La nostra storia

Club Alpino Accademico Italiano
Lunedì, 16 Gennaio 2023 10:58

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E’ disponibile l’ANNUARIO C.A.A.I. 2022

336 pagine di attualità alpinistica europea ed extraeuropea, grandi avventure, ricostruzioni storiche, monografie e relazioni, ricordi di imprese e personaggi.

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Gli Annuari precedenti - Parte Prima

Gli Annuari precedenti - Parte Seconda

 

Martedì, 27 Dicembre 2022 20:52

Ancesieu è il nome della montagna che incombe con alti e direi quasi oppressivi dirupi sui villaggi posti sul fondo del breve Vallone di Forzo, tributario della Val Soana. E’roccioso il versante che si protende a Sud Ovest con balze impressionanti che da sempre hanno attirato gli sguardi degli alpinisti (pochi) che sono transitati lungo quel solitario solco vallivo.

Ora i dirupi dell’Ancesieu sono solcati da numerosi itinerari di arrampicata. Sono note le eccezionali vie di scalata sportiva tracciate da Manlio Motto all’inizio degli anni ’90 sulla grande parete dell’Anticima. E’ rinata l’antica “Strategia del Ragno” sulla parete della cima principale grazie all’opera di pulizia e sistemazione da parte del compianto Adriano Trombetta. Infine ha contribuito alla celebrità del luogo la difficilissima via “La Cruna dell’Ago” sulla parete dell’Anticima, tracciata da Rolando Larcher con Andrea Giorda e Maurizio Oviglia.

Insomma il nome di Ancesieu è ormai molto noto tra gli scalatori anche se la frequentazione non è quella di altri luoghi delle alpi Torinesi come Caporal, Sergent, Sea. Ma questa cima complessa ha una storia che inizia negli anni ’70 quando il suo toponimo non diceva niente a nessuno. Su Monti e Valli, notiziario della Sezione di Torino del CAI, ho raccontato, nel numero 19 – 1982, l’inizio della storia dell’Ancesieu. Rileggendola a 40 anni di distanza mi è venuto voglia di riproporla.

Ugo Manera 

L’alpinismo ha una sua storia densa di avvenimenti avventurosi, a volte drammatici, che lo rendono avvincente anche per chi non lo pratica assiduamente. Anche in alpinismo il soggetto delle storie, come in altre attività, è sempre e solamente l’uomo. La montagna più alta o la parete più difficile non sono che dei riferimenti che assumono importanza determinante solo se l’uomo vi proietta sopra il proprio interesse. Non appena l’inesauribile sete di novità dell’alpinista inventa un altro problema quella montagna o quella parete perdono di attualità ed il loro nome non rimane che a significare un riferimento storico del passato

La quota di una cima o l’altezza di una parete solo occasionalmente rappresentano dei fattori primari come selezione di importanza dell’evento alpinistico. Il superamento di un passaggio su una paretina breve può diventare un fatto evolutivo più importante della scalata di una cima himalayana. Tutto dipende dagli interessi di attualità tra gli scalatori di punta.

La storia alpinistica genera letteratura, sarà una letteratura in tono minore ma è innegabile che poche altre attività di evasione dell’uomo moderno spingono i protagonisti a scrivere come l’alpinismo. Non sempre gli scritti più avvincenti hanno per oggetto il racconto di imprese su montagne celebri; spesso si scoprono motivi interessanti ed evolutivi nel racconto di vie aperte su pareti nascoste sui fianchi delle valli, ai piedi delle grandi montagne.

Restando in ambito alpinistico piemontese, e scorrendo le numerose pubblicazioni che di tale attività trattano, troviamo spesso delle pagine avvincenti che raccontano la conquista di pareti a bassa quota. Sono degli avvenimenti alpinistici che, nel contesto storico dell’arrampicata su roccia, rappresentano dei punti di riferimento importanti, e non solo per l’alpinismo locale. Basta ricordare i vari scritti che raccontano della Parete dei Militi in Valle Stretta, ed ancora il bel racconto di Gian Piero Motti dedicato al Caporal, pubblicato su Scandere 1974.

I fianchi delle valli Canavesane offrono un campo inesauribile per l’arrampicata ad alto livello. Dopo la scoperta dello Scoglio di Mroz e del Caporal da parte di Motti e mia, fu anche lo scozzese Mike Kosterliz a valutare la dimensione di queste possibilità. Il forte scalatore, che per qualche stagione arrampicò con noi, ci diede un bell’aiuto nell’ampliare i nostri orizzonti arrampicatori che, a dire il vero, erano allora abbastanza limitati.

12 Ancesieu pareti SO e SSOAncesieu pareti SO e SSODopo la vasta esplorazione delle possibilità del Caporal e delle limitrofe pareti dei dirupi di “Balma Fiorant”, ci voleva qualche cosa che andasse oltre, che rappresentasse un impegno più completo e totale delle pur complesse vie tracciate sulle bastionate della Valle dell’Orco. Una parete che richiedesse più giorni di impegno, l’uso delle tecniche più moderne ma con l’esclusione del perforatore e dei chiodi a “pressione”.

Quella parete esisteva ed era già stata scoperta quasi contemporaneamente al Caporal. Solo che i numerosi tentativi venivano condotti in gran segreto: era la parete SO dell’Ancesieu.

L’Ancesieu è una vera cima, la sua quota è 1885 m. Posto nel Vallone di Forzo, tributario della Val Soana, presenta un grandioso versante sud-ovest con impressionanti e complesse pareti granitiche che incombono sulle borgate che circondano Molino di Forzo.

Per innumerevoli anni l’Ancesieu non fu che un insormontabile ostacolo ai montanari che per vivere dovevano strappare all’impervio terreno ogni manciata di erba possibile ed ogni tronco d’albero che riuscivano a raggiungere. I montanari dei tempi andati sui fianchi dell’Ancesieu si sono spinti superando i combetti più ripidi per strappare ben magre risorse. Ancora oggi si trovano tracce di opere ardite che consentivano il passaggio tra lisce placche di roccia compatta.

15 Ancesieu parete SO sullaAncesieu parete SO sulla sinistra la Guglia del Frate

E’ con un senso di tristezza che si osservano queste opere scomparire inghiottite dal tempo, sono il frutto di un duro lavoro e la testimonianza di un periodo importante della storia della dura vita in quelle vallate alpine. A ricordare quei tempi rimangono suggestivi toponimi come quello del Combetto degli Embornei che rappresenta il migliore accesso alle grandi pareti dell’Ancesieu.

1 Risalita cordeRisalita corde fisse all'Ancesieu

2 Prima ascensione paretePrima ascensione parete SSO

 

3 IsidoroIsidoro Meneghin in aperturaQuelle pareti di gneiss, verticali, a volte strapiombanti, non potevano sfuggire agli occhi degli scalatori. Certamente all’inizio non si trattò che di un interesse spettacolare, lo stesso che ogni alpinista, seppur modesto scalatore, prova al cospetto di una parete che appare di elevata difficoltà. Io stesso, nel lontano 1958, alle prime armi come alpinista, sostai a lungo sotto quelle pareti tracciando, con la fantasia, vie impossibili per il futuro da me immaginato per il mio alpinismo.

Nel 1962, sui fianchi dell’Ancesieu, avviene il primo fatto di rilevanza alpinistica: Enrico Frachey con F. Vallesa raggiunge l’ardita “Guglia del Frate” salendo lungo lo spigolo S. E’ questo un ardito e curioso monolito a cuspide strapiombante, ben visibile dal fondo valle. La via tracciata per raggiungere la suggestiva guglia offre una interessante arrampicata, mista libera ed artificiale. Conosce alcune ripetizioni ma l’accesso lungo e complicato non attira gli scalatori.

La storia delle imponenti pareti del versante SO inizia poco dopo la scoperta del Caporal della valle dell’Orco quando Antonio Cotta e Giulio Saviane danno il via ad una lunga serie di tentativi che si concluderanno solo nel 1980. Scelgono la parete della cima principale il cui accesso è lungo e difficile e si svolge lungo il ripidissimo canale che scende fino in fondo valle. Il più agevole accesso attraverso il Combetto degli Enbornei, già percorso dai montanari, verrà riscoperto solo dopo il felice esito dell’impresa.

I primi tentativi di Cotta e Saviane vengono portati a destra di quella che sarà poi la via di salita, lungo un percorso che assumerà il nome di: “variante del Preambolo”. Almeno quattro tentativi non portano gli intraprendenti scalatori oltre la grande cengia erbosa posta ad un terzo della parete. Un grande tetto sembra impedire ogni possibilità di salita.

Dopo questa fase iniziale dei tentativi si ha notizia di approcci da parte di altri scalatori, probabilmente locali, dai quali viene tentato un attacco diretto. Infatti più tardi verrà reperito un ancoraggio da doppia lungo quello che sarà il percorso della via diretta.

 

7 Anticima AncesieuAnticima Ancesieu

 

8 Anticima Ancesieu pareteIn apertura all'Anticima dell'Ancesieu

14 Ancesieu parete SO ManeraManera in apertura all'Ancesieu parete SO

 

11 Ancesieu SSO alleAncesieu SSO alle prese con il tetto

Fin dai primi tentativi risultano evidenti le caratteristiche dell’arrampicata sull’Ancesieu: la roccia è compatta, avara di fessure, quelle arrampicabili sono spesso intasate da ciuffi d’erba tenace; nei tratti ove occorre ricorrere all’arrampicata artificiale la chiodatura è molto tecnica e laboriosa. Malgrado queste problematiche l’ambiente esercita un fascino particolare che spinge i volonterosi protagonisti a ritornare con accanimento sul difficile problema.

Antonio Cotta è un “liberista” di grande qualità, molte volte ci ha lasciati di stucco superando con eleganza dei passaggi da masso sui quali noi ci spelavamo inutilmente le dita. Quando però l’arrampicata diventa una dura lotta ed è necessario ricorrere all’arte più raffinata nella posa di ancoraggi precari, non è più affar suo; per questo i vari tentativi condotti non andarono oltre la cengia erbosa.

Le operazioni Cotta-Saviane vennero sempre condotte in grande segreto, nessuno o quasi, nell’ambiente torinese, ne era al corrente. Giunti però al punto morto della cengia sotto al grande tetto, e per il fatto che Saviane si ritirava dalla competizione, ad Antonio non rimase che chiedere aiuto. La scelta non poteva cadere meglio: Isidoro Meneghin! Isidoro è un grande specialista nell’arte della chiodatura sofisticata e nell’aprire vie sulla roccia più ostica. Era solo una questione di tempo ma con l’apporto di Meneghin il successo era assicurato.

All’inizio del 1980 riprendono le operazioni sulla grande parete dell’Ancesieu: Cotta, Meneghin e Biagio Merlo salgono lungo la variante del Preambolo ed esplorano, scendendo in corda doppia, l’attacco diretto che viene superato in un secondo tentativo da Cotta e Meneghin che lasciano due corde fisse. I due ritornano e, salendo per il vallone del rio Arcando, raggiungono la vetta dell’Ancesieu. Scendono in corda doppia fino alla base della parete, risalgono fino alla cengia ed aggiungono, al di sopra, un’altra corda fissa.

8 Anticima Ancesieu pareteAnticima Ancesieu parete SSO in aperturaFinalmente il 31 maggio 1980 la parete è vinta. L’ascensione è portata a termine in giornata grazie alle corde fisse lasciate in precedenza. A concluderla sono: Cotta e Meneghin ai quali si è aggiunto il talentuoso Giovanni Bosio. In considerazione delle tante e pazienti operazioni Isidoro denomina la via: “La Strategia del Ragno”.

Un cruccio rimane però a Meneghin: da metà parete, per evitare un bivacco, è stata scelta una soluzione di ripiego: i tre sono saliti lungo dei diedri che, in obliquo, portano a sinistra della cima mentre la soluzione ideale sarebbe passata lungo una serie di formidabili diedri chiari che conducono direttamente in cima.

Anche l’ultima fase dell’”operazione Ancesieu” venne condotta in grande riserbo ed il segreto rimase anche dopo la felice conclusione dell’impresa. Isidoro, tornato con Cotta per ricuperare del materiale lasciato, si rese conto che la parete che cade dall’Anticima Sud sul Combetto degli Emburnei, era ancora più maestosa di quella della cima principale, vinta tracciando la Strategia del Ragno. Decise perciò di prepararsi ad affrontare il nuovo straordinario problema mantenendo il segreto onde evitare di essere preceduto da possibili concorrenti.

Scoprì in solitaria l’accesso attraverso il Combetto degli Eburnei e portò, e nascose, alla base della sconosciuta parete delle corde e del materiale.

