione nell'attività libera e anarchica del salire monti e pareti, valorizzando sempre più l'aspetto ginnico, con prestazione e primato che vanificano progressivamente i valori propri dell’alpinismo.
Ricondurre arrampicata sportiva e alpinismo all’interno di due categorie ben differenziate e con scale di valori diversi e non traducibili sembra l’obiettivo da perseguire per conservare il grande patrimonio che prende storicamente il nome di “Alpinismo” e che merita di essere preservato sia dalla contaminazione dello sport che dalla banalizzazione dell’UNESCO.
Di seguito l’interessante intervista di Andrea Giorda ad Andrea Mellano, un documento che ci aiuta a capire il contesto e i moventi alla base della nascita dell’arrampicata sportiva e delle prime gare.
Alberto Rampini
Presidente Generale
Le Olimpiadi di Andrea Mellano, com’è nata l’arrampicata sportiva.
Andrea Mellano è stato il primo promotore della scalata sportiva. Sua la prima palestra indoor aperta al grande pubblico al Palazzo a Vela di Torino. Primo organizzatore insieme ad Emanuele Cassarà delle gare di arrampicata nel 1985. Fondatore della SASP e della Fasi, un mito mondiale tutto italiano che ci racconta in questa intervista, alla soglia delle Olimpiadi di Tokyo, come la sua fosse pura visione ed eresia quarant’ anni fa.
“Quell’uom di multiforme ingegno” no non mi riferisco all’omerico Ulisse, ma ad Andrea Mellano classe 1934, 85 anni quest’anno. Solo il racconto delle sue scalate riempirebbe una serie su Netflix, di quelle che si vedono tutte di un fiato incollati alla poltrona.
Primo Italiano insieme agli storici amici a salire la Nord dell’Eiger, quando ancora gli italiani non erano ritenuti in grado di scalarla. Lui e Romano Perego, Ragno di Lecco furono i primi italiani ad aver scalato tutte e tre le grandi nord : Cervino, Eiger e Grandes Jorasses. Esploratore con spedizioni in Nepal dove salì cime inviolate e in Afghanistan dove conobbe il Re e fu ammesso al tempio dei grandi Buddha. Quelli che i talebani fecero poi saltare in aria. Amico di Guido Rossa il sindacalista ucciso dalle Brigate Rosse, di cui ricorda l’aneddoto che gli toccò trasportarlo sul tetto della seicento dopo che si era infortunato sul Becco di Valsoera, in auto, con la gamba puntellata non ci stava!
Ma il Mellano Alpinista, negli anni lascia il posto ad un Mellano visionario al quale il movimento dell’arrampicata mondiale attuale è grande debitore, in quanto lui ha teorizzato per primo l’arrampicata come sport, una vera e propria eresia per i suoi contemporanei. Contro tutto e tutti ci ha creduto e la recente ammissione dell’arrampicata ai Giochi Olimpici, grazie a Marco Scolaris è anche una sua conquista che andrebbe sottolineata a dovere.
Nel 1980 sapevo che Andrea Mellano era quello che aveva scalato il formidabile spigolo ovest del Becco di Valsoera, io avevo ripetuto la sua via e ne ero affascinato ma non lo conoscevo, rimasi stupito che tra tantissimi pretendenti chiamò proprio me, insieme a Gerard Sallette e Valeria Valli a istituire il corso di arrampicata indoor al Palazzo a Vela di Torino fummo i primi in una struttura artificiale.
Una delle prime persone che incontrai fu Patrick Berhault, giovanissimo, che mi chiese chi si iscriveva ai corsi…io non sapevo che dire perché era un mistero anche per me e dissi con una battuta poco felice, mah le casalinghe! Al chiuso era tutto da inventare. Con Marco Degani, che fece i disegni, scrissi il primo manuale per scalata indoor e piano piano capii l’enorme potenziale di quel nuovo giocattolone. Vidi arrivare Patrick Edlinger e Reinhold Messner curiosi e tanti altri nostrani Roberto Perucca e un giovane e sconosciuto Andrea Gallo, campione di skateborad, che vedendomi tonico sui passaggi più difficili mi chiese quante trazioni facevo, lo guardai e dissi boh (!) l’allenamento non è mai stato il mio forte, lui nella testa era già un professionista determinato e sportivo.
Certo i giornalisti erano incuriositi da questa struttura, scrissero che eravamo le “scimmie metropolitane” e noi ci facemmo la foto da scimmie. Arrivava di tutto, una umanità varia, tanta gente in scarponi Galibier o Supercervino ingrassati, camicia a scacchi alla Carlo Mauri e pantaloni alla zuava, una volta arrivò un gruppo così conciato in cordata già alla biglietteria come appena sbarcato sulla punta Helbronner e non dall’autobus di via Ventimiglia dietro la Fiat Lingotto.
Emanuele Cassarà quando alla sera usciva dalla redazione di Tuttosport, spesso passava al Palavela a trovare Mellano per l’organizzazione della prima gara di Bardonecchia e voleva a tutti costi che mi iscrivessi, anche perché c’era il timore che le boicottassero e non ci fossero abbastanza partecipanti. Mi chiamava Neskeens, perché diceva che avevo un fisico torcio e massiccio da terzino olandese e un po’ di faccia assomigliavo al grandissimo giocatore dell’Olanda di Cruyff. Non ho mai avuto il coraggio di dire ad Emanuele, una splendida ed energica persona, che io ero tra quelli poco convinti delle gare, io amavo la scalata libera clean cercando di usare solo i nut in valle dell’ Orco, andavo alla scoperta del Diedro Atomico o di Sitting Bull, i miei eroi erano Royal Robbins e Chuck Pratt ed ero assai lontano da quel mondo che nasceva con protezioni fisse e regole sportive.
Ma facciamoci raccontare da Mellano come è nato il movimento dell’arrampicata sportiva, a partire dalla prima palestra indoor del Palazzo a Vela di Torino.
IL PALAZZO A VELA E LA NASCITA DELL’ARRAMPICATA INDOOR
Andrea com’è che lo scalatore dell’Eiger si inventa una palestra di arrampicata indoor ?
Il mio alpinismo era libero da retoriche ideologiche e con l’arrampicata indoor non esiste contraddizione.
Si tratta di due attività che rientrano nel mio modo di puntare a traguardi di ogni genere, apparentemente irraggiungibili e un po’ utopistici e per questo molto stimolanti.
L’Eiger e la palestra di arrampicata indoor del Palazzo a Vela sono esempi non in contraddizione .
Come è nata l’idea della palestra di arrampicata del Palazzo a Vela?
L’idea di costruire una struttura artificiale urbana di arrampicata è nata da una riflessione sull’influenza che l’arrampicata intesa anche come fine a se stessa, stava avendo tra i ragazzi delle nuove generazioni alla fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70.
Sull’esempio di quanto già avveniva in Inghilterra nei Campus universitari, dove si stavano attrezzando muri per l’esercizio dell’arrampicata seguiti in Italia, a Bolzano, verso la fine degli anni’70, dove nel locale palazzetto dello sport avevano attrezzato un muro articolato per l’arrampicata, ho pensato che anche a Torino potesse nascere una struttura simile.
Com’è stata finanziata?
L’occasione favorevole si verificò alla fine degli anni ‘70 grazie alla ristrutturazione da parte del Comune di Torino, del Palazzo a Vela, utilizzato da anni solo per il rimessaggio di vecchi aerei in disarmo. Come tecnico dell’assessorato allo Sport feci la proposta di costruire all’interno del Palazzo una struttura per l’arrampicata. L’Assessore Alfieri e il Sindaco Novelli, entrambi appassionati degli sport della montagna, pur non avendo ben chiaro di cosa si trattasse furono favorevoli, non così alcuni membri dell’allora opposizione. Le divergenze si appianarono e la realizzazione fu approvata e finanziata nell’ambito degli impianti sportivi di base previsti nel Palazzo a Vela: campi da tennis, pista di atletica, campi di calcetto, pallavolo, ecc…
Naturalmente la mia proposta e con il relativo progetto di massima, era stata presentata ufficialmente e supportata dal Gruppo Accademico Occidentale del CAAI e dai suoi esponenti più prestigiosi, tra cui Corradino Rabbi.
Che riferimenti avevi per il progetto? Ricordo che era assai diversa dai modelli e dai materiali attuali, le resine. Era fatta di cemento, pietra, legno e tartan (gomma per piste da atletica).
Per il progetto mi sono basato su una struttura originale, autonoma dagli altri impianti del Palazzo, che presentasse la maggior parte delle possibilità di arrampicata ( placche diedri, fessure , strapiombi e anche un settore per la salita con ramponi). Ne risultò un complesso di 50 m di sviluppo lineare per oltre 8/9 metri di altezza, realizzato in cemento armato ricoperto in parte di lastre di pietra di Luserna e di “tartan” per il settore “ghiaccio”. La struttura venne realizzata in circa 50 giornate lavorative.
Si c’erano fessure di tutte le dimensioni, placche e Dulfer che nelle attuali palestre mancano! Era molto completa e avrebbe un senso ancora oggi, non vi è nulla di simile in giro.
Ma torniamo a noi. Come si sono inseriti il Cai e il Caai e come era organizzata la palestra?
La palestra fu ultimata nel 1980. L’attività iniziò con la gestione economica diretta del Comune di Torino. La conduzione tecnica fu assegnata a membri del CAAI mentre dell’assistenza diretta si occupò il Gruppo Guide Alpine del Piemonte. Il successo fu subito travolgente e vennero organizzati i primi corsi per bambini delle scuole e ragazzi mentre gli adulti iniziarono e prendere confidenza con quella strana struttura, malgrado lo scetticismo e l’indifferenza del “nobilato” alpinistico , tra cui alcuni alpinisti di primo piano di allora, e anche alcuni di quei giovani arrampicatori protagonisti della rivoluzione del “Nuovo Mattino”.
L’inaugurazione fu un grande evento per la città, ricordo il sindaco di Torino Diego Novelli, Reinhold Messner scettico e fresco di Everest senza ossigeno , Wanda Rutkiewicz e Massimo Mila che disse che con Gervasutti, Chabod e Rivero, in mancanza d’altro scalavano sui pilastri dei palazzi di Corso Vittorio Emanuele a Torino e sognavano una struttura simile! . Cosa ricordi di quei giorni?
L’inaugurazione ufficiale avvenne nel 1982 nell’ambito della mostra SPORTUOMO “80 alla presenza delle autorità della Città, del CONI, del CAAI e con la partecipazione di Reinhold Messner e Wanda Rutkiewicz. L’impianto in quella occasione fu dedicato a Guido Rossa commemorato da Massimo Mila e un giovanissimo arrampicatore, Andrea Giorda, scoprì la targa celebrativa. Fu una giornata per me indimenticabile che vedeva la conclusione di quanto mi ero prefisso di realizzare.
Purtroppo per lo svolgimento a Torino delle Olimpiadi Invernali del 2006 la palestra di arrampicata, con una scelta incomprensibile del Comitato organizzatore non fu più prevista nell’ambito della nuova destinazione del Palavela e fu demolita. Così si perse la prima occasione di presentare la nuova disciplina dell’arrampicata nell’ambito di una manifestazione olimpica
Ormai l’idea della arrampicata intesa come attività propedeutica all’alpinismo e anche fine a se stessa si era concretizzata e altre palestre erano sorte a Torino e in altre parti d’Italia. Il seme del Palavela aveva dato i suoi frutti e altre iniziative altrettanto “visionarie” si stavano realizzando come la prima gara internazionale di arrampicata sportiva nel 1985 a Bardonecchia.
SPORTROCCIA LA PRIMA GARA DI ARRAMPICATA, UN’IDEA RIVOLUZIONARIA E CONTRASTATA
Quando hai iniziato a pensare alle gare di arrampicata? Quali sono state le prime reazioni?
Con il giornalista sportivo Emanuele Cassarà, amico e compagno di escursioni in montagna, discutevamo molto sulla possibilità che l’arrampicata moderna, viste le caratteristiche sportive che si andavano delineando, potesse trasformarsi in una vera disciplina sportiva agonistica. Queste nostre idee trovarono subito un mare di critiche nell’ambito alpinistico per la sua dirompente intromissione nelle severe e classiche linee morali dell’alpinismo.
Noi continuammo nelle discussioni coinvolgendo arrampicatori e alpinisti in vari incontri. Trovammo molte opposizioni ma anche molte approvazioni che ci convinsero a proseguire nella nostra proposta, malgrado la ferma opposizione del CAI che riteneva inammissibile introdurre, nell’ambito alpinistico, una attività sportiva prettamente agonistica, non considerando che si trattava di una attività non alternativa all’alpinismo classico, ma di una disciplina che avrebbe arricchito le proposte del CAI ai giovani al passo con i tempi.
Cosa ricordi della organizzazione della prima edizione Di Sportroccia del 1985?
Con Alberto Risso alpinista e l’arrampicatore Marco Bernardi, giovane talento emergente dell’ arrampicata tra i primi in Europa, formammo un gruppo di lavoro organizzativo e tecnico. La scelta del luogo dove svolgere la gara cadde sulla Parete dei Militi della Valle Stretta di Bardonecchia. Iniziammo subito la ricerca di risorse economiche interessando vari Enti e ditte nonché la ricerca di patrocini. Fu un lavoro durissimo, trovammo molte adesioni ma anche molti rifiuti. Il Comune di Bardonecchia mise a disposizione le sue strutture. Diedero il loro autorevole sostegno la Provincia di Torino, la Regione Piemonte il Comune di Torino, il Museo della Montagna (non come CAI), il Club Alpino Accademico e le principali ditte di articoli per l’alpinismo e l’arrampicata.
Una frangia del modo dell’arrampicata era contrario alle gare, Patrick Berault in testa, molti firmarono un documento contro per poi ricredersi e diventare grandi protagonisti, Edlinger mi sembra fu uno di questi?
Sulle riviste specializzate e nei vari convegni si produssero documenti e manifesti, in opposizione dell’iniziativa, firmati anche da alpinisti prestigiosi quali i francesi Edlinger, Destivelle ( che poi parteciparono, e vinsero) e molti italiani ( che è meglio non ricordare per la loro successiva rapida inversione di posizione).
La gara venne fissata il 6-7 luglio 1985 e le iscrizioni, gratuite valide sino al 5 luglio. Nel periodo precedente si provvide al perfezionamento della complessa macchina organizzativa e ad attrezzare le pareti e la tendopoli per il soggiorno degli atleti.
La grande incognita era però la partecipazione degli arrampicatori alla gara. Cassarà, tramite i giornali, si mise in contatto con le associazioni alpinistiche straniere e giovanili varie, inviando centinaia di moduli di iscrizione. Non restava che attendere; Risso si assunse il compito per la gestione economica, Bernardi quella tecnica attrezzistica e i regolamenti di gara, io quella organizzativa generale.
Il mondo dell’Alpinismo era chiuso e maschile, tu hai aperto subito le gare alle donne, anche questo ti deve il mondo dell’arrampicata. Vennero grandi protagoniste Caterine Destivelle, Lynn Hill e la nostra Luisa Jovane simboli per le ragazze di tutto il mondo . Hai qualche ricordo in proposito?
Le iscrizioni stentavano ad arrivare e noi eravamo molto preoccupati, anche per la questione economica che avremmo dovuto sostenere personalmente, in caso di insuccesso. Si misero di mezzo anche l’instabilità delle condizioni metereologiche che all’inizio di luglio a causa di numerosi temporali allagò quasi tutta la valle Stretta. Fortunatamente un paio di giorni prima il tempo si mise al bello. Alla vigilia della gara il numero delle adesioni era ancora sotto le nostre previsioni (30-40 partecipanti) ma alla sera si presentarono oltre 50 concorrenti di cui 7 ragazze, tra cui l’italiana Luisa Jovane e, a sorpresa la francese Caterine Destivelle.
C’era il modo intero, addirittura un entusiasta Riccardo Cassin!
A presiedere la manifestazione fu interpellato Riccardo Cassin, che accettò con entusiasmo come l’accademico Oscar Soravito, chiamato a far parte della giuria coadiuvato dagli arrampicatori, che non accettarono di partecipare alla gara, Mariacher e Manolo. La gara ebbe un grande successo sottolineato dai giornali e riviste specializzate, ma soprattutto da un grande pubblico che riempì tutta la valle Stretta per due giorni. Una delle sorprese più interessanti fu la presenza delle ragazze tra i concorrenti: bravissime e determinate protagoniste anch’esse, non solo più da comprimarie, della nuova arrampicata che stava nascendo. La nostra “folle” idea aveva raggiunto il suo scopo. indietro non si sarebbe più potuti tornare.
E vero che sei andato dai carabinieri a tirar fuori dai pasticci Wolfang Gullich? Cosa era successo?
Un episodio curioso avvenuto nelle serate al campo, fu l’avventura occorsa a Wolfang Gullich, fortunatamente finita bene. Wolfang con alcuni compagni a Bardonecchia aveva fatto bisboccia, alzando un po’ il “gomito” e in gruppo si portarono a ballare sui binari del treno, vicino alla stazione. Naturalmente i poliziotti li rincorsero e riuscirono a fermare il solo Gullich, forse il più brillo, portandolo in caserma. Saputo l’accaduto mi precipitai in caserma a parlare con i dirigenti della polizia. L’azione dei ragazzi era molto grave e Gullich rischiava una denuncia e una forte ammenda. Con calma cercai di spiegare la situazione di euforia dovuta alla manifestazione e chiesi di soprassedere alla severa sanzione. Il responsabile della polizia fu molto comprensibile e dopo una dura reprimenda rilasciò Gullich. L’avventura era finita bene.
LA S.A.S.P. PRIMA SOCIETA’ DI ARRAMPICATA SPORTIVA E LA NASCITA DELLA FASI
Come nacque la prima società di arrampicatori indoor, la SASP ?
Con il successo della gara di Bardonecchia e lo sviluppo che stava prendendo l’attività di arrampicata sportiva, si trattava di dare una organizzazione al movimento degli arrampicatori che stava crescendo in molte località. A Torino si pensò di costituire una società che riunisse gli appassionati dell’arrampicata. A tale scopo nel 1987, sorse la SASP –Società Arrampicata Sportiva Palavela. Sull’esempio di Torino in molte località italiane sorsero gruppi e società di arrampicatori
E la Fasi ? Perché l Cai non colse l’occasione di cavalcare quel mondo? In fondo io i corsi al Palavela li facevo a nome del Caai ? Una decisione miope che ha aiutato a spezzare il legame tra arrampicatori e la tradizione alpinistica.
L’idea di una Federazione sportiva che rendesse omogenee le finalità delle varie associazioni venne di conseguenza all’evolversi e allo sviluppo dell’arrampicata intesa come attività libera anche agonistica, ma non alternativa ai vecchi canoni ideologici e morali dell’alpinismo tradizionale. Il CAI sarebbe stato un Ente importante di riferimento anche per le affinità che legavano l’attività alpinistica all’arrampicata sportiva, ma i dirigenti di allora non vollero recepire il nuovo messaggio che veniva dai giovani adducendo ragioni di incompatibilità con le tradizioni prettamente alpinistiche del CAI.
Ci rivolgemmo quindi, Cassarà ed io, alle strutture regionali e poi nazionali del CONI che risposero positivamente alla nostra richiesta. Nacque così lo stesso anno 1987 la FASI – Federazione Arrampicata Sportiva Italiana. Nel frattempo, dopo la seconda edizione di Sportroccia a Bardonecchia e ad Arco di Trento, nel 1986, sempre su terreno naturale, si ravvisò l’opportunità di allargare le possibilità di arrampicata presso strutture coperte urbane sull’esempio del Palavela. Questa scelta fu indispensabile per definire in modo univoco i campi di azione dell’attività stessa dandole così una vera caratteristica di disciplina sportiva ben definita.
In pochi anni gli iscritti alla Federazione divennero alcune migliaia, questo convinse il CONI ad accogliere, nel 1990, la FASI tra le discipline Associate nazionali. Per questo riconoscimento il CONI interpellò il CAI per un suo parere, e il CAI diede il suo consenso, malgrado alcuni suoi dirigenti fossero contrari.
Che impressione ti fa ora vedere che l’arrampicata è una disciplina olimpica? E’ anche il coronamento di una intuizione tua e di Cassarà?
Di strada da allora se ne è fatta tanta, attraverso tappe importanti come l’ingresso della FASI nell’ambito dell’U.I.A.A prima e poi nella organizzazione autonoma internazionale, fondata da Marco Scolaris, cofondatore e dirigente FASI.
Ora la disciplina dell’arrampicata sportiva è diffusa in oltre 70 nazioni, in Italia i tesserati nell’anno corrente hanno raggiunto oltre 40.000 iscritti.
L’importanza dell’arrampicata sportiva agonistica e la perfetta efficienza dell’organizzazione internazionale e delle singole nazioni, ha fatto sì che la disciplina fosse inserita nel programma dei Giochi Olimpici del 2020 di Tokyo. Per me è una delle più grandi soddisfazioni che si possano desiderare e lo sarebbe sicuramente per Emanuele Cassarà e Alberto Risso (entrambi non più tra noi), e per tutti coloro, in primis Marco Bernardi, che hanno vissuto l’inizio di questa bellissima e folle avventura sportiva.
Per quanto riguarda le divergenze di fondo che esistevano tra l’arrampicata sportiva agonistica e il CAI si possono considerare superate, per le molte affinità tecniche di base che uniscono l’alpinismo tradizionale e l’arrampicata sportiva, essendo ormai riconosciuto l’apporto laico e di sicurezza che la nuova disciplina sportiva ha introdotto nella pratica alpinistica: non più il rischio fa grado, come si intendeva un tempo in alpinismo, ma la sicurezza e la tecnica nella progressione devono essere la regola fondamentale a supporto dei risultati nell’alpinismo, come nell’arrampicata sportiva, amatoriale e agonistica.
Il cerchio si è chiuso: Eiger e arrampicata sportiva non sono più così lontani e inconciliabili.
Grazie Andrea!
Andrea Giorda CAAI – Alpine Club UK
La misurazione della quota delle montagne più alte della terra venne effettuata prima che si pensasse di salirle.
In particolare, le accurate misurazioni ad opera dell’Indian Servey miravano a definire la quota massima dei più evidenti massicci montuosi che si elevavano all’orizzonte. Furono così individuati 14 massicci che presentavano una vetta massima superiore agli 8000 metri.
Quando, dall’inizio degli anni ’50, cominciò l’epopea delle salite effettive, ci si accorse che all’interno di ognuno di questi massicci montuosi, estesi a volte per decine di chilometri quadrati, le sommità distinte e ben individualizzate erano spesso più di una e si passò gradualmente dal concetto di montagna al concetto di vetta.
In aggiunta alle 14 vette base individuate all’inizio emersero così diverse altre vette di quota superiore agli 8000 metri, senza peraltro che nessuno sentisse la necessità di ampliare il numero originario degli 8000 ufficiali.
Per ossequio alla tradizione, per pigrizia o per mancanza di criteri di individuazione universalmente accettati, forse anche per non creare problemi ad un establishment alpinistico ormai consolidato e non rimettere in gioco l’obiettivo raggiunto dai collezionisti dei 14 ottomila e allungare la lista delle salite da fare per gli aspiranti finishers, nessuno ha mai portato avanti con sufficiente chiarezza, determinazione ed autorevolezza l’idea di una revisione geograficamente e storicamente condivisa del numero degli 8000, ammesso che avesse un senso farlo.
Per i “quattromila” delle Alpi una individuazione basata su criteri scientificamente omogenei e condivisi è stata effettuata nel 1994 (82 “4000” ufficializzati su un totale di 128 cime con quota superiore ai 4000 m. cfr. Bollettino UIAA n. 145 del marzo 1994, allegato).
Partendo da questa esperienza e mutuandone in buona parte i criteri, nel 2011 Luciano Ratto, Roberto Mantovani e Roberto Aruga, alpinisti e studiosi, elaborarono uno studio approfondito anche sugli “8000”, che può essere assunto come base importante per avviare un confronto nel mondo alpinistico su questa problematica.
Sicuramente molti interessi consolidati saranno di ostacolo ad un esame spassionato ed obiettivo del problema, così come anche la considerazione che il problema è di interesse relativo, in quanto finalizzato ad un obiettivo di collezionismo sportivo e per di più limitato a quella parte del mondo che utilizza il sistema metrico decimale, ma crediamo che un dibattito sull’argomento si possa aprire e possa essere anche più interessante di tanti dibattiti privi di significato che oggi tengono banco su blog e siti di montagna.
Stabilire “le regole” per i collezionisti degli Ottomila, per demolire record già conquistati o fissare l’asticella per i record futuri crediamo sia secondario rispetto alla grande avventura dell’uomo sulle montagne del mondo e rispetto all’alpinismo come lo intendiamo noi.
In ogni caso, lo stimolo offerto da questo studio, peraltro non unico sull’argomento, pensiamo sia interessante e vada approfondito dal mondo alpinistico, senza però diventare una crociata e senza assumere importanza superiore a quella che realmente rappresenta e senza dimenticare che, a differenza dei 4000, per gli 8000 la definizione del numero (14) deriva da una tradizione storica che non può essere ignorata.