A questo punto avviene il mio ingresso nella storia di questa straordinaria struttura rocciosa. Già ne conoscevo l’imponenza per averla osservata transitando per il Vallone di Forzo verso altri obiettivi; poi successivamente, con Claudio Sant’Unione, ignari dei tentativi in corso, avevamo condotto una esplorazione raggiungendo la cima dell’Ancesieu. Ingannati però dall’erba che sembrava ingombrare le fessure percorribili, avevamo avuto un’impressione negativa e desistemmo da mire di conquista.

All’inizio dell’estate 1980 avevo scoperto che nell’alto Vallone di Lasinetto esistevano delle pareti che risultavano mai scalate. Mi accordai con Meneghin per andarle a tentare e, un sabato, ci avviammo lungo quel dimenticato vallone. Ad una svolta del sentiero ci fermammo per una breve sosta: di fronte a noi si ergeva maestosa la parete SSO dell’anticima dell’Ancesieu. Manifestai la mia ammirazione per quell’appicco ed Isidoro sorpreso mi chiese:

Ancesieu la parete SO della Strategia del RagnoAncesieu la parete SO della Strategia del Ragno

<<Ti interesserebbe tentarne la scalata?>>

<< Certo>> Risposi.

<<Credevo non ti interessasse>> riprese, ed iniziò allora a raccontarmi la lunga storia della Strategia del Ragno che io, come tutti, ignoravo. Mi disse anche del materiale che aveva nascosto alla base della parete e mi propose di tentarla insieme nell’autunno a seguire.

Quella parete rappresentava con evidenza qualche cosa che andava oltre ciò che avevamo realizzato fino ad allora nelle valli torinesi: la sua ascensione, ammesso che fosse possibile, avrebbe richiesto più giorni ed un impegno totale.

Rimaneva in me un po’ di perplessità nel pensare di affrontare le fessure con erba ed i numerosi strapiombi ma nello stesso tempo andavo ricercando problemi di difficile soluzione onde allenare la mia determinazione in previsione di un grande obiettivo himalayano in progetto per l’anno dopo.

Nell’inverno che seguì la scarsità di precipitazioni ci consentì di arrampicare in continuità e così venne il momento della SSO dell’Anticima dell’Ancesieu. La prima ascensione di quella parete ci richiese tre giorni di scalata più uno dedicato da Isidoro in solitaria ad attrezzare la discesa lungo quello che egli chiamava: il “Pilastro d’Angolo” che delimita le pareti SO e SSO.

Ogni volta si saliva un tratto di parete, si fissavano vecchie corde lungo le quali si scendeva a fine giornata e si risaliva nei tentativi seguenti, quando le condizioni meteorologiche ritornavano favorevoli.

Ricordo le salite e discese notturne lungo il Combetto degli Emburnei che il gelo invernale ornava di gobbe e cascate di ghiaccio; le lunghe soste al freddo mentre il compagno saliva, nella spasmodica attesa di un raggio di sole. Le risalite lungo le corde fisse ruotando nel vuoto staccati dalla parete e l’emozione di una corda quasi tranciata dallo sfregare su uno spigolo di roccia a seguito di alcuni giorni di vento forte. Infine il ricordo più bello: l’uscita dalla via al termine del terzo tentativo, nella luce sfolgorante del sole di un tramonto invernale, lungo la splendida fessura che incide lo strapiombo terminale.

Per superare quella parete siamo ricorsi a tutte le risorse della nostra tecnica: passaggi su “cliff-hanger” quando scomparivano le fessure, sottili “rurp” quando le fessure si riducevano a microscopiche screpolature della roccia, pulizia dai ciuffi d’erba lungo le fessure arrampicabili. Anche però entusiasmanti lunghezze di arrampicata libera e spettacolari visioni create dai raggi del sole nelle sottostanti orride gole, in un gioco fantasioso di luci ed ombre.

10 Ancesieu SSO discesaAncesieu SSO discesaLa SSO dell’Anticima dell’Ancesieu ci ha costretti ad una dura lotta che però, ha suscitato un grande entusiasmo che è durato in noi per molto tempo, quasi avessimo risolto un problema importante. Come è nostra abitudine non abbiamo lasciato chiodi sulla via salvo qualche ancoraggio rotto non utilizzabile. Il tracciato è nelle condizioni in cui lo abbiamo trovato noi, salvo qualche fessura liberata dall’erba e la certezza che si può uscire.

Il nostro interesse per l’Ancesieu non si era esaurito con la salita della parete dell’Anticima. Isidoro non era soddisfatto della conclusione della “Strategia del Ragno”, la metà superiore della via gli appariva come un ripiego e restava irrisolto il problema della linea diretta lungo i diedri che conducono alla cima.

Il primo maggio del 1981 siamo nuovamente nel vallone di Forzo, è nevicato recentemente, le rocce verticali son pulite ma sui pendii c’è della neve fresca. Dalla borgata Tressi, salendo a sinistra delle pareti, a prezzo di una enorme fatica e pestando molta neve fresca, raggiungiamo la vetta dell’Ancesieu. Da qui ci caliamo a corde doppie fin a portarci sulla cengia ove il percorso della Strategia del Ragno sfugge verso sinistra. Attacchiamo la serie di diedri che conducono direttamente alla cima e li superiamo con arrampicata mista di grande impegno. Sarà la via della “Sveglia”.

A conclusione della nostra scalata, sul finire del giorno, ci avviamo per l’interminabile discesa lungo il vallone del rio Arcando. L’Ancesieu ci è costato impegno intenso e tanta fatica, ma, a conclusione, ne è valsa la pena.

Ugo Manera

 

 

 

 

ANCESIEU La strategia del ragno

Leggi qui la relazione versione trad

Leggi qui la relazione post ristrutturazione 2011

Lunedì, 21 Novembre 2022 19:37

Convegno-Assemblea del GRUPPO ORIENTALE

Mestre 26 novembre 2022

 

LOCANDINA CONVEGNO ACCADEMICO MESTR

 

 

Si terrà a Mestre sabato 26 novembre il Convegno autunnale del Gruppo Orientale presso la sala conferenze dell’Istituto Comprensivo BERNA in Via Bissuola 93 (ampio parcheggio interno).

Alle ore 8,30 aprirà la registrazione dei partecipanti e alle 9,00 avrà inizio il convegno-assemblea, che si concluderà alle 13,00. A seguire il pranzo sociale.

Per gli accompagnatori è prevista la visita guidata al Museo di Arte Moderna M9 di Mestre.

Nel pomeriggio, alle ore 15, nell’Aula Magna ci sarà la proiezione del film “Immenso Blu” curato da Manrico Dell’Agnola e a seguire un contributo di Maurizio Giordani sulla sua carriera alpinistica.

Entrata libera al pubblico.

 

jpgScarica qui la locandina in formato PDF

Martedì, 15 Novembre 2022 23:38

ALPINISMO IN APPENNINO CENTRALE – IL GRAN SASSO

Parte prima – dal 1573 al 1940

Di Massimo Marcheggiani

Massimo Marcheggiani, classe 1952, Accademico e profondo conoscitore delle vicende e dell’ambiente del Gran Sasso, sulle cui pareti ha tracciato e ripetuto innumerevoli itinerari, fissa in queste pagine la storia alpinistica di questo importante Gruppo montuoso.

Oltre cinque secoli fa.

Abruzzo, terra di mare e soprattutto di montagna.

Entroterra scarsamente popolato, villaggi spesso isolati nelle campagne e figuriamoci sulle montagne.

Vita dura, fatta di pastorizia e agricoltura, pecore a milioni e boschi infiniti. Praticamente poco altro. Villaggi molto spesso “nascosti” sulle montagne agli occhi di briganti e razziatori di ogni bene che la terra dà.

Il Corno Piccolo da Nord con i sottostanti ripidi Prati di TiIl Corno Piccolo da Nord con i sottostanti ripidi Prati di TivoTeramo e Aquila (oggi L'Aquila) ambedue città di antica storia sono i due centri principali divisi tra loro da una grande catena di montagne ma uniti dal reciproco scambio di merci. Un mercato ambulante che vede l'attraversamento della grande montagna che li divide. Merci portate a dorso di muli, asini o sulle spalle, fatiche bestiali in cambio di soldi. Fatiche bestiali perché la montagna la attraversano al Passo della Portella, e chi sa dove sta si renderà conto di cosa significasse.

Aquila nel 1500 ha una posizione strategica per svariati motivi, principalmente militari. Un Capitano, ingegnere militare bolognese esperto in fortificazioni, vi risiede da tempo per conto di Margherita D'Austria figlia dell'imperatore Carlo V.

Ora, con tutto il rispetto per Balmat e Paccard e sperando che non se la prendano a male, 213 anni prima della loro salita alla massima vetta del Monte Bianco qualcuno fece dell'alpinismo non sulle alte vette alpine, ma bensì in Italia centrale, ed esattamente su una montagna appenninica.

Il “Capitano” Francesco De Marchi, di ben 69 anni, per motivi immagino strategici e di opportunità militare salì, nell'agosto del 1573, la più alta vetta dell'intera catena appenninica. Assoldati due cacciatori di camosci oltre che pastori nel villaggio dell'attuale Assergi e in compagnia di due altri amici, probabili militari anch'essi, risalgono a cavallo (i militari) fin dove possibile, poi necessariamente a piedi superano l'angusto e ripido Passo della Portella per poi scendere all'attuale Campo Pericoli. Oltre questo, il gruppo sale lungo desolate e assolate pietraie, ripide rocce e infine, non sappiamo esattamente per dove, il Capitano Francesco De Marchi diventa il primo salitore della massima vetta appenninica: Il Gran Sasso D'Italia, allora semplicemente chiamato dai villici abruzzesi Monte Corno, a 2912 metri sul mare. Il Capitano incide a scalpello il suo nome, ormai invisibile, a suggello della sua salita e annota che si trova più in alto di qualsiasi altra montagna che lo circonda, che volteggiano in aria aquile, sparvieri e falconi. Annota la presenza sotto i loro piedi di una grande e ripida distesa di neve (il ghiacciaio del Calderone) e di una infinita e immensa pianura con massiccia presenza di pecore (Campo Imperatore). Non ultimo scrive che non lontano “Con somma maraviglia” si vede il mare (Adriatico). A cosa possa essere servito in seguito aver scalato la montagna non ci è dato sapere, rimane però il fascino di poter pensare cosa possano aver provato, il Capitano e i suoi seguaci, a superare il limite dei luoghi dove la vita aveva senso e logica.

Un salto di centinaia di anni, durante il quale la parte alta della montagna ricade nel suo naturale oblio fatto di camosci e rari cacciatori ad eccezione di altre sporadiche presenze “alpinistiche” (Tra i pochi Orazio Delfico e Pasquale De Virgilis, seconda meta del '700) ci porta oltre la metà del 1800, quando l'interesse per la salita delle vette è diventata ormai moda, facilitata da “villici” o “guide cosiddette” al soldo di borghesi in cerca di prestigio tanto sulla catena alpina quanto in Appennino dove il massimo interesse è per i 2912 metri del Gran Sasso e le sue numerose cime circostanti.

Il Corno Grande visto dalla piana di Campo ImperatoreIl Corno Grande visto dalla piana di Campo Imperatore

I britannici, che tanto si distinguono sulle Alpi, vengono a conoscenza di questa montagna dalla quale al mattino si vede distintamente il mare Adriatico. Il primo anglosassone a visitare la massima vetta appenninica è nientemeno che Douglas Freshfield, già autore di diverse salite ed esplorazioni in Asia. Nella primavera del 1875 dopo un lungo pellegrinare insieme alla sua guida francese Francois Devouassoud tra le Alpi Apuane e interminabili viaggi in treno, in diligenze e calessi arrivano al microscopico villaggio di Casale San Nicola, esattamente ai piedi del versante orientale della montagna e ad appena 660 m. sul mare. Vengono ospitati dal canonico del paese da cui attingono informazioni sulla grande montagna. Dal villaggio, salendo in parte di notte si avviano lungo il fianco destro della grande montagna sovrastati dall'immensa muraglia del cosiddetto (oggi) Paretone.

Tra chiazze di neve e numerosi camosci entrano nel grande Vallone delle Cornacchie, rasentano per intero la verticale parete Est del Corno Piccolo e, ancora più in alto, lungo una scoscesa cresta rocciosa nella tarda primavera del 1875 ed in sole sei ore l'intraprendente Freshfield e il fido Devouassoud toccano la vetta Occidentale del Gran Sasso, oltre 2000 metri dal loro punto di partenza, senza tracce di sentiero e pendii nevosi scalinati dalla brava Guida. Ammirano il mare Adriatico, le articolate pareti, il sottostante ghiacciaio del Calderone: “Il Grande Corno è una vera montagna” dice l'inglese al francese. Dopo una dovuta pausa, in sole due ore e più veloci dei camosci fanno ritorno a Casale San Nicola.