Ci sembra infine che, prima che sul “numero” degli ottomila, l’impegno di tutti dovrebbe fissarsi sul “come“ vengono salite le montagne, ottomila compresi, prendendo posizioni precise ed avviando iniziative concrete per mettere al bando definitivamente il doping (ossigeno) e il conseguente assalto commerciale alle cime, con i problemi di sempre (rifiuti abbandonati) e quelli nuovi (elicotteri) ad inquinare irreparabilmente l’ambiente e l’atmosfera delle altezze. Come anche l’inquinamento culturale e mediatico di “imprese” come “14 ottomila in 6 mesi e 6 giorni”, che, pur avendo poco a che spartire con l’alpinismo, proiettano un’ombra fosca sul futuro della frequentazione della montagna.
Fatta questa doverosa premessa, riportiamo di seguito lo studio Ratto/Mantovani/Aruga del 2011, precisando che le relative considerazioni finali sono personali degli autori e non rispecchiamo necessariamente la posizione dell’Accademico sul problema.
Alberto Rampini
Presidente generale
DOSSIER
PROGETTO 8000
(A cura di Roberto Aruga, Roberto Mantovani, Luciano Ratto)
Torino, 18 novembre 2011
SOMMARIO:
Premessa
Storia dei 14 ottomila tradizionali
I 14 ottomila tradizionali
Il progetto 8000
Censimento delle vette superiori agli 8000 m
Premessa sui criteri di vaglio degli 8000 m
Criteri di vaglio
Ottomila aggiuntivi
Elenco definitivo degli 8000 ufficiali
Ufficializzazione dell’U.I.A.A.
1. PREMESSA
Nel giugno 2003, Lo Scarpone e La Rivista del CAI hanno pubblicato contemporaneamente questo articolo di Luciano Ratto:
MA, INSOMMA, QUANTI SONO GLI 8000 ?
-1950: viene salito il primo 8000 della storia dell’alpinismo, l’Annapurna (8075 m); 1964: viene salito il quattordicesimo, il Shisha Pangma (8027 m); nell’arco temporale di 14 anni, altri 12 ottomila, che tutti più o meno conosciamo a memoria, vengono “saliti” (di proposito non uso l’espressione “conquistati”, così diffusa nel lessico alpinistico, perché ritengo che in montagna si salga e si scenda, semplicemente e disinteressatamente, senza mai “conquistare” nulla).
-Dal 1964 si scatena la corsa alla collezione di tutti questi 14 ottomila, corsa vinta come sappiamo da Messner nel 1986, ma che continua tuttora perché non vi è big dell’alpinismo mondiale che non ambisca ad arricchire il proprio palmarès con questa straordinaria serie di vette.
-Ma, a questo punto, sorge spontanea, seppur tardiva, una serie di interrogativi, forse non solo da parte mia: chi, quando, dove, come e perché (vale a dire, secondo quali criteri) ha deciso di prendere in considerazione ed ha stabilito che gli ottomila degni di entrare nell’Olimpo delle vette più alte del mondo fossero questi 14 e non- che so io-10 o 20 o 30?
-Che questa rosa di 14 ottomila (9 nell’ Himàlaya, e 5 nel Karakorum) sia troppo riduttivo, considerate le centinaia di chilometri di estensione di queste due catene, altri prima di me l’avevano sospettato da tempo, e difatti, seppur senza grande insistenza, ogni tanto vengono segnalate (ricordo le comunicazioni di cinesi, spagnoli ecc.) altre vette da aggiungere all’elenco. Tutto ciò è però avvenuto sempre senza nessuna veste ufficiale ed un po’ in sordina.
Già il grande Marcel Kurz, in passato, aveva menzionato il Broad Peak Centrale, sul nodo orografico del Baltoro, che raggiunge 8016 m e che, in effetti, è una cima nettamente staccata dal Broad Peak (8047 m). Ma se ne potrebbero citare altre.
-Ho interpellato al riguardo amici esperti in materia ed ho consultato le storie dell’alpinismo extraeuropeo di cui sono a conoscenza, ma i miei interrogativi sono rimasti tali, ed anzi sono aumentati: è mai possibile che nessuno li abbia mai censiti gli ottomila dell’Himàlaya e del Karakorum? Per non parlare poi dei 7000 e dei 6000?
-E’ veramente strano che di questa questione si parli e si scriva così poco. Eppure non mi pare che sia un problema di poco conto. Io sarò particolarmente distratto e/o disinformato ma non ricordo di aver mai letto nulla al riguardo.
-Fino al 1993 gli alpinisti che frequentavano le alte quote alpine non sapevano quali e quanti fossero i 4000 “ufficiali”delle Alpi, finché tre commissioni istituite sotto l’egida dell’”U.I.A.A.”(Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche) nei tre Paesi interessati, Francia, Svizzera ed Italia (quella italiana era guidata dal compianto Gino Buscaini), dopo aver lavorato separatamente per censire tutte le vette superiori ai 4000 metri, si ritrovarono il 14 maggio 1993 a Martigny, e – in base a criteri di valutazione stabiliti- concordarono un elenco ufficiale di 82 vette tra le 128 censite, elenco certificato dall’U.I.A.A.( vedasi al riguardo il “Bollettino UIAA” n°145 del marzo 1994, la “Rivista del CAI”,novembre-dicembre 1993 , il sito internet www.club4000.it)
-Finalmente perciò sappiamo tutto sui 4000, ma sappiamo invece poco sugli 8000 , per non parlare dei 7000 e dei 6000: quanti sono questi ultimi? : Frison-Roche nella sua “Storia dell’Alpinismo”(1986) stima che i 7000 siano “alcune centinaia” in gran parte ancora inesplorati. Quando mai qualche ente internazionale, o qualche studioso qualificato, farà un censimento completo di queste vette, e proporrà –come si è fatto per i 4000 delle Alpi- dei criteri obiettivi per stabilire un elenco di riferimento definitivo?
(Fonte: Luciano Ratto: “Ma insomma, quanti sono gli 8000?”, Lo Scarpone e Rivista del CAI, giugno 2003)
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Dopo 8 anni, queste semplici domande attendevano ancora una risposta. Eppure la questione era tutt'altro che "di poco conto", come scriveva allora Ratto. Infatti dopo la pubblicazione del suddetto articolo sono giunte molte lettere ed email da parte di alpinisti che condividevano questi dubbi e che hanno proposto liste di 8000 ben diversi dai 14 "tradizionalii". Ne riportiamo alcuni qui di seguito:
*EmilioMagni
Caro Roberto Serafin,Direttore de Lo Scarpone,
questa storia che ha tirato fuori Luciano Ratto su quanti sono gli “Ottomila” aveva più volte un po’ intrigato anche me. Pur consapevole di essere solo un semplice e schietto appassionato dell’alpinismo e non un profondo conoscitore, ho sempre avuto il dubbio che gli “Ottomila” fossero più dei quattordici superconosciuti. Il viscerale amore per la montagna mi ha sempre portato a desiderare fortemente di vedere, prima di morire e anche solo da lontano, uno di questi mitici “Ottomila”. Però il fisico è molto meno robusto dei sentimenti e quindi una volta sola, a malapena, sono riuscito ad appressarmi a un “Ottomila”. Non era l’Everest che avevo sempre sognato osservare, soprattutto dal Tibet. Ma gli amici Graziano Bianchi e Oreste Forno non hanno fatto in tempo, come mi avevano promesso, di portarmi almeno dalle parti di Tingri. È arrivato prima un infarto. Perciò devo accontentarmi del ricordo di aver osservato a lungo, con commozione, all’alba e al tramonto, il Kanchenjunga, che comunque degli “Ottomila” è il terzo. Andai nel Sikkim e nel Darjieeling proprio per vederlo. In un’alba di maggio di una decina di anni fa ero su a Tiger Hill, sopra Darjeeling ad osservare il sole che, appena spuntato dalla lontanissima pianura del Bengala, cominciava a colorare le nevi del Kanchenjunga. La gente che era lì con me però mi fece osservare che la splendida giogaia di questo “Ottomila” è composta da cinque picchi, pressappoco tutti della stessa altitudine, come si poteva rilevare. Infatti la montagna, in lingua locale, si chiama (come ho letto in molte guide) “la grande fortezza della neve con cinque vette”, oppure “il grande tesoro della neve con i cinque pilastri”. Così a occhio mi pareva pure che i “cinque pilastri” fossero piuttosto lontani l’uno dall’altro. Quindi mi sono chiesto se questo Kanchenjunga è una sola montagna, oppure non si tratta di cinque “Ottomila”? Che ne pensa Ratto? Che ne pensano i lettori dello Scarpone?
(Fonte: Emilio Magni: lettera a Lo Scarpone, 31.5.2006):
*Gilberto Merlante:
“…riguardo agli ottomila primari e secondari dell'Himalaya e del Karakorum, le rispondo che dopo aver ricevuto diverse richieste di informazioni su tale argomento di cui una anche da lei, ho deciso di approfondire lo studio su questo tema. Infatti ho consultato nei nostri archivi e ricercato alla biblioteca del CAI, tutte le riviste straniere che parlavano delle quote delle cime secondarie degli ottomila; ho anche verificato le quote su tutte le carte topografiche a nostra disposizione, notando molte incertezze tra loro in particolare sulle carte cinesi. Non contento, ho chiesto delle precisazioni al Servei General d'Informaciò de Muntanya Spagnolo, (un centro molto ricco con cui abbiamo degli ottimi rapporti) nel determinare l'altezza dei monti Broad Peak e Shisha Pangma. Concludendo ho creato una tabella che divide le cime principali da quelle secondarie con le rispettive quote.
Naturalmenteci può essere il margine di errore, ma penso che all'incirca dovrebbero essere attendibili”.
(Fonte: messaggio di Merlante a Ratto del 18.2.2004)
*Enrico Camanni:
…”In fondo anche il numero 14, che ufficialmente delimita gli 8000, è soltanto una cifra convenzionale che delimita il cammino dei grandi alpinisti sulle cime della terra e ne esalta l’immagine presso il grande pubblico. Gli specialisti sanno che ci sono montagne ben più difficili degli 8000 e che ci sono mete ben più importanti dal punto di vista alpinistico.”
(Fonte: Enrico Camanni: “La sagra degli ottomila”, ALP n.20, dicembre 1986)
*Roberto Mantovani:
…”Sono in molti a giurare che il numero degli 8000 è sbagliato, e che le cime da inserire nella lista dei mastodonti della Terra sono molte di più. Su quale debba essere il numero esatto non si è ancora raggiunto un accordo, ma cominciano ad essere numerosi quelli che negano le certezze geografiche che hanno scatenato gli alpinisti degli anni ’50. A molti sembra scorretto negare dignità alle cime minori dei grandi massicci himalayani, che spesso superano abbondantemente gli 8000 metri….
D’altra parte, già negli anni ’70 Mario Fantin aveva messo in guardia i suoi lettori. “Va notato” scriveva, “che aggiungendo le cime minori dei massimi gruppi montuosi, pur sempre più alte di 8000 metri, si avrebbero altri 25 “ottomila” (totale 29) meritevoli di tale titolo. Ma a leggere quello che passa sul web, si direbbe che lo studioso bolognese abbia abbondantemente peccato per difetto: una lista redatta da un gruppo di alpinisti cechi porta addirittura a 40 il numero degli 8000”.
(Fonte: Roberto Mantovani: “Metriche invenzioni” da “I magnifici 8000”, ALP, n.231, nov.dic.2005)
*Pietro Crivellaro:
"...Oltretutto la lista dei quattordici 8000 rischia molto di essere rivista al rialzo nei prossimi anni..."; perché non ammettere tra gli 8000 lo Yalung Kang, che non si può continuare a considerare un satellite del Kanchenjunga? Che oggi si discuta se gli ottomila non possano essere più di quattordici è forse un tentativo per riattizzare un gioco che appare bloccato da troppi anni, e per aprire una nuova corsa…”
"La domanda che una storiografia alpinistica seria dovrebbe cominciare a porsi è sostanzialmente una sola, sia pure scomposta in varie domande complementari: come è stata "inventata" l'idea degli ottomila e come si è stabilito che siano esattamente quattordici? Chi? Quando? Perchè? Sono come si vede le domande chiave dell'onesto giornalismo."