Il Gran Sasso diventa sempre più meta ambita, il CAI di L'Aquila ospita nel 1875 il congresso nazionale del sodalizio e la sempre più intensa frequentazione della montagna porterà in seguito alla costruzione del primo rifugio nella conca di Campo Pericoli ad opera del CAI di Roma, intitolato poi a Giuseppe Garibaldi nel 1886. La scelta logistica si rivelerà in seguito fortemente infelice poiché il rifugio nella stagione invernale viene costantemente e completamente sommerso dalla neve.

Il 1880 vede la prima salita invernale del Corno Grande. E' gennaio e due “nomi illustri” si avventurano salendo dal villaggio di Assergi, sotto il versante sud della montagna. Di solito si saliva con l'ausilio di muli e cavalli fin dove possibile, ma l'inverno questo non lo permette di certo. Due giovanissimi cugini del primo ministro e fondatore del CAI Quintino Sella, Corradino e Gaudenzio Sella accompagnati da “presunte guide” locali tra cui Giovanni Acitelli (diversi itinerari oggi portano il suo nome) si inerpicano lungo i ripidi pendii innevati e ghiacciati. Della comitiva uno solo, Corradino, è attrezzato di piccozza e grossolani ramponi mentre gli altri si arrangiano come possono e le “guide” si affidano ai loro famosi “clienti”. Lungo quella che oggi è la via normale del Gran Sasso, tutti arrivano in vetta. I Sella restano stupiti e ammirati alla vista del mare Adriatico, cosa mai vista da nessun'altra montagna da loro salita e ammirano, data la giornata fredda e tersa, la Maiella, i monti Sibillini, il Velino, il lontano Terminillo e non ultima l'immensa, bianca distesa di Campo Imperatore. 

                               Da sin. Vetta Orientale, Vetta Centrale, Torrione Cambi e parte della Vetta Occidentale; la prima traversata è del 1910 Venti ore dopo aver lasciato Assergi la piccola comitiva vi fa ritorno ed in seguito non mancheranno di scrivere elogi sulla bellezza della montagna accompagnate da critiche benevole sulla inadeguata preparazione delle guide, incapaci di affrontare la montagna d'inverno.

Numerose altre cime piuttosto semplici del massiccio abruzzese vengono salite e risalite; scalare montagne, anche se riguarda ancora una umanità più che benestante, si diffonde sempre più, per moda o ambizione personale ma comunque sia è un'umanità che cresce, si confronta e tecnicamente evolve. Una sola di queste montagne resiste ancora inviolata, ormai ambita data la sua forma ardita: ovunque la si guardi spaventa gli alpinisti dell'epoca. Ripide e insormontabili pareti ed erti e angusti canaloni sono l'ostacolo da superare. Si chiama Corno Piccolo ed è la più bella vetta rocciosa del Gran Sasso. Dalle forme eleganti e una roccia formidabile è tutt'ora la montagna più frequentata dagli scalatori e dagli escursionisti esperti.

Sulle montagne della catena alpina si parla già di quarto e quinto grado di difficoltà, mentre al Gran Sasso si è ancora a livello di escursioni, lunghe e complicate ma pur sempre escursioni. I primi un po’ più intraprendenti sono il già noto Giovanni Acitelli di Assergi ed Enrico Abbate, romano e segretario della sezione CAI capitolina. Abbate con Acitelli come guida sono dunque i primi a osare e riuscire nell'impresa. Salgono dal versante Nord. Dal villaggio di Pietracamela con i muli raggiungono la località Prati di Tivo: da qui a piedi salgono gli interminabili e ripidissimi pendii erbosi che dai Prati portano alle prime rocce levigate della parete Nord. Lungo un profondo e roccioso canale escono in alto su una grande comba di detriti ed erba sottostante la vetta. Da qui i due piegano decisamente verso Ovest raggiungendo una facile cresta e lungo questa la vetta. Abbate relaziona la salita e parla di secondo grado, ma a prescindere dalla difficoltà apre, e con lui Acitelli, le porte all'alpinismo di avventura. Giornata lunghissima quella del romano e dell'abruzzese: saliti appunto dai Prati di Tivo i due scendono dalla vetta di 2655m. non sappiamo esattamente come, lungo la profonda Valle dei Ginepri, poi seguono in discesa la valle Maone e fanno ritorno a Pietracamela lungo il fosso del Rio Arno, immagino stravolti di stanchezza. Fare ancora oggi un giro del genere risulta infinito e presuppone grandissima resistenza anche se non ci sono più segreti di orientamento. I fianchi “difficili” quindi cominciano a capitolare; il protagonista principale è Giovanni Acitelli. Nel 1892 insieme a Orlando Gualerzi sale l'inviolata vetta Centrale del Corno Grande con astuta arrampicata. Sempre con Gualerzi, Abbate e C. Gavini compie la prima invernale del Corno Piccolo nonostante la scarsa attrezzatura ed esperienza. Ancora Acitelli con Gualerzi, Gavina e V. Ribaudi salgono d'estate la parete Sud della vetta massima del Corno Grande lungo la via chiamata “direttissima”, ad oggi la più frequentata in assoluto da chi vuole usare oltre i piedi anche le mani. L'inverno successivo vede ancora l'immancabile guida di Assergi accompagnare Gualerzi e E.Scifoni nella prima invernale alla Vetta Orientale, seconda cima più alta del massiccio.     E' ormai la fine dell'800 e le guide abruzzesi lavorano molto con i signori, sopratutto romani. Vista la massiccia frequentazione della montagna e la illogica ubicazione del rifugio Garibaldi, la sezione di Roma si adopera di nuovo per la costruzione di un rifugio costruendolo sullo spartiacque tra Campo Imperatore e Campo Pericoli. Il nuovo rifugio eretto nel 1908 e dedicato al Duca degli Abruzzi è in posizione diametralmente opposta al Garibaldi: posizione molto panoramica sulla cresta della Portella ma di contro esposto a violenti venti tipici del Gran Sasso e totale assenza di acqua.

Le quattro vette del Corno Grande e il ghiacciaio del CalderonLe quattro vette del Corno Grande e il ghiacciaio del CalderoneI primi 20/30 anni del '900 vedono diverse interessanti realizzazioni. Nel 1910 due austriaci danno un altro notevole impulso alla ricerca di itinerari sempre più complessi. I due alpinisti d'oltralpe Schmidt e Riebeling compiono la lunga e articolata traversata delle tre vette del Corno Grande: passata la notte al rifugio Garibaldi raggiungono la vetta Occidentale, da questa percorrono l'articolato filo di cresta in discesa che li porta alla Forchetta del Calderone, poi tramite un marcato camino sembra che salgano in vetta al Torrione Centrale (oggi T. Cambi, ma di questa loro salita non si ha assoluta certezza) scalano poi la Vetta Centrale, ne discendono il breve fianco Est e per finire sono sulla vetta Orientale a 2903 m. Questa traversata in continuo sali-scendi è ancora oggi una stupenda, panoramica e tutt'altro che banale ascensione che, volendo, si può integrare e completare con la salita del Torrione Cambi quasi sempre evitato lungo un tipico “terrazzo” sospeso sopra il ghiacciaio del Calderone. Di norma non la si percorre quasi mai dall'Occidentale alla Orientale bensì al contrario, percorso molto più logico e sicuro. La traversata, di difficoltà medio bassa, necessita però di intuito nella scelta del percorso, sapersi muovere su roccia anche friabile e stabilità meteorologica.

Quasi in risposta agli austriaci la guida Francesco Acitelli insieme al romano Paolo Haas sale l'infinito canalone che porta oggi il loro nome. Questa salita inizia dalla isolata e remota Valle dell'Inferno e con un percorso non difficile e molto evidente conduce, dopo 1200 metri di salita sulla Vetta Orientale. La vetta ancora inviolata (?) del Torrione Cambi viene salita nel' '14 dalla Guida F. Acitelli con A. Allevi e E. Gallina. In questi anni la SUCAI di Roma torna ad una sua continua presenza sulla montagna, firmando diverse prime salite ormai senza, o quasi, l'appoggio delle guide. Nell'immediato dopoguerra 15/18 i romani C. Chiaraviglio e E. Berthelet salgono per primi l'articolata cresta Sud del Corno Piccolo, altro magnifico itinerario costantemente sospeso sulla precipite parete Est. Fa in seguito furore la salita della più grande, isolata e selvaggia parete dell'intero massiccio del Gran Sasso e di tutto l'Appennino Centrale, oggi conosciuto come “Il Paretone”.

La splendida cresta Nord Est del Corno Piccolo salita da JanneLa splendida cresta Nord Est del Corno Piccolo salita da Jannetta e Bonacossa l’1 novembre 1923Un giovane e intraprendente romano (di adozione) si distingue su tutti decretando la stagione dell'alpinismo senza guide anche su grandi itinerari. Nel '19 Enrico Jannetta, ex tenente degli alpini, apre una nuova via sul Torrione Cambi alzando ancora, anche se modesto, il livello di difficoltà. Nell'estate del '22 prende forma però la sua più importante impresa alpinistica dell'epoca; Enrico Jannetta, insieme a cinque coetanei parte in corriera da Roma fino ad Assergi. Il gruppo dei sei ragazzi attraversa il massiccio del Gran Sasso e dopo quattro giorni dalla partenza raggiunge infine con tende, coperte, cibo e materiale alpinistico la base della immensa parete Est della vetta Orientale. Qui c'è un piccolo corso d'acqua e si fermano per riposare un giorno intero. All'alba del sesto giorno i sei giovani e coraggiosi ragazzi, legati in due cordate da tre affrontano un terreno vasto e ricco di incognite tra canalini, pendii erbosi, placche di roccia a volte friabile e a volte ottima. Scalano ricchi di coraggio e determinazione; la parete è immensa e isolatissima. Un lungo traverso obliquo verso destra con sulla testa gli immensi strapiombi della Farfalla (oggi e non allora chiamata così) porta i ragazzi alla base di slanciati ed evidentissimi pilastri. Li evitano ovviamente continuando nell’interminabile obliquo verso destra da dove, dopo infinite 14 ore di arrampicata e 1500 metri di parete sotto il sedere, escono finalmente in cima alla vetta Orientale. E' un fulmine a ciel sereno perché mai prima di allora si era osato tanto. La via Jannetta al Paretone, con i suoi 1500 metri di sviluppo ancora oggi viene ripetuta ma mai frequentemente. E' senza dubbio, a prescindere dalla bassa difficoltà, un ingaggio di tutto rispetto.

Il Paretone del Gran Sasso e la via Jannetta del 1922Il Paretone del Gran Sasso e la via Jannetta del 1922L'instancabile Enrico Jannetta nello stesso anno è il primo a superare la impervia e ripida parete Est del Corno Piccolo. L'anno seguente, insieme al conte piemontese Aldo Bonacossa apre una lunga via sulla cresta Nord e il giorno seguente l'articolata cresta Ovest della stessa montagna. Un altro importantissimo merito di Jannetta è la precedente scoperta e valorizzazione della palestra di arrampicata del Monte Morra sui monti Lucretili non particolarmente lontani dalla capitale e che in seguito e per quasi 60 anni sarà il riferimento maggiore per intere generazioni di scalatori, in grandissima parte romani.

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli Aquilotti del Gran Sasso nel 1925Gli Aquilotti del Gran Sasso nel 1925E' dell'estate del 1925 la prima solitaria, e forse la prima in assoluto di un certo rilievo, della traversata delle tre (o quattro?) vette del Corno Grande da parte di Giuseppe Bavona che desta un interesse generale, tanto che in seguito ci saranno altre diverse solitarie della bellissima traversata. Oltre lo specifico Corno Grande e Corno Piccolo c'è un’ altra imponente ma secondaria parete che attira gli sguardi di altri due giovani scalatori. Sono Alberto Herron e Piero Franchetti a superare per primi nel 1927 la grande bastionata del Pizzo Intermesoli, che si innalza ripida dalle pendici della tranquilla e amena Valle Maone. I due superano una profonda e lunga spaccatura che divide il secondo dal terzo Pilastro. La via oggi pressoché ignorata termina, come tutte le successive vie aperte in seguito, su dei ripidi prati e rocce friabili sottostanti la vetta.

La montagna, che aveva già visto alcune salite invernali inaugurate dai due cugini Sella, desta nuovamente interesse. Va detto che fino ad allora le salite erano state piuttosto semplici, risalendo vie normali e quindi pendii o semplici e larghi canaloni. E' nell'inverno del 1929 che finalmente si tenta una scalata tecnicamente più impegnativa, dando il via ad un alpinismo molto più avventuroso di quanto non sia stato fatto precedentemente.

 

 

 

 

 

Mario Cambi e Paolo Cichetti durante linvernale alla cresta SMario Cambi e Paolo Cichetti durante l’invernale alla cresta Sud del Corno Piccolo, 12 Febbraio 1929Due ragazzi poco più che ventenni, ma già tra i più bravi e intraprendenti della SUCAI di Roma, Mario Cambi e Paolo Cichetti partono dalla capitale in corriera arrivando ad Assergi il giorno stesso del funerale della nota guida alpina Giovanni Acitelli. L'8 febbraio si avviano quindi verso la montagna già abbondantemente coperta di neve ( l'inverno 1928/1929 verrà censito come uno dei più freddi e nevosi del secolo) nonostante una meteo incerta, e arrivano, probabilmente superando il Passo della Portella, al rifugio Garibaldi. Questo è sommerso di neve e lo trovano oltretutto con la porta aperta; l'interno è invaso di neve. Manca una pala e non riescono a liberare la porta, il camino non funziona e non riescono ad accendere nemmeno un po' di fuoco. Passano la notte come se stessero all'aperto. Il 9, a giorno già avanzato, si avviano lungo pendii colmi di neve verso la Sella dei due Corni superando il Passo del Cannone. Nonostante il forte ritardo sulla ipotetica tabella di marcia Cambi e Cichetti non demordono e dalla sella attaccano le rocce della via Chiaraviglio – Bertelhet. Questa, facile d'estate è letteralmente trasformata e la salita risulta difficilissima e penosa. I due ragazzi stanno inanellando errori su errori. Nel frattempo perdono uno zaino, uno dei due (Cambi) non ha più guanti ma nonostante tutto continuano verso la vetta. Solo poco prima del tramonto, ancora lontani dalla meta decidono di arrendersi. Riescono a tornare alla sella che è già notte. Oggi noi ci chiediamo perché, invece che tornare al rifugio, lontanissimo e stremati e mezzi congelati, non siano scesi per il facile Vallone delle Cornacchie e senza difficoltà alcuna raggiungere l'albergo in costruzione a sole un paio d'ore di cammino e qui trovare rifugio per poi scendere facilmente a Pietracamela.

No, invece dopo aver cercato e recuperato lo zaino perso risalgono faticosamente al Passo del Cannone, attraversano la Conca degli Invalidi e infine a notte fonda il Garibaldi. Tutto con la neve oltre le ginocchia. Togliendo gli scarponi realizzano di avere ambedue avanzati stati di congelamento ai piedi e Cambi ad una mano. Il 10 restano fermi, non riescono a calzare gli scarponi e fuori si è scatenata una tormenta che accumula neve su neve. L11 febbraio non cambia nulla e restano fermi, senza ormai cibo e infreddoliti fino alle ossa. Il 12 non hanno più alternativa: scavano con le mani un pertugio per uscire dal rifugio letteralmente sommerso dalla neve e tentano disperatamente di scendere a Pietracamela. La marcia è assolutamente penosa, Mario Cambi non ce la fa più, si ferma e muore di stenti tra le braccia del suo amico Cichetti non può fare altro che provare a salvarsi, continua la sua disperata discesa ma è arrivato alla fine di ogni più piccola risorsa fisica. Crolla nella neve fonda anche lui, nel bosco a ormai due soli chilometri dal piccolo paese. Le ricerche dei due si avviano quanto prima ma senza esito. Cichetti viene ritrovato intorno al 20 Febbraio. Il corpo di Mario Cambi verrà invece ritrovato molto più in alto, soltanto nel mese di aprile. La ricostruzione di questo primo, tragico e drammatico evento si è resa possibile grazie ad alcuni scritti che i due sfortunati ragazzi hanno lasciato nel rifugio Garibaldi, scritti che fanno pensare avessero ormai sentore della loro imminente fine.

L'alpinismo in Abruzzo e in centro Italia in quegli anni viveva di una notevole inferiorità sia tecnica che culturale in confronto all'enorme e intraprendente movimento che cresceva sulle Alpi dove italiani, tedeschi, austriaci e francesi si rincorrevano e sfidavano nella soluzione di già grandi problemi. Basti pensare al sesto grado della via di Solleder e Lettenbauer sulla immensa parete nord Ovest del Civetta salita nel 1925 confrontandola con quanto scritto sopra, dove il quarto o il quinto grado non si sapeva ancora cosa fossero. Per quanto riguarda invece l'alpinismo invernale degli anni a seguire aprirò un capitolo a parte.

Corriere in partenza da Isola del Gran Sasso. Sullo sfondo la parete ECorriere in partenza da Isola del Gran Sasso. Sullo sfondo la parete ECi pensano alpinisti aquilani a colmare, anche se con l'evidente ritardo, il gap tecnico ormai in continua evoluzione sulle Alpi quando le “grandi” scalate al Gran Sasso erano ancora limitate alla salita di Jannetta al Paretone e oggettivamente poco altro. I fratelli Domenico e Dario D'Armi, insieme a Manlio Sartorelli nell'estate del 1931 salgono in due giorni la lunga e imponente cresta Nord della vetta Orientale, che con i suoi 1150 metri fa da spartiacque tra il Paretone e il vasto Vallone delle Cornacchie; salgono dalla base superando un ostico camino con un breve tunnel, oltre una marcata cengia (cengia dei fiori oggi) seguono la non lineare cresta con problemi di orientamento, fatta di muri, creste, camini di roccia mai particolarmente solida ma innalzano improvvisamente il livello tecnico fino al quarto grado, con un verticale muro che sfiora il quinto.   Domenico D'Armi era senz'altro il migliore tra gli alpinisti abruzzesi ormai molto presenti sulla grande montagna, mentre i romani, forse memori della precedente tragedia sono di nuovo quasi assenti. Domenico, detto “Mimì” D'Armi sembra quasi scatenarsi nel realizzare prime salite e ad affrontare difficoltà senza timori reverenziali.

La punta dei due e sullo spigolo la via di GervasuttiLa Punta dei due e sullo spigolo la via di Gervasutti Bruno Marsili, futuro medico condotto di Pietracamela (poi medico in alcune spedizioni abruzzesi in Himalaya negli anni dopo la guerra) e D'Armi aprono una elegante via su un evidente torrione chiamato in seguito Punta dei Due in loro onore. Ancora D'Armi nel '33 apre con Antonio Giancola lo spigolo Sud Sud Est della vetta occidentale (oggi ripetutissimo) con un passaggio che fa pensare ad un ipotetico sesto grado, cosi come nella salita della via dei Pulpiti alla Vetta Centrale aperta dagli stessi nel '34 con difficoltà complessive maggiori rispetto allo spigolo, sfiora o raggiunge il fatidico sesto grado. A introdurre ufficialmente questo mitico grado è nientemeno che “il Fortissimo” Giusto Gervasutti che insieme al conte Bonacossa sale l'aereo spigolo della Punta dei Due. A tale proposito va detto che il passaggio più duro della via dei Pulpiti non è affatto inferiore al sesto grado di Gervasutti.

Se dal versante aquilano D'Armi ha il suo da fare, di contro dal piccolo paese di Pietracamela non stanno certo con le mani in mano. Già nel 1925 l'allora medico condotto e alpinista Ernesto Sivitilli fonda, diversi anni prima dei Ragni di Lecco e degli Scoiattoli di Cortina, il gruppo “Aquilotti del Gran Sasso” riunendo intorno a se alcuni ragazzi del paese e li introduce all'alpinismo. In uno sperduto villaggio lontano da tutto e tutti Sivitilli porta una ventata di rinnovamento sportivo e culturale. Tra gli “Aquilotti” i più intraprendenti si chiamano Bruno Marsili, Antonio Giancola, Antonio Panza che apriranno importanti itinerari, ancora oggi ripetuti per logica ed estetica.

Nel massiccio del Gran Sasso, verso il termine della catena orientale troneggia il Monte Camicia. Con la sua tetra e friabile parete Nord sovrasta il paese di Castelli, da sempre antagonista di Pietracamela. Era opinione comune che la vasta e repulsiva parete in questione fosse impossibile. A mettere in discussione “l'impossibile” ci pensa l'intraprendente Bruno Marsili con il forte Antonio Panza. Nel mese di ottobre del '34 i due affrontano decisi la parete. Un dedalo di canalini, balze rocciose miste ad erba, pilastrini di dubbia tenuta e tanti sfasciumi creano difficoltà non tanto di grado quanto di intuito e attenzione, la roccia friabile non garantirebbe affatto la tenuta di un volo. Marsili e Panza superano infine un facile canale sotto una fastidiosa pioggia ma dopo 2000 metri di arrampicata giungono finalmente in vetta. Non sia mai!!! I pochi scalatori di Castelli e paesani vari non vogliono assolutamente credere che i due di Pietracamela possano aver superato l'immensa parete, non è possibile! In paese vengono addirittura derisi e presi per sbruffoni. Anche a Teramo in ambiente CAI nessuno crede a Marsili e Panza. Toccati nell'orgoglio abruzzese il 15 di agosto del '36 Marsili e Panza si portano di nuovo sotto la Nord con tanto di testimoni. I due “Aquilotti” scalano di nuovo l'intera parete e a conferma e dispetto dei castellani, lasciano un evidente drappo rosso molto in alto. La prova inconfutabile della loro impresa, che verrà ripetuta per la prima volta soltanto 31 anni dopo dai forti ascolani Francesco Bachetti e Giuseppe Fanesi.

Pochissimi anni dopo, il 10 giugno del 1940 da un balcone di Piazza Venezia a Roma un uomo al potere porta l'Italia intera in una devastante guerra e l'alpinismo viene momentaneamente messo da parte.    

 Foto Archivio M. Marcheggiani 

Martedì, 25 Ottobre 2022 23:02

Convegno Nazionale CAAI – Genova 8 ottobre 2022

Cliccando sulla barra di scorrimento sul margine inferiore del filmato puoi posizionarti sull'intervento che ti interessa

 

Elenco degli interventi

0:00 - Saluto del Presidente Gruppo Occidentale, Fulvio Scotto

5:00 - Saluto del Sindaco di Genova, Marco Bucci

9:40 - Saluto del Presidente Generale CAAI, Mauro Penasa

L’ALPINISMO NIZZARDO, DALLA COSTA AZZURRA ALLE MARITTIME E OLTRE

19:50 - Dal De Cessole a Patrick Berhault – relatore Fulvio Scotto

33:40 - Intervento di Jean Gounand

45:25 - Il dopo Berhault – relatore Matteo Faganello

55:45 - Intervento di Stephane Benoist

PROFETI IN PATRIA, GLI ALPINISTI CUNEESI SULLE MONTAGNE DI CASA

1:04:20 - Relatore Michele Perotti

1:23:20 - Intervento di Cege Ravaschietto

LUPI DI MARE AMMALIATI DAI MONTI, L’ALPINISMO GENOVESE/LIGURE

1:32:50 - Relatore – Alessandro Gogna

2:10:20 - Relatore – Andrea Parodi

UNA PARETE TUTTA PER SÉ, APPUNTI DI ALPINISMO FEMMINILE

2:26:55 - Relatrice Linda Cottino

2:32:00 - Interventi di Betty Caserini e Alice Arata

ALPINISMO E ARRAMPICATA SPORTIVA

3:06:30 - Relatore Giovannino Massari

3:32:25 - Intervento di Matteo Gambaro

DAL GHIACCIO D’OC ALLA MODERNA SCALATA SU MISTO

3:47:30 - Piolet traction sulle montagne cuneesi – relatore Anselmo Giolitti

4:15:15 - Intervento di Massimo Piras

4:24:45 - Il Mercantour e le Alpi Apuane – relatore Matteo Faganello

4:49:50 - Intervento di Massimo Piras

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di Marco Conti - CAAI Gruppo Occidentale

Compito non semplice riassumere in quattro parole la lunga, quanto interessantissima giornata di sabato 8 ottobre, che ha caratterizzato il Convegno Nazionale del CAAI, nella splendida e sontuosa cornice del Palazzo Ducale di Genova, incastonato tra l’elegante Piazza Matteotti e la spettacolare Piazza De Ferrari, nel centro di una Genova pullulante di gente e di turisti in una veste più che mai estiva .

gounand scottofaganello benoist foto calviGounand, Scotto, Faganello e Benoist - foto CalviSala meravigliosamente accogliente ed ovviamente al completo per una carrellata infinita di interventi, temi e personaggi dalle caratteristiche e dal temperamento più svariati.

Dalle parole di presentazione ed accoglenza del sindaco di Genova Marco Bucci, lui stesso con precedenti alpinistici quali uno Sperone della Brenva, all’attenta analisi introduttiva del Presidente Generale del CAAI, Mauro Penasa. Fra i tanti punti toccati, Penasa ha evidenziato l’attuale e piuttosto preoccupante situazione in cui si trova in particolare il nostro Gruppo, quello Occidentale per intenderci, all’interno del quale l’età media dei componenti è oramai attestata da tempo sopra i 60 anni, con scarsa partecipazione dei giovani, vuoi per il mancato interesse al sodalizio, vuoi per una lamentata scarsa apertura verso l’esterno e soprattutto verso le nuove generazioni. Questa realtà era già emersa ed era stata messa in evidenza nella precedente ed animata Assemblea di Gruppo tenutasi in Val Varaita lo scorso autunno, nata e voluta a seguito anche di un animato e combattuto “scontro” epistolare nell’estate precedente fra alcuni componenti del Gruppo.