(Fonte: pag 112, 113 de “I magnifici 8000”, monografia di ALP, n.30, nov-dic.2005, Vivalda Editore)
2-STORIA DEI 14 OTTOMILA ”TRADIZIONALI”
Le domande poste nell’articolo sopra citato erano all’inizio di quest’anno ancora senza risposta. Roberto Mantovani ha tentato di spiegare come sia nata questa lista che in ogni caso risulta essere frutto di valutazioni soggettive ed addirittura arbitrarie. Ecco la sua spiegazione:
«La lista degli 8000, così come l'abbiamo ereditata, ha preso lentamente forma negli anni compresi tra le due guerre mondiali, per sovrapposizioni successive delle diverse tesi dei più noti cronisti dell’Himalaysmo del tempo (Marcel Kurz, Lucien Devies, Günther Oscar Dyhrenfurth). La rosa delle cime, a quanto risulta, è stata però stilata solo parzialmente su dati oggettivi. Per alcune delle vette, infatti, gli esperti di quegli anni potevano far conto sulle misurazioni del Survey of India (tutte di alta attendibilità), mentre per altre esistevano dati ricavati dagli altimetri degli alpinisti. In sostanza si è arrivati all'ufficializzazione dei quattordici 8000 quasi per “abitudine”, e sull’onda dell’entusiasmo. Nel 1952, quando esce dalla tipografia Zum dritten Pol, il libro di Dyhrenfurth, la corsa ai mastodonti dell’Himalaya ha già registrato i primi successi: due anni prima i francesi hanno scalato l’Annapurna, e stanno per essere vinti il Nanga Parbat e l’Everest.
Nel corso degli anni, tuttavia, mentre la corsa alle vette più alta del mondo assorbiva la maggior parte dell’energia degli himalaysti, hanno cominciato a nascere i primi dubbi sull’esattezza della lista “ufficiale” degli 8000. Qualcuno ha cominciato a pensare che fosse scorretto negare dignità alle cime minori (che talora superano abbondantemente quota 8000) dei maggiori massicci. Negli anni ’70, persino il prudente Mario Fantin aveva messo in guardia i suoi lettori sul numero esatto degli 8000. Da allora i dubbi si sono moltiplicati…».
3- OTTOMILA “TRADIZIONALI” PER ALTEZZA:
1 Everest 8848 m
2 K2 8611 m
3 Kanghenjunga 8586 m
4 Lhotse 8516 m
5 Makalu 8463 m
6 Cho Oyu 8201 m
7 Daulagiri 8167 m
8 Manaslu 8163 m
9 Nanga Parbat 8125 m
10 Annapurna 8091 m
11 Gasherbrum I 8068 m
12 Broad Peak 8047 m
13 Gasherbrum II 8035 m
14 Shisha Pangma 8027 m
4- IL PROGETTO 8000
Le domande dell’articolo citato in premessa, e soprattutto quella fondamentale “Insomma quanti sono i “veri” 8000?” ricorrono sempre più spesso nell'ambiente alpinistico. In particolare, soprattutto fra quelli che sugli ottomila ci salgono, si avverte una crescente esigenza di aumentare il numero degli ottomila al valore che oggigiorno si può considerare quello più realistico e accettabile.
Con l'obiettivo di proporre una soluzione del problema si è costituito, all'inizio del 2011, fra alcuni soci CAI ed esperti, un gruppo di studio e di iniziativa, per opera di Roberto Mantovani, Roberto Aruga, Luciano Ratto.
L’idea ha avuto una incoraggiante risposta e sono stati proposti alcuni elenchi di ottomila ‘aggiuntivi’ da parte di alpinisti e ottomilisti di primo piano, da Alessandro Gogna, a Simone Moro, a Sergio De Leo.
Queste liste sono state attentamente esaminate e vagliate in base a criteri simili a quelli che , nel 1994, sono stati utilizzati per definire l'elenco ufficiale dei 4000 delle Alpi certificato dall'U.I.A.A. con il bollettino n°145 del marzo 1994.
Finora nessuno ha affrontato seriamente questo problema mettendo intorno ad un tavolo un gruppo di esperti per redigere finalmente un elenco definitivo, e certificato ufficialmente..
Come avevamo già pensato nel 1993 per i 4000 delle Alpi, abbiamo ritenuto che fosse maturo il momento di lanciare un progetto coinvolgendo alpinisti, storici, geografi, cartografi, ecc, che, sotto l'egida dell'U.I.A.A., facesse per gli 8000 quello che è stato fatto per i 4000, ripetendo, "mutatis mutandis", il percorso operativo che avevamo seguito per il "Progetto 4000", e che è riportato sia sul sito del Club 4000 (www.club4000.it) sia nel libro “Tutti i 4000”, pubblicato a cura di tale Club.
ll progetto è partito dunque con questo programma:
a) costituire un gruppo di lavoro, composto da esperti di diversa competenza, che fossero interessati a questo progetto.
Essenziale è stata la collaborazione, non solo di alpinisti “alpini”, ma soprattutto di alpinisti che gli 8000 li conoscono per averli saliti.
b) definire esattamente le finalità del progetto, vale a dire formulare una lista che non fosse frutto di valutazioni soggettive ma di studi approfonditi, su basi scientifiche,
c) raccogliere come base di riferimento tutta la documentazione disponibile sugli 8000,
d) svolgere un attento censimento di tutte le cime superiori agli 8000 metri,
e) stabilire i criteri di vaglio delle vette da inserire nell'elenco ufficiale: abbiamo ritenuto questi potessero essere gli stessi studiati per i 4000, e cioè: topografico, morfologico, alpinistico,
f) definire l’elenco allargato delle vette minori,
g) proporre l’elenco ufficiale degli 8000 come somma dei 14 ottomila tradizionali con le vette “aggiuntive”dell’elenco allargato,
h) presentare i risultati di questo progetto all’U.I.A.A. per una certificazione ufficiale,
i) pubblicizzare i risultati del gruppo di lavoro, a livello mondiale e nazionale, tramite pubblicazioni da individuare ( Bollettino dell’U.I.A.A., ecc).
5- CENSIMENTO DELLE VETTE SUPERIORI AGLI 8000 METRI
Come primo riferimento abbiamo assunto l’elenco proposto da un gruppo di 43 alpinisti cecoslovacchi, nel quale sono indicate 40 sommità in totale, comprendente:
- i 14 ottomila “tradizionali”, evidenziati in rosso,
- 7 vette secondarie, degne di essere prese in considerazione, evidenziate in verde,
- 19 altre vette, evidenziate in nero.
ELENCO DEGLI 8000 DEI CECOSLOVACCHI
1-8848 Everest
1- 8751 South Summit
2-8393 North-East Shoulder
2-8611 K2
3-8580 South-West Summit
3-8598 Kangchenjunga
1-8505 Yalung Kang
4-8400 West Pinnacle
5-8250 Yalung Shoulder - East Summit
6-8200 Yalung Shoulder - West Summit
2-482 Kangch8enjunga Central ( Middle )
3-8494 Kangchenjunga South
6-8501 Lhotse
7- 8499 SW Summit
8- 8426 West Pinnacle
9-8270 Pinnacle I., II., III.
4-8418 Middle West Tower
10-8376 Middle East Tower
5-8386 Shar
11-8019 East Fore-Summit
7-8484 Makalu
6-8010 South
12-8200 Point
8-8201 Cho Oyu
13-8010 Point "Fore-Summit"
9-8167 Dhaulagiri
10-8156 Manaslu
11-8125 Nanga Parbat
14-8072 Fore-Summit
15-8042 South Summit
12-8091 Annapurna
16-8064 Annapurna I. Middle
17-8023 Annapurna I. East
13-8068 G I
14-8047 Broad Peak
18-8035 Fore-summit
7-8016 Broad Peak Central (Middle )
13-8046 Shisha Pangma
19-8008 Middle (W) Summit
14-8035 G II
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14 totale + 7 totale + 19 totale = 40
(Fonte: http://www.8000.sk/21x8000.pdf )
6- PREMESSA SUI CRITERI DI VAGLIO DEGLI 8000 (Roberto Aruga)
Premesso che la nostra passata esperienza con l'U.I.A.A. relativa alla lista ufficiale dei 4000 delle Alpi ci ha mostrato che è indispensabile mettere a punto dei chiari e obiettivi criteri di scelta delle vette, si è trattato in questa occasione di mettere a punto essenzialmente un criterio topografico e un criterio alpinistico per gli 8000 proposti da inserire nella lista degli 8000 “ufficiali”.
1) Criterio topografico. I possibili criteri al riguardo possono essere i seguenti: a) più alto colle adiacente (già messo a punto e usato per i 4000); b) "Orometrical prominence" (prominenza); c) Dominance (dominanza).
(a) Il criterio del più alto colle adiacente: andò benissimo svariati anni fa, per i 4000: andò bene agli esperti svizzeri e francesi della commissione internazionale, andò bene all'UIAA, che l'accettò senza obiezioni. Oggigiorno la situazione è parecchio cambiata. Precisamente, in questi anni il problema di definire il concetto di vetta e della sua individuazione ha fatto passi importanti. Basterebbe
vedere i siti: https://en.wikipedia.org/wiki/Topographic_prominence
quest'ultimo gestito da Jurgalski, forse il massimo esperto attuale di storia e topografia degli 8000.
Stando così le cose, va detto che il nostro vecchio criterio del più alto colle adiacente, lasciato nella sua forma originaria, non sarebbe più proponibile oggi. In effetti il concetto di più alto colle adiacente andrebbe meglio specificato e affinato. Per esempio, uno potrebbe domandarsi: qualunque insellatura si incontri su una cresta della vetta in esame (partendo dal sommo) può essere considearto il più alto colle adiacente? Basterebbe un minimo colletto delimitato da uno spuntoncino di pochi metri? Evidentemente no. Ho anche tentato di definire meglio questo concetto, però si andrebbe a finire in qualcosa di un po' complicato (mentre penso che la semplicità di applicazione e l'immediatezza siano una caratteristica indispensabile per qualunque idea o criterio noi proponiamo).
(b) Prominenza: è questo il criterio principe proposto dagli esperti dei siti sopra citati, e oggi raccoglie un ampio seguito di consensi. Questo criterio mostra due facce. Precisamente, per le vette isolate (ossia senza vette più alte nelle vicinanze) la prominenza è singolarmente complicata e di interesse limitato per gli alpinisti. Esempio: il "key col" per il Monte Bianco (base per arrivare alla prominenza) si trova presso il lago Onega nella Russia settentrionale e così via per altre cime. Lo stesso calcolo della prominenza in questi casi richiede la conoscenza della quota di decine e decine di colli, tanto da doversi servire di appositi software e ovviamente di un computer. Totalmente diversa la situazione per le vette satelliti di una vetta maggiore nelle vicinanze, nel qual caso il calcolo della prominenza è facile e immediato. Fortunatamente noi ci troviamo in quest'ultimo caso, giacchè i possibili nuovi 8000 sono proprio delle vette sussidiarie di un 8000 maggiore, uno dei 14.
(c) Dominanza: concetto di per sé interessante, in quanto esprime la percentuale di indipendenza di ogni vetta. Però, sulla base della formula che la definisce, si può facilmente dimostrare (almeno per il caso degli 8000) che essa è una grandezza proporzionale alla prominenza, dunque un doppione di quest'ultima e di nessuna utilità per noi.
In conclusione: considerando la popolarità ormai acquisita dalla prominenza, la sua semplicità di applicazione almeno nel nostro caso, il fatto che alcuni dati di prominenza proprio per gli 8000 minori, quelli che interessano a noi, si trovano già determinati sui siti sopra citati, e infine (la cosa forse più importante) il fatto che usare un concetto già ampiamente accettato può essere un motivo in più per l'UIAA per non sollevare troppe obiezioni sulle nostre proposte, mi hanno convinto sulla inevitabilità di fare uso della prominenza.
Un ultimo problema (ultimo ma non di poco conto) riguarda un punto sentito dagli alpinisti ma evidentemente non troppo sentito dai curatori dei siti detti sopra. Si tratta del problema dei gendarmi sulle creste di vette maggiori, che spesso, pur presentando una prominenza notevole, sono inglobati e totalmente subordinati alla massa della montagna-madre e non meritano di essere considerati come vette a sé. Pertanto il concetto di prominenza va corretto e completato tenendo conto di questo problema.
Per quanto riguarda la determinazione del valore-limite di prominenza, quello al di sopra del quale noi consideriamo un possibile 8000 come una vera vetta, degna di comparire nelle nuova lista ufficiale, ho nuovamente usato il criterio già usato per i 4000, ossia ho lasciato la decisione agli stessi alpinisti che hanno presentato delle liste nel recente passato, calcolando la media delle prominenze per le vette che alcuni accettano e altri non accettano, ossia in posizione chiave per noi. E' venuto fuori un valore singolarmente vicino a quello già ottenuto per i 4000, che ora eventualmente dovrò affinare. Secondo me è più logico e realista un procedimento come quello suddetto, anziché tirare fuori valori piuttosto ingiustificati e aprioristici, come fatto nei siti detti sopra (per esempio, la classica lunghezza di un tiro di corda nell'alpinismo della tradizione).