Il convegno è poi entrato nel vivo del tema, con un excursus ampio e dettagliato, avviato dal nostro presidente di Gruppo Fulvio Scotto, che nel breve tempo disponibile, ha ripercorso la più pura e antica storia dell’alpinismo e dell’arrampicata sulle Alpi del Sud , narrando ed appoggiandosi ai ricordi di Gounand (intervenuto fra gli ospiti stranieri ) con tutto o quasi il panorama “nizzardo”. Sono seguite le imperdibili testimonianze storiche di Gogna con i nomi più rappresentativi del panorama ligure (Calcagno, Vaccari, Montagna, Villaggio, per citarne alcuni). La parola è poi passata ad Andrea Parodi, profondissimo conoscitore delle Alpi del Sud, con una carrellata infinita di luoghi e prime salite, fino alle generazioni più recenti. L’analisi attenta e allo stesso tempo più leggera e scanzonata dell’alpinismo cuneese è stata fatta dalla guida Michele Perotti con la testimonianza di uno dei suoi maggiori protagonisti di sempre: “Cege ” Ravaschietto.

foto N.Villani 30102018 DSC 5060foto N. Villani

06 misto Mercantour FaganelloMisto nel Mercantour - Foto Faganello7b Giova MassariGiova Massari

Splendida e quanto mai eccezionale la parentesi “nizzarda” con la testimonianza diretta e le incredibili realizzazioni di Stéphane Benoist a rappresentarne i vertici dell’alpinismo non solo nizzardo ma direi internazionale (basti citare la sua candidatura a due Piolet d’Or e la vittoria nel 2014 per comprenderne lo spessore). Benoist ha chiaramente descritto con parole e immagini alcuni dei suoi innumerevoli exploit, dapprima sulle Alpi e poi sulle montagne più recondite del pianeta, sempre in stile alpino ed estremamente leggero, testimoniando ai presenti che la strada maestra per il grande alpinismo è tutt’altro che finita; spetta solo alle nuove generazioni perseguirne gli intenti nel pieno rispetto di un’etica rigorosa e rispettosa verso la storia e le nuove tecnologie a disposizione.

18Misto nel Gruppo del Mercantour -foto Faganello

22 La FeniceLa Fenice                               "Cege" Ravaschietto

foto C.Mantero 2 appendice seraleIl folto pubblico presente al Convegno

7 Sergio SavioSergio Saviobetty e alicebetty e alice

 

Si è poi “scesi” si fa per dire, alle strutture di valle ed al mondo dell’arrampicata moderna di alto livello con la storia e l’evoluzione della stessa nelle parole di un sempre innamorato “Giova” Massari, che ha evidenziato le interazioni tra alpinismo classico e arrampicata/alpinismo sportivo, fino ad arrivare alle ultimissime realizzazioni raccontate da Matteo Gambaro, dalle gare alle multipich di altissimo livello.

Non poteva mancare la parentesi tutta al “femminile” con la testimonianza di due splendide protagoniste dell’alpinismo italiano, la guida alpina Betty Caserini e la collega Alice Arata fresca di promozione; lungi dalla definizione, oramai considerabile sessista di “alpinismo femminile “come sottolineato un po’ polemicamente da una brillantissima Linda Cottino, relatrice per questo capitolo del convegno.

46 Apuane dinverno FaganelloApuane d'inverno - foto Faganello

Infine la lunga, cavalcata “piccozze alla mano” fra le più interessanti goulotte e cascate delle Alpi meridionali, dal Monviso al Mar Ligure e giù fino alle Apuane, con gli interventi di Anselmo Giolitti, Massimo Piras e un brillantissimo Matteo Faganello, con le ultime e interessantissime realizzazioni nella zona del Mercantor, ai più misconosciute.

Sono poi scorsi fra un intervento e l’altro un apprezzato cortometraggio del filmaker (e speriamo futuro accademico) Gabriele Canu, girato durante l’apertura di una via nuova di misto assai impegnativa sulla citatissima parete nord-est dello Scarason, insieme ad Alice Arata e al suo compagno Pietro Godani, ed un secondo video di un altro ben noto filmaker, Alessandro Beltrame, sulla scelta professionale come Guida Alpina di Betty Caserini.

Il Convegno ha poi avuto un’appendice dopo cena, con la proiezione del film-tetimonianza “Cristobal Colon” su Gianni Calcagno in presenza della figlia Camilla. La serata si è arricchita con la presenza in sala del sempre prestigioso Kurt Diemberger (con un’intervista realizzata in diretta dal giornalista Ferruccio Repetti) che, da partecipante alla spedizione, ne aveva fatto le riprese filmate, un testimone assoluto dell’alpinismo più tradizionale in questi ultimi 50 anni.

Che dire per concludere? Banale, persino un po’ scontato ringraziare in primis tutti i partecipanti, quelli arrivati dai gruppi più lontani, centrali e orientali.. ma soprattutto un grazie al nostro presidente Fulvio Scotto per la mole di lavoro portata a termine dopo una lunghissima, interminabile maratona.

Vorrei chiudere con le parole di un caro amico, nonché presidente di una sezione CAI del cuneese, a riprova che lo sforzo di un convegno, quando ricco di contenuti vale sempre “la candela”…anzi!

“…Io da umile frequentatore di montagna e presidente della sezione Cai di M*……., ho avuto l'onore di partecipare al convegno dove ho imparato in poche ore più di quanto conoscessi di storia di alpinismo e di alpinisti…”

Grazie a tutti e grazie anche ad una bellissima Genova.

MontagnaTV - Convegno CAAI a Genova

L.Cottino con Alice e BettyLinda Cottino e Fulvio Scotto con Alice e Betty

M.Conti piazza de ferrariPiazza de Ferrari - foto M. Conti

Michel DufrancMichel Dufranc

Asta e Dragonet foto N.VillaniAsta e Dragonet - foto N. Villani

 

 

 

 

 

Lunedì, 17 Ottobre 2022 18:49

All’inizio di ottobre è stata rimossa la radio di emergenza istallata nel Bivacco Canzio nel 2017 a seguito di un accordo sottoscritto tra CAAI e FMS (Fondazione Montagna Sicura) nell’ambito del Programma Italia-Francia ALCOTRA 2014-2020.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al termine del periodo contrattuale di manutenzione si è optato per la rimozione anche in considerazione del non utilizzo nel periodo di sperimentazione e della ottima copertura di telefonia mobile della zona.

                               Il Bivacco Canzio (Col des Grandes Jorasses 3.810 mt)

                               2017 -Installazione della radio presso l'ex Bivacco della Fourche

 

 

 

 

Analoga apparecchiatura trasmittente era stata collocata sempre nel 2017 al Bivacco della Fourche, ora non più esistente (vedi).

 

 

 

Giovedì, 22 Settembre 2022 19:16

VAL GRANDE IN VERTICALE 2022

Luca Enrico traccia un consuntivo della sesta edizione – 3 e 4 settembre 2022

 IMG 20220816 WA0020Ph archivio F.lli EnricoIl sesto raduno Val Grande in Verticale si è concluso domenica 4 settembre con la consueta estrazione dei premi che ogni anno gli sponsor ci donano. E in linea con le passate edizioni è stato uno dei momenti più belli e aggreganti, la fortuna magari non ha sempre baciato gli arrampicatori incalliti, con la vincita dei premi più tecnici ed ambiti, ma in fondo il divertimento sta anche nell’attendere con il fiato sospeso l’estrazione del biglietto di turno scoprendo poi di aver vinto un salame o un pezzo di toma, cosa per altro, a ben vedere, tutt’altro che male. Certo non tutti possono avere la fortuna del penultimo iscritto al raduno, a estrazione già peraltro iniziata: alla fine si è vinto uno dei premi più belli, la corda singola da 80m.

Prima di parlare di numeri e attività legate all’evento vale la pena soffermarsi su due aspetti importanti che hanno caratterizzato questa edizione e che sono legati entrambi in qualche modo con il nostro sodalizio: il coinvolgimento dei giovani nell’organizzazione e il ruolo dell’Accademico stesso nel Gruppo Valli di Lanzo in Verticale, organizzatore ufficiale della manifestazione.

Quest’anno abbiamo voluto e siamo riusciti a creare una bella squadra di giovani, alcuni residenti in valle, per l’organizzazione operativa durante l’evento. Tutto è filato alla perfezione, è stato uno dei raduni con l’organizzazione migliore, dove con grande responsabilità le persone si sono suddivise i compiti, dal montaggio e smontaggio delle aree di ritrovo, al presidio del punto di iscrizione e alla creazione dei pacchi raduno fino ad arrivare al momento dell’estrazione finale.

 

 

IMG 20220903 WA0004Prova di arrampicata per bambini (Ph archivio F.lli Enrico)

 

IMG 20220903 110544Tavolo registrazioni/merende (Ph archivio F.lli Enrico)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutti hanno lavorato per la causa senza anteporre, come purtroppo era avvenuto in passato con alcuni personaggi, le proprie ambizioni personali alla buona riuscita del raduno. Ma la cosa davvero importante è che gli stessi giovani sono quelli che si sono appassionati alle chiodature e richiodature in valle, venendo diverse volte con me e mio fratello e chiedendoci poi anche il materiale per riattrezzare ad esempio le soste di una famosa via di Sea.

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Tra un turno e l’altro alcuni hanno anche arrampicato con il nostro socio Luciano Peirano, uno dei pochi accademici, insieme ai sempre presenti Franco Carbonero, Fabrizio Ferrari, Ugo Manera ed Alberto Rampini (spero di non aver dimenticato qualcuno), ad aver preso parte al raduno. Un vero peccato questo perché è in queste occasioni che sul campo si potrebbe dimostrare lo spirito accademico, cercando di trasmetterlo a quei giovani di cui tanto sentiamo la mancanza nel nostro sodalizio senza però di fatto fare mai nulla per attirarli. Una piccola nota polemica che vuole però essere uno spunto di riflessione per quanti ancora credono che l’Accademico debba continuare ad esistere, visto che oltretutto quest’anno l’ospite d’onore era Leonardo Gheza, uno tra i più promettenti alpinisti italiani che, nonostante la giovane età, è già accademico. Uno dei pochi purtroppo. 

IMG 20220905 WA0063Registrazione al meeting (Ph archivio F.lli Enrico)

Tanto più che, e qui veniamo al secondo degli aspetti peculiari di questa edizione, l’Accademico è diventato il “principale azionista” del Gruppo Valli di Lanzo in Verticale. Da quest’anno infatti il gruppo si appoggia formalmente al nostro sodalizio. Un’operazione di “cambio societario” che io e mio fratello abbiamo fortemente voluto trasferendo la gestione del Gruppo dalle sezioni del CAI al nostro CAAI, in quanto abbiamo ritenuto che questo fosse l’unico modo per mettere al riparo lo spirito del raduno, preservando quello originario che consiste nel promuovere l’arrampicata favorendo il ripristino delle tante vie presenti in Val Grande e in Sea in particolare. Un particolare grazie va al nostro presidente Mauro Penasa e ad Alberto Rampini che hanno creduto in questo progetto che negli anni ha consentito di ridare vita a un vallone che, per tipologia e quantità di vie, è quasi unico, almeno nelle nostre Alpi Occidentali.

Venendo alla sesta edizione si può dire che, benchè il meteo sabato non ci abbia aiutati, la domenica ci siamo ripresi bene. Direi che in questa giornata c’è stato ancora più movimento rispetto all’anno scorso anche se globalmente c’è stata una lieve contrazione delle iscrizioni, proprio dovute al fatto che il tempo di sabato ha scoraggiato molti a salire. Si scalava ugualmente ma purtroppo quando le previsioni portano possibili piovaschi molti preferiscono non rischiare. La preserata a Cantoira in compagnia di Leonardo è andata molto bene, è stata una proiezione semplice, senza quell’autocelebrazione in cui troppo spesso noi alpinisti abbiamo il vizio di cadere. Un incontro con questo bravo giovane alpinista molto informale, quasi famigliare direi, tanto che tutti in sala si sono sentiti coinvolti da quei racconti, anche chi di alpinismo non ne pratica e forse manco sapeva dov’erano quelle guglie e pareti impossibili salite dal nostro ospite.

                               Sulla Parete dei Titani (Ph archivio Chiara Paoli)

 

                               Sulla Via dell'addio alla Parete dei Titani (Ph archivio Chiara Paoli)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il meteo ci ha graziato, a dispetto delle previsioni, il sabato sera lasciando svolgere, sul campanile di Chialamberto, lo spettacolo di danza scalata a cura dell’associazione “Evoluzionaria Vertical Dance”. Magari qualcuno potrà obiettare che poco c’entra con l’alpinismo duro e puro fatto di fatica, sofferenza e pericolo però poco importa, non è certo questo lo scopo del Val Grande in Verticale e questa serata ha visto un nutrito pubblico, circa 300 persone, tutte col naso all’insù a riminare quella danza acrobatica.

Per le attività più “arrampicatorie” e “di montagna” come sempre il corso trad della Scuola Nazionale di Alpinismo Giusto Gervasutti ha avuto un grande successo così come le due giornate di prova scalata per bambini (sabato, col tempo che davano, ci siamo quasi stupiti di vederne comunque così tanti) e la prova scalata per adulti neofiti, novità di quest’anno, partita un po’ in sordina ma che ha poi visto diversi iscritti dell’ultima ora. A tal proposito dobbiamo ringraziare le scuole di alpinismo che hanno permesso queste belle iniziative: la Scuola di Alpinismo Giovanile Lavesi, la Scuola di Alpinismo Ribaldone e la Scuola di Alpinismo Grosso. Senza dimenticare tutta la parte escursionistica realizzata grazie alla Scuola di Escursionismo Mentigazzi di Torino e al gruppo escursionistico del Cai Uget e Cai Lanzo. Un grazie quindi a tutti gli istruttori ed accompagnatori che hanno dedicato il proprio tempo libero per rendere vivo e ricco di iniziative il raduno.

E poi non possono mancare i ringraziamenti agli sponsor: alla Camp con Stefano Dalla Gasperina, a La Sportiva con Umbro Tessiore e sua figlia, a Ferrino, Edelrid, Grivel, Ortovox (un ringraziamento particolare va al nostro socio Giovanni Pagnoncelli che lavorando per Ortovox sono diversi anni che ci supporta), Wild Country, Mountain Sicks e Bshop, alle palestre di arrampicata Bside, Escape, Boulder Bar, Sasp, Cus Climbing, alla Libreria della Montagna, ai negozi, ristoranti, alberghi e B&B, a tutto lo staff di Cesarin e del Savoia. Un grazie particolare va anche ai comuni e ai loro sindaci e a Leo Gheza, nonché all’associazione Evoluzionaria Vertical Dance.  

nonna ace antro neroSu Nonna Ace all' Antro Nero (Ph archivio Chiara Paoli)

IMG 20220904 190537Lo Staff di Vallidilanzoinverticale 2022 (Ph archivio F.lli Enrico)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IMG 20220904 WA0008Luca Enrico (a sin) e Matteo Enrico (a dx) assieme a Leo Gheza, ospite dell'evento

IMG 20220905 WA0051La premiazione (Ph archivio F.lli Enrico)

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20220903 173809Sala affollata per la proiezione di Matteo Gheza (Ph archivio A. Rampini)

 20220903 092155Breefing agli allievi del Corso Trad (Ph archivio A. Rampini)

 20220903 223109La serata di danza-arrampicata (Ph archivio A. Rampini)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovedì, 01 Settembre 2022 09:19

LE ALPI SUD OCCIDENTALI – Protagonisti e proposte di alpinismo

GENOVA Palazzo Ducale Sabato 8 ottobre 2022

CONVEGNO NAZIONALE DEL Club Alpino Accademico Italiano

 

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Un mondo alpinistico spesso poco conosciuto ma di grande fascino ed impegno raccontato in immagini dai protagonisti di ieri e di oggi.

Oltre la storia, tante proposte di itinerari estivi ed invernali a tutti i livelli nelle Alpi del Sud.

Intervengono Matteo Faganello, Fulvio Scotto, Jean Gounand, Shephane Benoist, Michele Perotti, Sergio Savio, Cege Ravaschietto, Alessandro Gogna, Andrea Parodi, Linda Cottino, Alice Arata, Betty Caserini, Giovannino Massari, Matteo Gambaro, Anselmo Giolitti, Guido Ghigo, Massimo Piras

 

 

 

 

 

 

 

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Tra le manifestazioni a latere del Convegno si segnala la straordinaria esposizione RUBENS A GENOVA presso il Palazzo Ducale

Rubens a Genova page 0001

 

 

 

 

 

 

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ArgenteraArgentera

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Asta e Dragonet Alpi Marittime Valle Gesso f. N VillaniAsta e Dragonet Alpi Marittime Valle Gesso f. N Villani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I personaggi, le salite e l'ambiente delle Alpi del Sud presentati da alcuni dei protagonisti e contestualizzati da storici dll'Alpinismo.

                               Cege Ravaschietto, uno dei protagonisti dell'alpinismo cuneese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Betty caserini via Eterni Peter Pan a Rocca la Meja 1bBetty caserini via Eterni Peter Pan a Rocca la Meja

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Anselmo Giolitti su L2 di Benvenuto Mister X (Ph O. Davit)

 

Guido Ghigo anni 80 sullo sperone N Guglia del DragonetGuido Ghigo anni 80 sullo sperone N Guglia del Dragonet

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cima dellArmusso Gruppo del Marguareis 1Cima dell'Armusso Gruppo del Marguareis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERACima dell'Armusso, nel camino della Via di Gianni Comino

Diretta Dufranc Chandelle Cayre di PrefounsDiretta Dufranc Chandelle Cayre di Prefouns

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Corno Stella foto Nanni Villani 1Corno Stella foto Nanni Villani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Corno Stella Spigolo SuperioreCorno Stella Spigolo Superiore

 

G.Massari su Moby Dick a Monte CuccoG. Massari su Moby Dick a Monte Cucco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il Monviso dalla parete W del Bric Camoscierail Monviso dalla parete W del Bric Camosciera

 

G.Massari su Orologio senza tempo a P.FigariG.Massari su Orologio senza tempo a P.Figari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Triangolo della Caprera Vallone di VallantaIl Triangolo della Caprera Vallone di Vallanta

 

Jacopo Ramero Rocca la Meja via Aldila di etica e moraleJacopo Ramero Rocca la Meja via Aldila' di etica e morale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lago delle Portette foto Nanni VillaniLago delle Portette foto Nanni Villani

Lo Scarason Alpi LiguriLo Scarason Alpi Liguri

Lorenzo Cavanna sulle placche di Torna a settembre a ValcucaLorenzo Cavanna sulle placche di Torna a settembre a Valcuca

 

Luca Bianco sulla Diretta allo Scarason foto A.PretteLuca Bianco sulla Diretta allo Scarason foto A.Prette

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

M.Cocito 1 rip. di Stelle e tempeste al Dado di VallantaM.Cocito 1 rip. di Stelle e tempeste al Dado di Vallanta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

M.Faganello in apertura su Papas en fuiteM.Faganello in apertura su Papas en fuite

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Monte Matto versante CabreraMonte Matto versante Cabrera

Monviso G.C.Grassi al bivacco VillataMonviso G.C.Grassi al bivacco Villata

Pelvo dElva e Bric CamoscieraPelvo dElva e Bric Camosciera

 

Prima Torre di TablassesPrima Torre di Tablasses

 

Sulla via Calcagno Gogna al TablassesSulla via Calcagno Gogna al Tablasses

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

          Scalata plaisir alla Cima di Nasta

Sergio Savio foto E. GallianoSergio Savio foto E. Galliano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Terza Torre di TablassesTerza Torre di Tablasses

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tramonto sulla Serra dellArgentera f. N.VillaniTramonto sulla Serra dellArgentera f. N.Villani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sabato, 27 Agosto 2022 21:50

Il 25 agosto avevamo pubblicato sulla nostra pagina Facebook la notizia, ancora da confermare nei suoi contorni, di una frana che aveva interessato poche ore prima il nostro Bivacco Alberico e Borgna al Col de la Fourche, nel Gruppo del Monte Bianco.

A seguito delle verifiche sul posto, dobbiamo purtroppo confermare che la struttura è stata completamente travolta dal movimento franoso, precipitando sul ghiacciaio sottostante. In base alle verifiche effettuate dal Soccorso Alpino Valdostano nessuna persona è rimasta coinvolta.

                               Il bivacco Alberico e Borgna

                               L'aerea posizione del bivacco. Sullo sfondo il Dente del Gigante e le Grandes Jorasses Sono state informate le autorità locali, le associazioni alpinistiche e i mezzi di comunicazione, che tra ieri e oggi hanno dato ampio risalto alla notizia. E’ importante che gli alpinisti diretti al versante Brenva del Monte Bianco sappiano che non si può più contare su questa struttura come base di partenza per le ascensioni o come ricovero di emergenza.

Il bivacco, posizionato al Col de la Fourche a 3.675 mt sulla cresta sud-est del Mont Maudit (massiccio del Monte Bianco), ricordava i due alpinisti torinesi Corrado Alberico e Luigi Borgna travolti da una valanga nel 1934. Venne costruito nel 1935, interamente rifatto nel 1985 e lavori di manutenzione straordinaria si sono succediti nel tempo. L’ultimo intervento risale all’ottobre 2018, quando venne anche posizionata una web cam che ci ha fornito per anni stupende immagini della Brenva aggiornate in tempo reale. Nel 2017 era anche stata installata una apparecchiatura radio di emergenza.

 

 

                               Lavori di amnutenzione

 

La cresta sulla quale sorgeva il bivacco è ormai soggetta ad una instabilità crescente a causa delle elevate temperature che hanno minato il collante glaciale che cementava le rocce, per cui non sarà facile pensare ad una ricostruzione in posizione sicura. Al momento continuano i crolli di materiale.

La perdita di questa struttura è dolorosa per tutti e ci riporta alla mente pagine gloriose della storia dell’alpinismo (qui avvenne ad esempio l’incontro tra le cordate Bonatti e Mazead nel 1961 alla vigilia del tragico tentativo al Pilone Centrale del Freney) ma ci deve anche far riflettere sui mutamenti climatici che producono effetti devastanti sull’ambiente. Qui ne abbiamo una piccola manifestazione e la montagna del futuro sarà diversa da quella che abbiamo conosciuto fino ad ora.

a cura di Alberto Rampini - Foto Archivio Carlo Barbolini

 

 

                               Installata radio e webcam

IMG 20200912 WA0001Le fantastiche immagini fornite dalla webcam

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La nuova webcam al bivacco della FourcheIl bacino della Brenva dal Bivacco della Fourche

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mercoledì, 24 Agosto 2022 16:44

ETTORE CASTIGLIONI Giusto dell’Umanità: la commemorazione al Rifugio Brentei

a cura di Alberto Rampini - Foto A. Rampini e F. Leardi

20220821 114157 2Sergio Martini consegna la targa a Luca Leonardi gestore del Rifugio Brentei

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ettore Castiglioni (1908-1944), forte alpinista Accademico e figura di altissimo profilo umano e sociale, è stato commemorato domenica 21 agosto al Rifugio Brentei.

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Su iniziativa di un gruppo di associazioni e alpinisti con il patrocinio della pro-loco di Ruffrè, paese natale di Castiglioni, e del CAAI, una targa ricordo è stata affidata al gestore del Brentei Luca Leonardi. La targa rimarrà esposta in rifugio per alcuni mesi, per essere poi trasferita in altra location legata alla vita di Castiglioni in una specie di pellegrinaggio della memoria. E’ stata chiamata appunto “targa erratica”.

20220821 105550La foto d'epoca che accompagna la targa erratica

 

20220821 104719Un momento della manifestazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si è iniziato con il Rifugio Brentei, ha spiegato Paolo Vita, uno dei coordinatori dell’iniziativa, perché per diversi anni nel Gruppo di Brenta Castiglioni esplorò le pareti e aprì diverse vie nuove assieme a Bruno Detassis, gestore per oltre mezzo secolo del Brentei. La testimonianza di quanto sia stato benvoluto Ettore Castiglioni sono un sentiero attrezzato e il bivacco sulla cima del Crozzon che da tempo portano il suo nome.

20220821 120101Gli Accademici presenti alla manifestazione assieme a Luca Leonardi e Paolo VitaPresso la chiesetta del Brentei hanno portato la loro testimonianza i rappresentanti di varie associazioni, Sezioni CAI e SAT e numerosi alpinisti. Il CAAI era rappresentato da Francesco Leardi, presidente del Gruppo Orientale, Alberto Rampini ex Presidente Generale, Edoardo Covi, Sergio Martini e Franco Sartori.

Oltre che scalatore, Castiglioni fu anche uno dei primi compilatori di guide alpinistiche moderne, tra le quali quelle della collana TCI-CAI Guide dei Monti d’Italia “Pale di San Martino, Gruppo dei Feruc, Alpi Feltrine”, “Odle, Sella, Marmolada”, “Dolomiti di Brenta” e “Alpi Carniche”.