2 ) Criterio alpinistico. Non viene considerato nei siti suddetti, ma evidentemente per noi è di primaria importanza. Qui le cose appaiono meno complesse rispetto al criterio topografico. E' chiaro che un 8000 ai limiti della accettabilità in base al criterio topografico deve essere valutato sulla base del criterio alpinistico. Ossia, si devono considerare le vie alpinistiche tracciate, sia come qualità che come quantità, e, soprattutto, va data particolare importanza, secondo me, alle vie "specifiche" a quella vetta, cioè quelle che hanno termine su di essa, o, in altre parole, quelle tracciate dai salitori considerando quella vetta come meta alpinistica a sè stante, autonoma alpinisticamente.
Naturalmente c'è poi il problema di eventuali nuove vie, specifiche o comunque importanti, tracciate quando già dovesse esistere una lista ufficiale allargata degli 8000. Questo potrebbe essere un problema, infatti mica possiamo cambiare ogni volta la lista, aggiungendo un nuovo 8000 in seguito alle nuove vie tracciate. Il problema di una possibile "mutevolezza" e quindi di una scarsa affidabilità del criterio alpinistico, purtroppo non è stato considerato come avrebbe meritato nei precedenti articoli sull'allargamento della lista degli 8000. In ogni caso è possibile ricorrere ad una contromisura che dovrebbe rendere il criterio alpinistico non mutevole e più oggettivo (un po' come avviene per il criterio topografico) in modo da ovviare a questo inconveniente.
7- CRITERI DI VAGLIO DELLE VETTE DI 8000 METRI (Roberto Aruga)
1) Punto centrale: definire uno o più criteri per individuare vette di 8000 da proporre per una nuova lista allargata e ufficialmente accettata. La letteratura precedente sull'argomento indica l'opportunità di un criterio topografico (la vetta è un'entità topografica) e di un criterio alpinistico (non dimentichiamo che una lista di questo tipo è destinata essenzialmente agli alpinisti). Punto successivo: applicare in modo possibilmente rigoroso i criteri messi a punto a tutti i possibili “nuovi” 8000.
2) Premessa operativa: i giudizi definitivi sulla lista che proporremo spetteranno agli ottomilisti che vorranno collaborare con noi. I loro giudizi saranno soprattutto utili per quanto riguarda i possibili nuovi 8000 che loro stessi hanno salito o comunque osservato e documentato da vicino. Dall'altro lato c'è però l'esigenza di evitare di ricevere giudizi molto eterogenei e difficilmente conciliabili. Per questo motivo penso che sia necessario da parte nostra proporre dei criteri in forma chiara e facilmente applicabili, e anche proporre un primo tentativo di lista dei nuovi 8000. » chiaro che ognuno sarà padrone di proporre tutte le modifiche che ritiene utili, ma una prima lista tentativa sicuramente semplificherebbe tutta la procedura.
3) Dal concetto di montagna al concetto di vetta: è questo un discorso generale, ma penso che sia utile accennarlo brevemente perchè ci permette di non cadere in certe confusioni che hanno purtroppo tolto valore ad articoli precedenti sull'allargamento della lista degli 8000.
Molti alpinisti si domandano spesso perché gli 8000 generalmente accettati sono 14 e su che base sono stati scelti. Se è pur vero che i rilevatori del Survey of India dovevano triangolare il punto più alto di una montagna, io penso che in quei luoghi e in quei tempi si fosse impressionati soprattutto dalla massa di una montagna nel suo complesso, dalla sua proporzione maestosa (come del resto è sempre accaduto tra i montanari). Vennero così fuori i quattordici 8000, le 14 montagne più alte e imponenti. Quando si cominciò a salirci sopra, fin sul vertice, la sensibilità cominciò a cambiare: l'alpinista cominciò a vedere che poco distante da lui si ergeva un altro vertice della montagna: quale era il più alto? Era separato da lui da un colle sufficientemente profondo, e dunque poteva essere considerato come una vetta? Ecco che una montagna poteva comprendere più vertici, cioè più vette. Poteva valere la pena di salire anche su quell'altro vertice, magari per una via nuova e indipendente? Tutte sottigliezze che non potevano venire fuori quando non ci si sognava neppure di andare in cima a quelle montagne. Ecco che progressivamente il concetto di vetta guadagna terreno, fino a diventare, forse, il concetto prevalente, almeno in certi ambiti. L'attuale inadeguatezza dei 14 8000 tradizionali e la richiesta di un allargamento del loro numero, a mio avviso, non fanno altro che riflettere questa evoluzione delle idee, dall'idea intuitiva e immediata di “montagna” all'idea (più ragionata) di “vetta”. I due concetti suddetti, per chiarezza del nostro lavoro, non andrebbero confusi. Noi, essenzialmente, elencheremo delle vette. Il concetto di montagna potrà essere utile in alcuni casi, quando, per esempio, dovesse eventualmente sorgere l'eterno problema dei gendarmi di cresta e del loro rapporto con la montagna madre. Questo, comunque, lo vedremo dopo.
4) Possibili criteri topografici.
Fonti di informazione preliminari. Oltre ai testi usciti a suo tempo relativi alla scelta degli 82 quattromila delle Alpi (vedi il sito www.club4000.it), sono utili per gli 8000 e per i criteri di scelta i seguenti siti, molto importanti per noi:
[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Topographic_prominence, che definisce in modo chiaro la Prominence
[2] www.8000ers.com, ricco di dati sugli 8000
[3] www.peaklist.org
I possibili criteri topografici sono i seguenti.
(a) Criterio del massimo colle adiacente: venne usato circa 20 anni fa per definire i 4000 alpini. Era molto semplice e immediato, e venne accolto favorevolmente dalla commissione internazionale e dalla stessa UIAA. Per quanto in molti casi il concetto di massimo colle adiacente e di prominenza (vedi qui di seguito) siano la stessa cosa, alla luce dei recenti approfondimenti (siti [1-3] sopra citati) questo criterio andrebbe reso più rigoroso per quanto riguarda la definizione di massimo colle adiacente, e questo gli toglierebbe parte della sua semplicità.
(b) Criterio della Prominence, (o Orometrical Prominence, Prominenza): è il criterio principe proposto nei siti [1-3] e oggi raccoglie un ampio seguito di consensi.
Si supponga di voler valutare la prominenza di una vetta X, e si ammetta che X abbia due vette più alte nelle sue vicinanze (M1 e M2). Si segue allora la cresta che unisce X a M1 e si individua il colle più basso su di essa (colle C1); questo è il colle minimo. Lo stesso sulla cresta che unisce X a M2, e si individua un secondo colle minimo, che è C2. Poi si individua il più alto tra i due colli minimi, che è C2, e che viene chiamato il "key col". Il dislivello tra X e il key col (segmento 'p') è la prominenza della vetta X. Naturalmente se ci fossero 'n' vette più alte nei dintorni si dovrebbero considerare le 'n' creste e 'n' colli minimi, mentre se la vetta più alta è una sola, la cresta sarà una e il colle minimo sarà automaticamente il key col. Nella realtà l'idea di prominenza presenta due facce. Se la vetta che consideriamo è isolata (cioè forti distanze dalle vette più alte) la misura della prominenza diventa complicata e richiede la conoscenza delle altitudini di decine e decine di colli, oltre all'uso di software dedicati e ovviamente di un computer, ed è di scarso interesse per gli alpinisti. Tanto per fare un esempio, il key col del Monte Bianco è presso il lago Onega in Russia; il key col del McKinley (Alaska) è presso il lago Nicaragua nell'America Centrale, e così via. Se invece la vetta X è un satellite di una vicina vetta più alta, per esempio uno dei 14 8000 (che fortunatamente è il nostro caso) allora la valutazione della prominenza diventa ben più semplice.
(c) Criterio della dominanza: è un concetto di per sè interessante, in quanto esprime la percentuale di individualità di una vetta, indipendentemente dalla sua altitudine assoluta. Se però guardiamo la formula che definisce la dominanza D (rif. [2]): D = (P/Alt) × 100, dove P è la prominenza e Alt è l'altitudine assoluta della vetta, notiamo subito che Alt nel nostro caso è sempre vicina a 8000, o non distante da 8000, per cui la formula in pratica diventa: D = P/80. D è dunque circa proporzionale a P (è sempre circa 80 volte più piccola), dunque è un doppione di P e a noi serve poco. Potrebbe essere utile quando si confrontano gruppi montuosi con altitudini molto differenti.
In conclusione, considerando la popolarità ormai acquisita dalla prominenza, la sua semplicità di applicazione, almeno nel nostro caso, il fatto che dati di prominenza di 8000 satelliti (proprio quelli che ci interessano) si trovano nel sito [2], e infine (la cosa più importante) il fatto che l'uso di questo concetto è ampiamente accettato, mi hanno convinto della opportunità di fare uso di questa grandezza nel nostro lavoro relativamente agli aspetti topografici .
(5) Scelta del valore critico di prominenza: questo è il punto cruciale: si deve arrivare a un numero, anche se approssimato, se no non si esce dalle opinioni personali. Si possono seguire due vie. La prima è quella seguita, per esempio, nel sito [2] per trovare un valore di prominenza utile per dividere le montagne in categorie di importanza. Si è proposto (aprioristicamente) il valore di 30 metri perchè quello è stato per molto tempo il tiro di corda, punto e basta. Nel lavoro fatto per i 4000 delle Alpi avevamo preferito un'altra strada, che ci sembrava più realistica e vicina a quello che gli alpinisti hanno in mente.
Brevemente illustriamo questo modo di procedere: il punto di partenza, fondamentale, collegato all'idea di vetta, è quello di individuazione della vetta rispetto al territorio circostante. In altre parole noi pensiamo alla vetta come a un punto che si eleva di un dislivello sufficiente rispetto al territorio circostante. Già, ma qual'è il dislivello minimo, oltre il quale noi consideriamo quel rilievo come vetta? Se vediamo una massa che si innalza di 300 metri sul terreno circostante diciamo che quella è una vetta; se vediamo una massa che si innalza di 30 centimetri sul terreno circostante diciamo che quello è un sasso. E' evidente dunque che nella mente di ognuno di noi c'è un valore critico oltre il quale parliamo di vetta, indipendentemente dal fatto che probabilmente nessuno di noi ha mai cercato di esplicitare tale valore. Il problema sta proprio in questa possibile esplicitazione. Per arrivare a questo considerai i 4000 che nelle numerose liste precedenti erano accettati da alcuni e respinti da altri proprio perchè considerati non sufficientemente individuati. Erano questi evidentemente i 4000 in posizione chiave, quelli che potevano risolvere il problema. Feci dunque la media dei dislivelli tra questi 4000 'dubbi' e il rispettivo più alto colle adiacente. Venne fuori un dislivello tra 30 e 40 metri. Era dunque chiaro che al di sotto dei 30 metri nessun alpinista è disposto a parlare di vetta. Questo fu assunto come valore limite, per comprendere o no un 4000 nella lista in base alla sua individuazione.
E' importante notare che questo criterio e questo valore di 30 m non inventavano nulla di nuovo né stravolgevano l'esistente. Essi si limitavano a tirar fuori, a esplicitare, a dare una veste quantitativa e oggettiva a quanto era già nascosto nelle liste precedenti, se pure ancora in forma implicita e non percepibile.
Per applicare questo modo di procedere nel caso presente è però necessario individuare una base iniziale, per esempio una o più liste proposte in precedenza per i nuovi 8000 candidati a entrare in una lista ufficiale. In questo campo le liste proposte sono veramente poche e in genere stilate da pochi alpinisti isolati. C'è però un lavoro precedente svolto da un gruppo di 43 ottomilisti slovacchi i quali hanno fatto in totale 85 salite a vette sopra gli 8000, tra le quali tutti i 14 ottomila 'ufficiali' più altri minori, e hanno messo a frutto questa massa di esperienze in una lista di possibili nuovi 8000 (la tabella compare nel sito: www.8000.sk/21x8000.pdf ).
Secondo noi sarebbe insensato non dare il giusto peso a questo grande lavoro, per cui pensiamo che questa potrebbe essere la nostra base di partenza. Il fatto di considerare anche le poche altre liste di alpinisti isolati sarebbe quasi ininfluente, nel senso che di fronte a un numero di 43 individui il parere di pochi altri finirebbe per non avere un peso determinante.
E' da notare che neppure in occasione del lavoro sui 4000 si potè usufruire di così numerosi alpinisti ed esperti. Nessun criterio di scelta è stato indicato per la lista degli slovacchi; oltretutto al momento della sua pubblicazione diversi di quegli ottomilisti non erano più in vita, per cui più che a un lavoro fondato su criteri meditati e condivisi è logico pensare a pareri individuali non strettamente coordinati. Ebbene, il nostro obiettivo è proprio quello di tirare fuori quel valore critico, inespresso, che sta nascosto dentro questa lista, seguendo una via abbastanza simile (anche se non identica) a quella già seguita per i 4000.
La lista in questione elenca 6 vette satelliti considerate degne di entrare tra i veri ottomila, precisamente:
(1) Broad Peak Central;
(2) Yalung Kang (gr. Kangchenjunga);
(3) Kangchenjunga vetta Sud;
(4) Lhotse Shar;
(5) Lhotse Central Peak I (o Middle West Tower);
(6) Kangchenjunga vetta Centrale.
E' da notare che gli slovacchi inserirono anche la vetta Sud (o Sud Est) del Makalu, allora quotata 8010. In seguito però questa vetta non è più stata considerata, vedi rif. [2]; in particolare nella accurata guida di Kielkowski essa viene quotata 7803 m. Pertanto penso che non la si debba considerare tra i possibili 8000.
Visto che qui di seguito parleremo dei valori misurati delle varie prominenze per gli 8000 satelliti, i metodi pratici per valutarli sono in generale collegati alle fotografie e alle curve di livello delle migliori carte, oltre naturalmente alle testimonianze dirette di chi è stato in loco.
Per quanto riguarda Google Earth è facile constatare che le altimetrie, soprattutto in alta montagna, sono piuttosto approssimate. Se tale scarto fosse sistematico, quando si facesse la differenza tra una vetta e un colle (che è il caso collegato alle prominenze) questa differenza eliminerebbe l'errore sistematico sui due valori assoluti, e tutto andrebbe bene. Purtroppo abbiamo visto che in molti casi non è così, per cui, personalmente, sono restio all'uso di Google Earth. Va notato che anche per le prominenze elencate in rif. [2] si considerano solo carte e foto, e non si fa cenno a Google.
A questo punto possiamo esaminare la Tabella 1 nella quale sono raccolti i dati di prominenza per vari 8000 satelliti:
Tabella 1
VETTA |
PROMINENZA (metri) |
VETTA |
PROMINENZA (metri) |
|
Broad Peak Central |
181 |
Annapurna vetta Est |
50 |
|
Yalung Kang |
135 |
Yalung Shoulder |
40 |
|
Kangchenjunga South Peak |
116 |
Lhotse Central Peak II |
37 |
|
Lhotse Shar |
72 |
K2 p. 8134 (cr SO) |
35 |
|
Lhotse Central Peak I |
65 |
Annapurna vetta Centr. |
30 |
|
Kangchenjunga Central Peak |
63 |
K2 vetta SO |
30 |
|
Everest vetta Ovest |
30 |
|||
Kangchenjunga vetta SE |
30 |
|||
Nanga Parbat vetta Sud |
30 |
|||
Shisha Pangma vetta Centr. |
30 |
|||
Everest cr. NE pinnacle II |
25 |
|||
Everest spalla NE |
19 |
|||
Everest cr. NE Pinnacle III |
13 |
|||
Lhotse cr. N Pinnacle II |
12 |
|||
Lhotse cr. N Pinnacle I |
10 |
|||
Lhotse cr: N Pinnacle III |
10 |
|||
Come si vede in questa tabella, i 6 ottomila proposti come vere vette dai 43 ottomilisti cechi mostrano prominenze tra un massimo di 181 e un minimo di 63 m. Dopo questo gruppo di vette si hanno le altre, quelle escluse, che hanno prominenze che vanno da 50 m (Annapurna Est, primo escluso) a valori molto bassi per i gendarmi minori.
Dalla tabella risulta con immediatezza la singolare coincidenza tra il gruppo di vette considerate come veri 8000 dai 43 ottomilisti e il gruppo di vette che mostrano una prominenza superiore a una fascia critica situata tra 50 e 63 m (fascia dunque centrata su un valore di circa 60 metri).
Si potrebbe anche notare, considerando il gruppo di 8000 promossi dai 43 ottomilisti e gli altri che sono stati scartati, che non ci sono inversioni nei valori delle prominenze, ossia non ci sono casi di vette accettate con prominenze minori di vette scartate o viceversa; in altre parole le due categorie vette accettate/vette non accettate sono altimetricamente omogenee e ben separate. Altro punto significativo sta nel fatto che in [2] il valore di prominenza di 60 metri è stato scelto per dividere categorie di montagne di diversa importanza (categorie B e C, più importanti, sopra i 60 m di prominenza, categoria D sotto tale valore). Infine, altro punto positivo, questi risultati eliminano il problema dei semplici gendarmi, che ritorna spesso tra gli alpinisti. Per quanto in generale il semplice gendarme totalmente assimilato alla massa della montagna madre non venga considerato come vetta, indipendentemente dalla sua prominenza, tali discussioni sono sempre state fumose e poco fruttuose in quanto difficilmente disciplinabili sulla base di criteri chiari e non personali. Ebbene, nel caso presente questa possibile fonte di dispute viene eliminata sul nascere, in quanto la nutrita famiglia di gendarmi e spuntoni viene interamente relegata nel gruppo delle vette non accettate (cosa che personalmente mi trova d'accordo) e questo non sulla base di dispute personali, ma sulla base di un criterio facilmente verificabile, quale è il criterio di prominenza.
In conclusione la lista proposta dai 43 ottomilisti sembrerebbe in grado di fornire una base solida e realistica (e anche coerente con se stessa) per il nostro scopo. Ci sembra pertanto fortemente giustificato proporre come limite per l'accettazione topografica dei veri 8000 il valore di prominenza di 60 metri circa.
E' chiaro che se si accetta il valore critico di promineza di 60 m le sei vette elencate nella tabella entrano automaticamente in una preliminare possibile lista dei nuovi 8000.
Una curiosità: le prominenze dei 14 ottomila tradizionali sono molto superiori al limite di 60 m: la più piccola fra tutte è quella del Lhotse, di 610 m. Il rischio di dover togliere dalla lista qualcuno dei 14 ottomila è scongiurato!
Da ultimo, anche se il problema dei gendarmi fortunatamente non ci dovrebbe più interessare, va comunque detto che la distanza del gendarme dalla vetta madre rappresenta una estensione del criterio topografico dal dislivello verticale alla distanza orizzontale, anch'essa importante in certi casi. Per esempio, come vedremo tra poco per le due vette satelliti dell'Annapurna, che verranno valutate sulla base del criterio alpinistico, la loro notevole distanza in orizzontale può essere una valida misura della loro indipendenza dalla vetta madre e può aiutarci nel decidere sulla loro accettazione o meno.
(6) Criterio alpinistico. E' ovviamente un criterio importante per noi, e potrebbe essere soprattutto utile quando un possibile 8000, scartato su base topografica, mostrasse uno spiccato interesse alpinistico. Il criterio alpinistico è ovviamente collegato alla frequentazione alpinistica della vetta in esame, sia nel senso della quantità che della qualità delle vie su di essa tracciate. Ma su tutte le vie di salita che si possono considerare, secondo me devono venire privilegiate le vie che potremmo definire "specifiche", cioè quelle che salgono a quella vetta e su di essa si concludono, ossia quelle vie tracciate da alpinisti che hanno considerato quella certa vetta in esame come meta e sé stante, e quindi come vetta alpinisticamente autonoma. Se la vetta in oggetto ottenesse una valutazione positiva secondo questo secondo criterio, essa potrebbe venire ripescata e inserita nella lista dei veri 8000.
Non dobbiamo però dare, secondo noi, importanza eccessiva al criterio alpinistico, come avvenuto invece in altri studi sugli 8000 , nei quali questo criterio finiva per occupate tutto lo spazio e relegava in seconda linea quello topografico. Non dimentichiamo infatti che una vetta è un qualcosa di morfologicamente oggettivo, una protuberanza che si eleva sul terreno circostante ed esiste indipendentemente dalle vie su di esso tracciate. Dunque mi sembra giusto coinvolgere il criterio alpinistico in seconda battuta.
Altra questione, sempre a proposito del criterio alpinistico: in generale, negli studi precedenti in cui si è valutata l'importanza alpinistica di una vetta, si considerano le vie già percorse. Questo fatto ci mette su un terreno rischioso. Infatti ogni volta che si aprisse una nuova via importante, magari del tipo che abbiamo prima definito "specifico" a una possibile vetta, ci vedremmo costretti a portare dei cambiamenti alla nostra lista. E' chiaro che in questo modo la lista perderebbe significato e valore. In altre parole il criterio alpinistico, considerato in questo modo, diventa un criterio mutevole, e dunque inaffidabile e fonte di confusioni. Molto meglio, secondo noi, considerare la valenza alpinistica generale di una vetta, nel senso di valutarne l'interesse alpinistico sia per le vie già aperte, ma anche per le possibili vie ancora da aprire, per esempio su pilastri o speroni evidenti e definiti, vie che a volte appaiono molto belle e non sono ancora state percorse solo perchè in anticipo sul livello tecnico raggiunto al presente. In questo modo anche il criterio alpinistico può diventare un criterio non mutevole in quanto legato alla struttura della montagna e dunque di grande utilità e solidità, esattamente come il criterio topografico.
(7) In conclusione: secondo i criteri qui esposti, il percorso da seguire per accogliere o no un 8000 tra le vere vette è in definitiva abbastanza semplice (almeno come procedura). Primo passo: se il criterio topografico della prominenza è favorevole la vetta è inserita nella lista senza altre considerazioni. In caso di prominenza poco al di sotto del limite o di possibile particolare interesse alpinistico, si passa al criterio alpinistico. Questo, se favorevole, può far rientrare la vetta tra quelle accettate. Infine, se quella sommità dà un esito negativo sulla base di entrambi i criteri, è senz'altro da scartare.
Qui di seguito si propone una possibile lista di vette di 8000 m che potrebbero entrare tra gli 8000 veri e accettati.
-Broad Peak Central, Yalung Kang, Kangchenjunga South Peak, Lhotse Shar, Lhotse Central Peak I, Kangchenjunga Central Peak: secondo quanto sopra sarebbero da accettare.
-Annapurna vetta Est, Annapurna vetta Centrale: non accettate secondo il criterio topografico (la prima delle due per pochi metri) e neppure accettate dai 43 ottomilisti. Oltre alla notevole distanza di queste due sommità tra loro e dalla vetta principale (fatto sicuramente favorevole in quanto testimonia della loro indipendenza, anche se non lo abbiamo configurato come criterio vero e proprio), in questo caso potrebbe essere opportuno considerare il criterio alpinistico. Si potrebbe allora osservare che le vie tracciate sui due versanti Sud e Nord (Himalayan Index), e anche le vie ancora possibili sul versante Sud, con i suoi poderosi speroni e contrafforti, potrebbero far rientrare queste due vette tra i veri 8000.
Altri commenti:
-Gruppo Broad Peak: Forepeak e Broad Tooth (non citati in rif [2]): il primo è un rilievo sommitale di individuazione veramente poco significativa; Broad Tooth: spuntone quasi indistinguibile dalla massa principale. Nulla da fare.
-Everest S-peak (assente in [2]): da foto assai chiare con persone si può valutare una prominenza di circa 30 m. Non accettabile in base al criterio topografico.
-Rimane la sommità Est del Manaslu, 8013 m, quasi mai citata fra i possibili 8000, e neppure citata in rif. [2] (vedi foto in ultima pagina). Ammesso che la quota di 8013 m non sia stata smentita da più recenti misure (vedi il caso del Makalu vetta Sud Est), considerando la differenza tra 8163 e 8013 m (150 m) è possibile che la sua prominenza superi i 60 m (vedi foto). Però a noi pare che la piramide del Manaslu sia una, quella che culmina a 8163 m, e che questa sommità sia da considerare un gendarme non sufficientemente indipendente dalla piramide principale.
In conclusione, secondo questa lista, ci sarebbero altri otto 8000 da aggiungere ai 14 tradizionali.