La biografia di Ettore Castiglioni è estremamente interessante e propone diversi motivi di riflessione, dal perseguimento determinato dei propri ideali di vita e delle proprie passioni, all’impegno in campo alpinistico e culturale e per finire all’impegno civico e sociale, tanto forte e sentito da causarne la prematura scomparsa a soli 36 anni.

Durante la Seconda Guerra Mondiale operò attivamente in favore delle persone ingiustamente perseguitate in Italia e aiutò ad espatriare clandestinamente in Svizzera centinaia di ebrei e avversari politici, finendo più volte imprigionato e trovando infine la morte sul Ghiacciaio del Forno nel tentativo di riacquistare la propria libertà.

Per questa sua attività venne riconosciuto Giusto dell'Umanità dal Comune di Milano nel 2017.

Ed è questo forse l’insegnamento di più grande attualità che ci viene da questo straordinario personaggio:

fare in modo che l’impegno alpinistico non distolga del tutto la nostra attenzione dal mondo circostante e le doti di coraggio, forza e determinazione che guidano nelle scalate vengano impegnate anche in nobili attività di carattere civico ed umanitario.

20220821 092203Il Rifugio Brentei con il Crozzon di Brenta e la Cima Tosa

20220821 135243Bruno Detassis dall'interno del Brentei osserva il Crozzon e ricorda le tante imprese compiute con l'inseparabile Ettore Castiglioni

 

 

Martedì, 09 Agosto 2022 22:38

          Le storiche pareti di Sea

 

VAL GRANDE IN VERTICALE 2022

Sabato 3 e domenica 4 Settembre

 a cura di A. Rampini

 

 

Puntuale all’appuntamento la sesta edizione di questo imperdibile meeting di arrampicata, trad prevalentemente, ma con ampio spazio e possibilità anche per l’arrampicata sportiva.

Il CAAI partecipa all’organizzazione dell’evento sia come Associazione sia con propri soci, in primis i fratelli Luca e Matteo Enrico, organizzatori entusiasti ed instancabili. Le altre associazioni partecipanti sono Il Gruppo Valli di Lanzo in Verticale, le Sezioni CAI Torino e CAI Uget.

La formula è la stessa delle precedenti 5 edizioni: partecipazione libera e senza necessità di prenotazione, iscrizione all’arrivo con consegna pacco-meeting, organizzazione autonoma delle cordate per arrampicare sulle vie storiche del Vallone di Sea (molte delle quali recuperate e risistemate dagli organizzatori, ovviamente senza stravolgerne il significato e l’impegno) oppure sulle diverse pareti che si affacciano sulle Valli, con scelte tra trad e sportivo, come ad esempio la Rocca di Lities.

 

 

 

 

 

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IL PROGRAMMA DEL MEETING 2022

Locandina meeting 2022      

Scarica la locandina

Tra le numerose attività e gli eventi organizzati segnaliamo:

Corso arrampicata trad

 

 

 

 

 

 

CORSO TRAD

Con Val Grande in Verticale torna il corso Trad della Gervasutti!

Un appuntamento imperdibile per chi vuole approcciarsi al mondo del clean climbing, il tutto nel meraviglioso contesto di Sea!

Per info e iscrizioni:

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

 

 

 

 

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Promo arrampicata

 

 

 

 

 

 

PROVA DI ARRAMPICATA

Quest'anno, oltre la consueta prova di arrampicata gratuita per i BAMBINI (non è necessaria prenotazione), una giornata promozionale di arrampicata anche per gli ADULTI: in questo caso è invece necessaria la pre-iscrizione.

Tutte le info sulla locandina e sul programma che trovate sul sito: www.vallidilanzoinverticale.it

 

 

 

 

 

 

 

 

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jpgSCALA E VINCI

Quest'anno al raduno scala e vinci! abbiamo ideato un simpatico contest dove non sarà il grado a decretare il più forte ma chi farà più tiri, secondo un criterio che tiene conto anche degli avvicinamenti alle vie!

 

 

SERATA CON LEONARDO GHEZA   

Sabato 3 settembre alle ore 17,30 a Cantoira. Ingresso libero

 

Vertical dance

 

 

 

 

 

DANZA SCALATA

siamo lieti di presentarvi la collaborazione con Evoluzionaria per un spettacolo di Danza Scalata!

"sogno di una notte di FINE estate"

03/09/2022 21:45 Piazza Fratelli Chiariglione, Chialamberto TO

scarica la locandina

 

 

 

 

 

 

 

LOGISTICA

Quest’anno ci sarà la possibilità di piazzare la tenda o il proprio furgone nel Comune di Groscavallo, grazie allo spazio dedicato dall’Associazione “Al Cicapui”, a pochissimi minuti dall’imbocco del Vallone di Sea  altro

Ulteriori notizie e info aggiornate sul sito Valli di Lanzo in Verticale , dove si possono trovare anche idee e relazioni di scalate.

Report Meeting 2021

Report Meeting 2020

Report Meeting 2019

 

Le foto di questo articolo sono di L. Enrico, M. Enrico, S. Olivetti, E. Fassone

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Mercoledì, 03 Agosto 2022 21:34

Piccozze, ramponi e ancoraggi da ghiaccio: dagli albori ai nostri giorni   

Foto archivio CSMT CAI
 2 Agordino Cascata di S. MartinoAgordino Cascata di S. Martino

 

 

Lo stretto rapporto tra evoluzione dei materiali e difficoltà superate è un dato di fatto. 

L’evoluzione dei materiali è stata, ed è ancora oggi, uno degli elementi fondamentali nella spinta al superamento di difficoltà sempre maggiori. Gli aspetti mentali, la tecnica e l’allenamento fanno il resto, ma soprattutto sul terreno ghiacciato l’innalzamento delle difficoltà è sempre stato strettamente legato alle innovazioni dei materiali.
Ce lo dimostra questo articolo preparato da Giuliano Bressan, impegnato da anni nelle attività di studio e sperimentazione sui materiali presso il Centro Studi Materiali e Tecniche del CAI
 
 
 
 
 
 
 
 
Se prendiamo in esame l’evoluzione dell’arrampicata, il “ghiaccio” è senza dubbio il terreno di gioco dove lo sviluppo tecnologico dei materiali è stato determinante per il progresso delle prestazioni e degli exploit. Andiamo però con ordine e ripercorriamo le varie tappe sino ad arrivare ai nostri giorni.
I primi attrezzi
La prima storica salita al Monte Bianco, compiuta nel 1786, ad opera di Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard fu effettuata grazie all’utilizzo degli “alpenstock”, lunghi bastoni dotati di punta metallica, utili non solo nelle fasi di salita e discesa  ma anche per sondare il terreno; in uso fin dal Medioevo, questi bastoni ferrati si possono considerare a tutti gli effetti gli antenati della piccozza.
Agli inizi del XIX secolo, oltre agli alpenstock, le guide che accompagnavano nelle ascensioni i primi alpinisti impiegavano anche delle comuni accette, atte a scavare dei gradini dove poter appoggiare gli arti inferiori e poter così superare con relativa sicurezza i ripidi pendii di neve dura o ghiaccio. Ben presto però l’ascia venne modificata e perfezionata: il manico fu allungato e dotato di una punta metallica mentre la lama si sdoppiò in una becca, adatta ad essere piantata nei pendii di ghiaccio per rendere più sicura la progressione e in una paletta, utilizzata per scavare i gradini.
Verso il 1840 la paletta diventa orizzontale dando origine in pratica alla piccozza, strumento che accompagnerà guide, scienziati, esploratori e  alpinisti nella salita delle grandi pareti ghiacciate.
In quegli anni, prima della comparsa dei ramponi, le salite su ghiaccio erano lunghe e difficili e si progrediva molto lentamente, utilizzando degli scarponi chiodati che permettevano una discreta tenuta sui gradini scavati nel ghiaccio. Era l’unico sistema possibile per poter salire sulle pendenze più accentuate, modo che richiedeva però un immane lavoro di gradinamento da parte delle guide.
fig. 1 prime piccozze e ramponifig. 1 prime piccozze e ramponiA rivoluzionare il procedimento di scalata  e di conseguenza la velocità di progressione, sia in salita che in discesa, fu l’introduzione dei ramponi, naturale evoluzione degli scarponi chiodati; probabilmente questi attrezzi sono stati i primi mezzi artificiali usati per affrontare le difficoltà del terreno montano e parallelamente gli ultimi ad essere comunemente accettati ed impiegati.  
Le prime testimonianze di “grappette” o “griffe”, cioè di ferri a più punte fissati sotto le calzature per non scivolare, si trovano raffigurate a Roma, sull'Arco di Costantino (inizio del IV secolo d.C.). Come tali, le grappette sono state usate nei secoli successivi in ambito contadino e soprattutto da boscaioli e cacciatori che si dividevano con i cercatori di cristalli la frequentazione della montagna. Nessuno dei pionieri della scalata sulle Alpi aveva però immaginato un loro impiego per superare i ripidi pendii ghiacciati tipici dell’alta montagna e si continuava così a salire gradinando con grande fatica dove le pendenze si facevano importanti. Solo nella seconda metà del XIX secolo si cominciò ad utilizzare delle grappette con strutture molto elaborate (4, 6 e 8 punte) adatte al ghiaccio, anche se nessuno di questi rudimentali ramponi riuscì a diffondersi veramente (fig. 1).
fig. 2 ramponi a 10 puntefig. 2 ramponi a 10 punte
 