Un'ultima osservazione. Qualcuno, esaminando la Tabella 1, potrebbe chiedersi: se per caso uno o più dei valori di prominenza degli 8000 satelliti oggi considerati i più attendibili subissero delle modifiche, per esempio in seguito a delle valutazioni più precise, e magari scendessero sotto il limite di 60 m (oppure salissero sopra questo limite), si dovrebbe modificare la lista degli 8000? Prendendo in esame i due valori di prominenza in posizione più 'esposta' a questa eventualità, che sono quelli del Lhotse Central Peak I (65 m) e del Kangchenjunga Central Peak (63 m) si potrebbe pensare di applicare il criterio alpinistico. Viene fuori che sul primo si ha la importante e difficile via specifica dei russi nel 1997 e sul secondo si hanno almeno tre vie, probabilmente specifiche: la via del couloir che parte dal Grande Piano (del '78); quella per la faccia Sud Ovest del 1984 e quella dei polacchi del '91. E' dunque chiaro che queste due vette potrebbero restare tranquillamente tra le vere vette anche se dovesse verificarsi la modifica della prominenza ipotizzata sopra. Dall'altra parte del valore limite (a parte l'Annapurna vetta Est che sembra da mettere tra i veri 8000, e per il quale, anzi, un innalzamento della sua prominenza sopra i 60 m lo porrebbe in modo ancor più indiscutibile in questa categoria) sta la prominenza dello Yalung Shoulder (40 m) che è piuttosto lontana dal limite. La presente lista dei nuovi 8000 appare dunque abbastanza 'robusta' e protetta anche nei riguardi di evenienze di questo tipo.
8-OTTOMILA AGGIUNTIVI PER ALTEZZA:
1) Kangchenjunga West Peak 8505 m
2) Kangchenjunga South Peak 8476 m
3) Kangchenjunga Central Peak 8473 m
4) Lhotse Central Peak I 8410 m
5) Lhotse Shar 8383 m
6) Annapurna Central Peak 8051 m
7) Annapurna East Peak 8013 m
8) Broad Peak Central 8011 m
9- ELENCO DEFINITIVO DEGLI 8000 UFFICIALI PER ALTEZZA (IN ROSSO GLI OTTOMILA AGGIUNTIVI):
1 Everest 8848 m
2 K2 8611 m
3 Kanghenjunga 8586 m
4 Lhotse 8516 m
5 Kangchenjunga West Peak 8505 m
6 Kangchenjunga South Peak 8476 m
7 Kangchenjunga Central Peak 8473 m
8 Makalu 8463 m
9 Lhotse Central Peak I 8410 m
10 Lhotse Shar 8383 m
11 Cho Oyu 8201 m
12 Daulagiri 8167 m
13 Manaslu 8163 m
14 Nanga Parbat 8125 m
15 Annapurna 8091 m
16 Gasherbrum I 8068 m
17 Annapurna Central Peak 8051 m
18 Broad Peak 8047 m
19 Gasherbrum II 8035 m
20 Shisha Pangma 8027 m
21 Annapurna East Peak 8013 m
22 Broad Peak Central (Middle) 8011 m
Il contributo degli accademici alla storia e alla divulgazione dell’alpinismo è un dato di fatto che si manifesta sin dagli inizi del secolo scorso e prosegue instancabile nell’attualità.
Su questo non avevamo dubbi. Ma mettere in fila libro dopo libro ci ha dato l’idea precisa della quantità, della varietà di argomenti e dello spessore delle opere prodotte.
Tralasciando le pubblicazioni meno recenti (ne parleremo prossimamente), limitiamo per ora l’analisi alle opere uscite negli ultimi cinque anni (2015-2019).
Si tratta di oltre 80 titoli tra approfondimenti storici e culturali, guide alpinistiche, escursionistiche e di arrampicata, manuali, biografie e autobiografie, racconti e altro.
Possiamo veramente dire che senza questa mole di scritti l’alpinismo in Italia oggi sarebbe diverso e sicuramente gli alpinisti avrebbero un minor grado di consapevolezza.
L’impressione è che il libro di montagna, di lettura o di uso come la guida, soffra meno di altri settori la concorrenza del web, e questo lascia ben sperare per il mantenimento di un livello di cultura e conoscenza meno evanescente e frammentario di quello della rete.
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Valle del Sarca mon amour
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Un mito che non tramonta mai
WALTER BONATTI (1930-2011)
Grande Guida Alpina, Accademico ed Esploratore
E prima di tutto Grande Uomo.
Sembra una contraddizione. L’Accademico è una Sezione Nazionale del CAI che comprende da sempre forti alpinisti non professionisti. Solo dal 2014 gli Accademici che diventano Guida possono rimanere a tutti gli effetti membri del Club Alpino Accademico Italiano: in precedenza perdevano il titolo. Ma, naturalmente, questo era solo un aspetto formale: chi ha meritato il titolo di Accademico e si è riconosciuto nei valori relativi tale rimane per sempre. E questo oggi è stato riconosciuto.
Perché l’Accademico richiede ai suoi soci di non essere professionisti? Non certo perché la professione di Guida sia considerata meno nobile di qualsiasi altra professione, ma semplicemente per il fatto che fini professionali ed economici possono condizionare ed orientare l’attività in modo non coerente con l’assoluta libertà e gratuità che rappresenta l’aspetto più nobile dell’andare in montagna e scalare le montagne. Non per necessità di guadagno, quindi, ma solo per soddisfazione ed appagamento del proprio spirito, in assoluta libertà.
Si può affermare senza tema di smentite che lo spirito accademico di un alpinismo alto, di ricerca e di avventura e con connotazioni fortemente etiche è stato il filo conduttore dell’esperienza di Bonatti dall’inizio alla fine, da alpinista non professionista, poi da Guida e infine anche da Viaggiatore.
Ecco perché consideriamo Bonatti uno dei più coerenti rappresentanti dello spirito accademico.
Alberto Rampini Presidente Generale
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Di seguito un appassionato ritratto di Walter Bonatti per la penna di Alessandro Gogna, nostro socio, pubblicato su Gognablog (per gentile concessione).
Che cosa è stato Walter Bonatti
Le sue imprese, e ancor più la marmorea fedeltà alle proprie idee nel realizzarle, ne fanno una figura di spicco assoluto nella storia dell’alpinismo mondiale del Dopoguerra. Dino Buzzati scrisse che se Bonatti fosse vissuto ai tempi di Omero le sue imprese sarebbero state raccontate con un grande poema.
Nato a Bergamo il 22 giugno 1930, si trasferisce a Monza e cresce alpinisticamente nel locale gruppo dei “Pel e Oss” (Pelle e ossa). Appena diciannovenne (1949) ripete la parete nord-est del Pizzo Badile, la Ovest dell’Aiguille Noire de Peutérey e la via Cassin sulla Nord dello Sperone Walker alle Grandes Jorasses. Nel 1951 balza alla ribalta con una scalata che spinge all’estremo il concetto di arrampicata artificiale, tecnica fino a quel momento in uso più che altro sul calcare delle Alpi Orientali e delle Dolomiti: assieme a Luciano Ghigo, la trasferisce sul granito e vince così la parete est del Grand Capucin.
Nel 1953, mentre Ardito Desio comincia a selezionare la squadra di alpinisti destinati a tentare la prima ascensione del K2 8611 m, Bonatti scala con Carlo Mauri (per alcuni anni i due sono ritenuti la coppia più forte del mondo) la Nord della Cima Ovest di Lavaredo in prima invernale. Subito dopo compie (con Roberto Bignami) un’altra prima invernale aprendo la diretta della Cresta Furggen sul Cervino.
Nel 1954, a 24 anni, partecipa alla spedizione italiana diretta dallo scienziato Ardito Desio sulla seconda montagna più alta del mondo, il K2. Una spedizione destinata al successo, con l’epica salita in vetta di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Il giorno prima, Bonatti, il più giovane della spedizione, sceso al campo inferiore per recuperare altre bombole di ossigeno, risale con il portatore hunza Amir Mahdi. Giunti a quota 8100 m circa i due scoprono che Lacedelli e Compagnoni non hanno allestito l’ultimo campo, il IX, nel luogo concordato, bensì oltre una fascia rocciosa che, nella notte incipiente, si rivela un ostacolo insormontabile per la cordata di appoggio. Il vento ostacola le comunicazioni, ma Compagnoni e Lacedelli si limitano a suggerire da lontano di lasciare l’ossigeno e tornare indietro. Vista l’impossibilità di scendere a quell’ora, Bonatti e Mahdi trascorrono la notte a temperature polari, senza alcun riparo. Sopravvivono – all’epoca si credeva fosse impossibile – e scendono alle prime luci, prima l’hunza e poi Bonatti, mentre Compagnoni e Lacedelli, recuperate le bombole, salgono fino in vetta. Mahdi, semiassiderato, subisce l’amputazione di numerose dita.
La spedizione al K2 del 1954 lascia una traccia amara e indelebile nella vita di Bonatti. Per equivoco o per scelta (polemiche e discussioni si sono trascinate per anni, anche nei tribunali) Compagnoni e Lacedelli si sono macchiati di omissione di soccorso. Soltanto nel 2004 la commissione d’inchiesta del Club Alpino Italiano riconosce la versione di Bonatti. «A 53 anni dalla conquista del K2 – scriverà Bonatti – sono state finalmente ripudiate le falsità e le scorrettezze contenute nei punti cruciali della versione ufficiale del capospedizione Ardito Desio. Si è così ristabilita, in tutta la sua totalità, la vera storia dell’accaduto in quell’impresa nei giorni della vittoria».
Un Bonatti più determinato che mai affronta così la stagione successiva: la lotta solitaria durata sei giorni sul Petit Dru lancia il suo nome anche al di fuori dell’ambiente alpinistico. A Natale dello stesso anno affronta con Silvano Gheser la scalata invernale dello Sperone Moore, sul Monte Bianco. Al bivacco della Fourche i due incontrano i giovani scalatori Jean Vincendon e François Henry, un francese e un belga. Nella bufera le due cordate si uniscono ed escono insieme sulla calotta sommitale. Bonatti, che ha il compagno Gheser sfinito, invita Vincendon e Henry a seguirli subito al rifugio Vallot, ma i due si fermano per rifocillarsi e al Vallot non arriveranno mai. Gheser e Bonatti sono recuperati da una squadra italiana. Vincendon ed Henry, nonostante un’operazione di soccorso francese, straordinaria quanto caotica, muoiono dopo 8 giorni e i cadaveri sono recuperati soltanto il 19 marzo. Bonatti è, ingiustamente, accusato di non aver prestato sufficiente aiuto ai due colleghi.
Nel 1958 compone la cordata di punta insieme a Carlo Mauri nella spedizione guidata da Riccardo Cassin al Gasherbrum IV 7929 m, una delle più difficili vette del Karakorum e ne compie la prima ascensione assoluta. Alterna quindi l’attività sul Monte Bianco (Grand Pilier d’Angle, Pilastro Rosso di Brouillard con Andrea Oggioni) con le spedizioni extraeuropee (Patagonia e Ande Peruviane) fino a quando, nel luglio del 1961, si ritrova al centro di una nuova ondata di polemiche. All’inizio di luglio, due cordate tentano la prima ascensione del Pilone Centrale del Frêney (Monte Bianco): Bonatti con Andrea Oggioni e Roberto Gallieni; il francese Pierre Mazeaud con Pierre Kohlmann, Robert Guillaume e Antoine Vieille. A soli 120 metri dalla fine delle grandi difficoltà, tutti devono desistere per una tormenta violentissima. Dopo giorni di bivacchi al gelo cercano scampo scendendo alla capanna Gamba. Solo Bonatti, Gallieni e Mazeaud ci riescono. Accorsero a Courmayeur i giornalisti e vi fu un grande dispiegamento di media, attratti dalle fosche tinte della tragedia.
La difesa di Mazeaud, che spiega come Bonatti fosse riuscito comunque a portare in salvo due dei sei compagni, non basta a tenere l’italiano al riparo dalle critiche. Ma la Francia lo insignisce della Legion d’Onore.
Nel 1963, assieme a Cosimo Zappelli, compie la prima invernale dello Sperone Walker. Nel 1964, con Michel Vaucher, una nuova via su un altro sperone (Whymper) delle Jorasses. Nel 1965 il capolavoro che ne chiude in pratica la carriera alpinistica d’alto livello: una via nuova, diretta, invernale e solitaria, sulla Nord del Cervino.
Inizia la seconda vita di Walter Bonatti, quella di reporter nei luoghi più selvaggi della terra. Nando Sampietro, l’allora direttore del settimanale Epoca, era affascinato dall’idea che qualcuno potesse incarnare, nel secolo XX, la mitica figura di viaggiatore ed esploratore di Henry Stanley, una specie di moderno Ulisse. Bonatti accetta la sfida, interpretando a suo modo quest’idea e rifiutando gli aiuti esterni: da Capo Nord all’isola di Pasqua; dentro le viscere infuocate del vulcano Nyragongo, o sull’isola di Mas a Tierra da novello Robinson Crusoe; attraverso il deserto della Namibia o il ghiacciaio di San Valentin; tra i pigmei dell’Ituri e gli aborigeni dell’Orinoco.
Le sorgenti del Rio delle Amazzoni sono l’oggetto di ricerca di due diverse spedizioni, a Sumatra studia il comportamento della tigre al cospetto dell’uomo. Nelle isole Marchesi è sui percorsi delle avventure raccontate in Typee e Omoo, i romanzi dove Herman Melville racconta di essere scappato dalla baleniera Acushnet sulla quale era arruolato per finire prigioniero dei cannibali e fuggire ancora fortunosamente. Bonatti tenta di dimostrare la veridicità di tale storia. Sono degli anni Settanta le spedizioni in solitaria a Capo Horn, lungo 500 km di fiordi della Patagonia, lungo il corso del fiume Santa Cruz, in Congo, in Guyana, in Alaska e in Antartide. Sono parecchie decine i suoi viaggi, prima raccontati su Epoca, ma poi anche su Airone.
Ha scritto anche una quindicina di libri autobiografici. Muore di cancro al pancreas il 13 settembre 2011, a Roma.
Che cosa è stato Walter Bonatti
Certamente uomo dall’infanzia difficile, con un’adolescenza vissuta in tempo di guerra, Walter Bonatti comincia giovanissimo ad arrampicare in Grignetta sognando il Monte Bianco e le Dolomiti.
A dispetto delle dimensioni delle torri della Grigna, il terreno è assai adatto a forgiare delle personalità: basta pensare a quella di Riccardo Cassin. Infatti, ben presto il giovane Walter dimostra di avere dentro di sé una forza e una volontà del tutto sconosciute ad altri sia pur forti arrampicatori.
Sono soprattutto la determinazione, la tenacia fuori del comune, la pazienza nelle attese, unitamente a una calma glaciale e un’istintuale capacità di calcolo, che gli permettono di avere ancora prima di partire una completa visione generale del problema da affrontare, così declinata nei singoli dettagli da poter affrontare anche gli imprevisti.
Lo dicono già le sue prime imprese, tipiche di un giovane che non è mai veramente soddisfatto di ciò che ha appena realizzato, perché i suoi programmi sono ben superiori alla realtà appena vissuta. Chi lo conosceva poteva vedere, dietro a quello sguardo un po’ glaciale e penetrante, dietro a quel sorriso stretto, l’immensa arsura della sua anima, così fermamente tesa al futuro da non potersi concedersi alcuna gioia duratura nel presente.
Come arrampicatore è stato giudicato “freddo, calmo, forse un po’ lento”. Indubbiamente al suo tempo vi erano alpinisti forse più brillanti e perfino più dotati di lui, sia in Italia che in Europa. Ma nessuno era così calmo e così costante, nessuno aveva la forza interiore della locomotiva Bonatti. Di certo, dove altri erano passati, passava anche lui, anche se magari impiegando qualche ora in più. Non è altrettanto certo il contrario…
Dopo neppure due anni Bonatti è pronto a travalicare quei limiti che nessuno aveva neppure ancora concepito. Il suo concetto di possibile ha compreso progetti che per l’élite di allora erano ancora compresi nel campo dell’impossibile. Come sulla Est del Grand Capucin o sul Petit Dru, sul pilastro che, prima di crollare nel 2005, portava il suo nome. Entra nell’avventura del mai osato con un autocontrollo che non può che essere imitato. Perché lucida freddezza e piena coscienza del proprio esatto valore non si possono imparare come una qualunque tecnica: bisogna nascerci così.
Mentre pensa alle imprese alpine, si allena sistematicamente, è certamente ambizioso e perfezionista. E come tutti i perfezionisti stenta a considerarsi davvero soddisfatto di un risultato.
In pratica riunisce la grande capacità realizzativa di un Riccardo Cassin con l’individualismo sognatore di un Giusto Gervasutti. Ed è alla ricerca dell’avventura perfetta: forse per ottenere quel riscatto, agognato da tutti i suoi contemporanei, italiani colpiti nel loro orgoglio, ferito in un perduto conflitto mondiale e anche smarrito in una guerra civile. In una parola Bonatti diventa eroe salvifico, redentore dell’azione, per ridare il valore all’uomo.
In questa missione, grande è il suo fastidio per le regole e per le restrizioni. È probabilmente questo il motivo che spinse il capospedizione del K2, Ardito Desio, a non includerlo nella cordata scelta per l’attacco finale alla vetta.
La grande ricerca di Bonatti è sempre stata volta al miglioramento dell’uomo, con una grandiosità tale d’intenti da escludere con sicurezza che il suo primo obiettivo fosse l’ingigantimento della sua figura. Questo era più una conseguenza che una causa.
Purtroppo tutto ciò non è stato compreso dai più, in un diluvio di critiche, di invidie e di calunnie. La stampa per prima non si rendeva conto che lo stava deificando, attribuendogli caratteristiche da superuomo. Pronta però a farlo cadere dalle stelle alle stalle al primo incidente di percorso. E del resto così sono sempre stati trattati i provocatori, coloro che sono in grado con la loro creatività di dare scossoni positivi a un’umanità dormiente, ma che alla fine della parabola, sono giudicati scomodi e negativi. Da imprigionare e magari sopprimere. Le tragedie del Natale 1956 e del luglio 1961, entrambe sul Monte Bianco, sono le rampe di lancio del lungo scontro, quasi cinquantennale, tra Bonatti e la stampa. Un sordido gioco al massacro, nel quale tanto più la figura dell’alpinista veniva esaltata, tanto più si aggrediva e si malgiudicava l’umano che necessariamente era il protagonista delle imprese.
Da una parte Bonatti per le masse è unico e irraggiungibile: “tutti cadono e muoiono, ma Bonatti non muore”, sintetizza amaramente Gian Piero Motti. Dall’altra si scatenano così contro di lui gli editoriali dei benpensanti del boom economico degli anni ’60, dei moralisti, degli scribacchini che razzolano nel torbido e nella facile sensazione.
Ad ogni attacco segue una nuova impresa, ad ogni nuova impresa seguono le lodi unitamente a nuovi attacchi. Non c’è dunque da stupirsi se Bonatti, per non cadere egli stesso nella schizofrenia dell’informazione, decide di lasciare, chiudendo in bellezza con l’ultima stupefacente impresa sul Cervino. Prima di essere vittima definitiva di un circolo vizioso che prima o poi lo avrebbe ucciso, Bonatti spiazza tutti con il suo memorabile abbandono.
Per me Walter Bonatti ha rappresentato (e rappresenta tuttora) il maestro che ha forgiato, con le sue imprese e i suoi libri, la mia nascente e giovanile voglia d’avventura, incanalandola sulle montagne. Tramite i suoi racconti ho capito come si possa essere liberi di creare in piena libertà proprio rispettando solo poche ed elementari regole di etica.
Tutta la sua vita alpinistica è stata un grande e unico esempio, dalle più audaci solitarie e invernali alle prime di enorme levatura, da imprese quasi ineguagliate come quella al Gasherbrum IV alla pazzesca avventura umana del K2. Un uomo segnato tanto da successi senza precedenti nel mondo mediatico quanto da tragedie con il seguito di decennali polemiche (è rimasto memorabile nel 2004 il rifiuto del titolo di Cavaliere di Gran Croce, dopo aver saputo che il presidente Ciampi avrebbe dato la stessa onorificenza anche ad Achille Compagnoni!).
Un nome noto in tutto il mondo, limpido, cristallino come le sue montagne. Un nome che conferma a un’Italia, in questo momento assai dubbiosa dei propri valori, quanto invece sia ricca di individui di fama planetaria che l’hanno fatta grande. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno ogni tanto di ricordarcelo.
Walter Bonatti su Enciclopedia Treccani
Walter Bonatti su Biografieonline
Pubblicazioni
MARIO BISACCIA
La rivoluzione delle tecniche di assicurazione in alpinismo
A cura di Alessandra Galli Bisaccia
Quirici Edizioni
con il patrocinio del Club Alpino Italiano
Elegante volume di oltre 160 pagine, da leggere tutto d’un fiato. Spunti poetici tratti dai diari personali si alternano ai documenti storici che illustrano l’intensa attività alpinistica di Mario Bisaccia, Accademico e Istruttore Nazionale del CAI, e ne testimoniano l’impegno nel campo didattico e nella ricerca sui materiali alpinistici e sulle tecniche di utilizzo, in particolare nel campo dell’assicurazione.
Bisaccia fu l’inventore dell’assicurazione dinamica con l’utilizzo del nodo mezzo barcaiolo: il sistema di assicurazione venne adottato ufficialmente dall’UIAA negli anni ’70.
La sua curiosità e continua sperimentazione furono alla base della nascita della Commissione Materiali e Tecniche, antenata dell’attuale Centro Studi Materiali e Tecniche.
Il contributo dell’accademico Mario Bisaccia all’evoluzione dell’alpinismo è stato importante ma non è da meno il patrimonio letterario, non di rado poetico, che ci ha lasciato nei suoi diari alpini, messi a disposizione di tutti con questa bella pubblicazione.
“Le Alpi non procurano soltanto ebbrezze sportive.
Ma possono offrire una misura estetica della vita.”
Assemblea autunnale del Gruppo Orientale CAAI
24 novembre 2019 a Montecchio Maggiore in collaborazione con la sezione CAI locale
presso la Sala Civica della Corte delle Filande a Montecchio Maggiore, Via Alcide De Gasperi.
Programma assemblea
ore 9.00 registrazione partecipanti;
ore 9.30 inizio assemblea;
ore 11.00 pausa;
ore 13.00 circa, chiusura assemblea e trasferimento al ristorante per il pranzo sociale.
Ordine del giorno:
1. Approvazione verbale convegno di primavera di Cividale del Friuli e assemblea Ravina;
2. Comunicazioni della Presidenza e relazione Annuale;
3. Ricordo del socio Giacomo Albiero;
4. Elezione di un membro della Commissione Tecnica (in scadenza Dalle Nogare);
5. Audiovisivo “Materiali e loro uso” a cura di Giuliano Bressan, segue discussione
6. Proposte ed idee per il superamento della mancanza di “vocazioni” per l’ammissione al CAAI
(argomento in discussione al prossimo Convegno Nazionale 2020)
7. Aggiornamento sul Convegno nazionale 2020 a cura del nostro Gruppo
8. Varie ed eventuali.
Reggello, 01 novembre 2019
Il Presidente
Carlo Barbolini
SCUOLA CENTRALE DI ALPINISMO E ARRAMPICATA LIBERA
Tra passato e presente
a cura di A. Rampini
Presentato all’XI Congresso degli Istruttori Nazionali il volume che racconta la storia della Scuola Centrale di Alpinismo e Arrampicata Libera del CAI.
Giuliano Bressan e Gianmaria Mandelli, Accademici e per anni membri attivi della Scuola, con oltre 450 pagine di ricostruzioni, documenti e fotografie dal 1937 ad oggi, consegnano alla storia il contributo fondamentale della Scuola Centrale del CAI allo sviluppo dell’alpinismo e alla diffusione delle conoscenze tecniche necessarie per praticarlo con competenza e consapevolezza.
Emerge dai documenti il contributo fondamentale dato dall’Accademico alla nascita delle prime scuole, organizzate poi dal CAI, a partire dal 1937, con l’istituzione della Commissione Centrale di vigilanza e coordinamento delle Scuole di Alpinismo, embrione della futura Commissione Nazionale. Alla base della nuova organizzazione l’idea di sviluppare l’alpinismo senza guida, allora rappresentata in Italia dal Club Alpino Accademico.
I soci CAAI Ugo di Vallepiana e Michele Rivero furono i primi presidenti della Commissione e numerosi altri Accademici operarono nella Commissione e nelle Scuole del CAI fin dagli inizi. Ricordiamo Carlo Negri, Riccardo Cassin, Giusto Gervasutti, Carlo Ramella, Edoardo Anton Buscaglione, Pino Dionisi, Ugo Angelino, Guido Pagani, Walter Bonatti, Giuseppe Secondo Grazian, Pietro Gilardoni, Ettore De Toni, Fabio Masciadri, Umberto Pacifico, Franco Alletto, Gianluigi Vaccari, Mario Bisaccia, Mario Verin, Claudio Picco, Gianmauro Croci, Luciano Gilardoni per citarne solo alcuni.
La partecipazione di Accademici alla Scuola Centrale è proseguita negli anni. Ricordiamo Cirillo Floreanini, Carlo Barbolini e Claudio Santunione per anni direttori SCA e tanti altri istruttori, oltre ai già ricordati Giuliano Bressan e Gianmaria Mandelli.
Ad oggi fanno parte della Scuola Centrale i soci CAAI Alessandro Angelini, Francesco Cappellari, Francesco Lamo, Maurizio Oviglia, Alberto Rampini, Claudio Sarti, Marco Taboni.