Bisognerà attendere il 1909, quando l'ingegnere ferroviario Oscar Eckenstein (1859-1921) entrò nella fucina di Henry Grivel, fabbro di Courmayeur, ai piedi del Monte Bianco sulle cui nevi, cento e più anni prima, era nato l’alpinismo.
Eckenstein aveva progettato un rampone completo con 10 punte che ricopriva tutta la suola dello scarpone. Era ben chiaro nella sua mente il risultato aspettato e  presentò al fabbro dei disegni meticolosi e dettagliati; questi, nonostante un iniziale scetticismo realizzò i ramponi chiesti dall’ingegnere inglese che teneva comunque l’indiscussa prerogativa di poter pagare il lavoro.Dalla loro collaborazione nacque un modello così riuscito da restare valido ancora oggi (fig. 2).
Una vera e propria rivoluzione e, anche se l’impiego di questi attrezzi fu ritenuto dai puristi poco sportivo nei confronti della montagna, la loro affermazione, legata alle eccezionali prestazioni offerte, fu immediata. 
L’utilizzo del rampone a 10 punte consentiva di progredire velocemente su ghiaccio senza dover intagliare degli scalini. Quando il terreno si faceva erto, si procedeva con la tencnica raffinatissima  delle “punte  a piatto”; piegando tantissimo le caviglie, tutte le punte del rampone si aggrappavano al ghiaccio assicurando una buona tenuta. Raggiunta la pendenza limite, si adottava la tecnica della  "piolet ancre", utilizzando cioè la piccozza come un'ancora alla quale attaccarsi con entrambe le mani.
OLYMPUS DIGITAL CAMERA         fig 3 - piccozza in fase evolutiva
Il 30 giugno 1912 fu perfino organizzato un "Concours de Cramponneurs" che si svolse sulla seraccata del ghiacciaio della Brenva tra le guide e i portatori di Courmayeur. Da notare che Eckenstein, ottimo alpinista, spirito contestatore e solitario, aveva introdotto anche un punteggio particolare per valutare lo stile dei concorrenti nelle varie prove e che il concorso fu, molto probabilmente, la prima competizione di scalata, seppur di ghiaccio, della storia.
Con l’uso generalizzato dei ramponi la piccozza prende una forma più “moderna”: il manico comincia ad accorciarsi (dai due terzi dell’altezza a circa la metà della statura della persona) e le becche, originariamente quasi diritte e senza dentature, vengono modificate, solo nella zona della punta, con due o tre intagli per migliorare le doti di ancoraggio (fig. 3).    
Le grandi innovazioni
Qualcosa, tuttavia, si poteva ancora migliorare a favore della velocità di progressione. Si deve a Laurent Grivel, il primo figlio di Henry e guida alpina, l'idea di aggiungere ai ramponi due punte anteriori, permettendo così di affrontare direttamente, cioè con la faccia rivolta al pendio, le più ripide pareti ghiacciate (fig. 4).
fig. 4 rampone a 12 puntefig. 4 rampone a 12 punte
Con questa nuova evoluzione, datata 1929, i ramponi cambiano volto; le 12 punte rendono dinamici questi attrezzi, modificando l’approccio e la filosofia delle salite su ghiaccio e su terreno misto. 
Migliorato il prodotto, sorse ben presto la necessità di renderli più leggeri, per favorire  la rapidità nelle ascensioni in quota. Nel 1936, Amato Grivel, fratello minore di Laurent, in collaborazione con l'acciaieria Cogne, impiegando una lega al Nichel, Cromo e Molibdeno, forgiò dei ramponi davvero resistenti ma più sottili e quindi più leggeri. Attrezzi del peso di soli 360 grammi al paio, fino ad allora impensabili, che nei successivi decenni divennero protagonisti delle prime salite sulle tre cime più alte del mondo, l'Everest, il K2 e il Kangchenjunga.
Questa innovazione risultò determinante per la prima salita della parete nord dell'Eiger, effettuata dal 21 al 24 luglio 1938, expolit che mise fine anche alla decennale diatriba  tra la tecnica “frontale” e  quella delle "punte a piatto". Le cordate impegnate nella salita utilizzavano attrezzature diverse: Heinrich Harrer calzava scarponi chiodati mentre il compagno Fritz Kasparek si serviva di ramponi a 10 punte;  Andreas Heckmair e Ludwig Vòrg usufruivano invece dei ramponi a 12 punte. La differenza nella velocità tra le due cordate fu subito evidente, con la tecnica frontale che permise quasi di raddoppiare il ritmo di progressione, confermandone la maggior efficienza. Heckmair usò anche una piccozza più corta con la becca molto inclinata, di costruzione artigianale.
Gli ancoraggi: chiodi e viti da ghiaccio
fig. 5 chiodo da ghiacciofig. 5 il primo chiodo da ghiaccioSe verso il 1920 era stata introdotta in alpinismo l’assicurazione a spalla in abbinamento ai chiodi da roccia già utilizzati alla fine dell’Ottocento, sul ghiaccio, fino ad allora, le uniche assicurazioni erano costituite dal manico della piccozza, da qualche chiodo da roccia nei tratti di misto e da ancoraggi naturali quali spuntoni e massi affioranti. I rischi a cui andavano incontro i ghiacciatori erano pertanto molto elevati e certe imprese compiute allora hanno ancor oggi dell’incredibile.
Si deve all’alpinista tedesco Wilhelm "Willo" Welzenbach (1899-1934), uno tra i più forti alpinisti del periodo fra le due guerre mondiali, l’introduzione del primo chiodo da ghiaccio: una lama piatta di ferro con delle tacche incise (fig. 5). Questo nuovo tipo di chiodo, derivato da quelli da roccia, gli permise ascensioni sino ad allora inconcepibili, fornendogli efficienti possibilità di assicurazione su tratti altrimenti impossibili da attrezzare. L'esordio dei chiodi da ghiaccio avvenne nel 1924 per la scalata della parete nord del Grosses Wiesbachhorn (3564), in Austria, nel Gruppo degli Alti Tauri. 
Welzenbach assieme a Fritz Riegele, che forgiò materialmente i nuovi chiodi, salì l'impegnativa parete con elegante progressione intagliando un numero elevatissimo di gradini su cui poggiare la punta dei ramponi, purtroppo all’epoca ancora a 8 punte. Oltre ai primi chiodi da ghiaccio, Welzenbach è l’ideatore della moderna classificazione delle difficoltà alpinistiche, risultato della sua scrupolosità e della grande preparazione atletica, tecnica e teorica. Ideata su sei gradi, per l'epoca la massima difficoltà raggiungibile, è oggi conosciuta come Scala UIAA. 
I modelli a lama presentavano però un problema: più ghiaccio veniva rimosso durante l’infissione più la tenuta generale del chiodo si indeboliva. Bisognava quindi ideare ancoraggi  che fossero allo stesso  tempo meno invasivi e maggiormente sicuri.
fig. 6 viti da ghiacciofig. 6 le prime viti da ghiaccioLa soluzione fu trovata da Luigi Bombardieri (1900-1957) che introdusse il concetto del chiodo semi tubolare con feritoie, leggerissimo. Brevettato nel 1935, lo chiamò “arpione Roseg” in omaggio all’elegante vetta glaciale che si eleva accanto al Bernina.      
Nel decennio 1950-’60 fanno la loro prima apparizione anche le viti da ghiaccio; posizionate per avvitamento questi attrezzi soppianteranno in seguito l’impiego dei classici chiodi, ancoraggi che ovviamente richiedevano l’uso di un martello per l’infissione.
Le primi viti, i “cavatappi” per intendersi, come ad esempio lo Stubai Marwa (1957) in lega d’acciaio avevano una forma affusolata e sottile. Altri, come quelli prodotti dalla Salewa (1959), avevano una costruzione a spirale che consentiva una maggiore tenuta (fig. 6). 
 
fig. 7 chiodi da ghiacciofig. 7 chiodi da ghiaccio a percussione
Una sostanziale evoluzione si verifica in seguito anche nei chiodi da ghiaccio, che iniziano a essere via via più solidi ed efficaci (fig. 7). Un chiodo molto all'avanguardia fu ideato nel 1957 in Austria da Felix Ralling: probabilmente il primo chiodo da ghiaccio a percussione con costruzione tubolare della storia.   
Degna di nota è anche l’introduzione, verso la metà degli anni ’50, da parte dell’alpinista austriaco Kurt Diemberger, del “pugnale da ghiaccio”. L’attrezzo piantato all’altezza delle spalle permetteva di togliere e ripiantare la piccozza più in alto senza perdere l’equilibrio; in pratica si poteva parlare per la prima volta di un secondo attrezzo per la progressione.
La rivoluzione della Piolet Traction, il ghiaccio verticale e il Dry Tooling
Gli anni successivi alla fine delle attività belliche portano ad un grande rinnovamento nei materiali e nelle attrezzature impiegate nelle salite, sia su roccia che su ghiaccio e terreno misto.
Le piccozze diventano sempre più corte, più leggere e performanti, ma mantengono una fisionomia tradizionale fino a metà degli anni '60. Nonostante queste innovazioni rimaneva però aperto il problema del superamento di tratti verticali senza dover fare ricorso alla tecnica artificiale. Ciò che ancora non si era intuito erano le enormi potenzialità che potevano derivare da una piccozza usata in trazione sul manico, abbinata alla tecnica frontale. 
Nel 1971, Walter Cecchinel, francese ma di genitori veneti, riprendendo le intuizioni di Lucien Devies e di André Contamine ideò un attrezzo che, partendo dal pugnale da ghiaccio, poteva offrire altre possibilità d’impiego, come per esempio quella di un martello. Ne uscì un arnese, a detta di Cecchinel, un po’ bizzarro: un pugnale da ghiaccio con manico che venne impiegato per aprire un’impegnativa via al Grand Pilier d’Angle sul Monte Bianco. Ben presto Cecchinel, proveniente dalla grande scuola dei ghiacciatori francesi, intuì che la mano poteva impugnare il manico del prototipo per ancorarlo, a braccio teso, al di sopra della testa, servendosene come presa di sostegno. Al contrario della tecnica piolet ancre, i ramponi venivano utilizzati “punte avanti” accoppiando al nuovo attrezzo una piccozza classica d’appoggio. Poco tempo dopo Cecchinel mise a punto due attrezzi ben specifici, piccozza e martello-piccozza, con becche inclinate e provviste di dentini ben marcati e incisi, prodotti da Simond, con i quali riuscì a ripetere il Couloir Lagarde-Segogne all’Aiguille du Plan (Monte Bianco) procedendo su inclinazioni sostenutissime. 
Con la successiva prima salita, nonchè prima invernale, nel 1973 del Couloir nord-est dei Drus, sempre nel Gruppo del Monte Bianco, a opera dello stesso Cecchinel con Claude Jager, la divulgazione della tecnica e successivamente la commercializzazione del relativo materiale, allargarono il campo d’interesse e vi fu grande attenzione per quella che prenderà il nome più che significativo di “piolet-traction” (trazione sugli attrezzi).
fig. 8 piccozza Terrordactylfig. 8 la mitica piccozza TerrordactylNegli anni ‘60 bisogna però riscontrare che gli alpinisti scozzesi erano già tecnicamente molto avanti, visto il terreno particolare sul quale arrampicavano: salite su pareti ghiacciate superficialmente  e fessure intasate di ghiaccio. Più che una piccozza vera e propria occorreva una specie di gancio da incastrare nelle fessure o da agganciare sugli appigli di roccia: da qui, la nascita della prima piccozza  simile alle attuali. All’alpinista scozzese Hamish MacInnes (1930-2020) si deve il progetto e l’utilizzo della prima piccozza e del martello-piccozza interamente in metallo: le “Terrordactyls” (fig. 8). Avevano un manico cortissimo (solo 40 cm) e una becca super solida di forma diritta, anche questa molto corta con 4 denti sulla punta molto inclinata (oltre 45 gradi) che funzionava molto bene in fase di aggancio; attrezzo però molto difficile da piantare dato l’angolo di infissione che procurava dolorose conseguenze per le dita ogni volta che andavano a  sbattere contro la parete. Con questi attrezzi MacInnes e soci salgono però nuove e difficilissime linee sul Ben Nevis e nel Glencoe, in Scozia.
Negli Stati Uniti anche l’alpinista e imprenditore Yvon Chouinard sviluppa nel 1969, nella sua allora piccola fabbrica in California, la prima coppia di attrezzi da ghiaccio: una piccozza con becca molto inclinata e un martello-piccozza, entrambi con lame intercambiabili e manico alleggerito. Strumenti che hanno portato ad una sostanziale evoluzione nella tecnica di progressione su ghiaccio, anche perché gli attrezzi scozzesi erano poco conosciuti e difficilmente reperibili fuori dai confini nazionali.
Nel 1975 nasce l’idea di invertire la curvatura della punta, negli Stati Uniti  con Forrest, in Francia con Simond che mette in commercio nel 1978 la piccozza “Chacal” con la lama a curvatura inversa detta “a banana” che in pratica si usa ancora oggi. La forma a banana, con dentatura completa fino al manico, aiutava moltissimo la penetrazione nel ghiaccio e allo stesso tempo consentiva un’ottima trazione. Sempre negli anni ’70 la Grivel e la Charlet Moser commercializzano le “dragonne” per collegare le piccozze ai polsi dell'arrampicatore; in pratica un utile accorgimento di sicurezza che limitava però moltissimo la libertà dei movimenti. Attualmente le dragonne non si usano più, preferendo collegare, per mezzo di sottili longe, le  piccozze all’imbracatura onde evitarne la perdita durante la scalata.
Dal punto di vista della normativa sui materiali, solamente nel 1978, vengono approvate da parte  della Commissione di Sicurezza dell’UIAA le norme riguardanti le piccozze che portarono all'adozione della lega leggera per la fabbricazione dei manici, al posto del tradizionale legno, già iniziata sia in Europa che negli USA.
 
 
 
 
fig. 9 piccozzze modulari con dragonnefig. 9 piccozzze modulari con dragonneAll’inizio degli anni ‘80 si affermano gli attrezzi modulari cioè con lame e martelli-palette intercambiali prodotti da Charlet Moser (fig.9), Grivel, Simond, Stubai e Lowe. Anche il concetto del tubolare o del semi-tubolare, utilizzato per i chiodi da ghiaccio, viene applicato sulle becche delle piccozze per la piolet-traction, idea che fa tuttora discutere entusiasti e detrattori. 
Altro balzo in avanti è l’introduzione del manico ricurvo sulle piccozze: la piccola fabbrica artigianale americana Ice, realizza nel 1982 “The Eboc”, una Terrordactyls con il manico piegato. Nel 1986 arriva sul mercato la “Rambo” della Grivel; il manico con curvatura accentuata e la lama molto sottile e performante consentono agganci efficaci anche su ghiaccio sottile e una maneggevolezza mai avuta prima. Sempre Grivel nel 1995 fa un altro balzo in avanti con la rivoluzionaria “Machine”, che presenta una marcata piega nel manico con un’inclinazione ottimale, sia per l’infissione della lama sia per l’impugnatura inclinata che fa risparmiare fatica.
Sono gli anni in cui l'arrampicata sulle cascate di ghiaccio diventa un'attività sempre più diffusa, con numerosissime prime salite e gradi di difficoltà sempre maggiori.  
Torniamo indietro nel tempo per raccontare  la concomitante evoluzione dei ramponi. Il loro sviluppo, ripreso dopo la seconda guerra mondiale, non puntò più all'alleggerimento degli attrezzi (attualmente la gran parte dei ramponi pesa di più rispetto al primo modello di super leggeri), quanto al suo miglioramento tecnico. Le prime innovazioni furono mirate alla realizzazione di ramponi regolabili che si potessero calzare su misure e modelli diversi  di scarponi e così nel 1962 la Salewa propose il primo rampone a regolazione totale.
Dal lato tecnico si cominciò però a sentire l'esigenza di attrezzi più adatti al ghiaccio duro e ripido che rappresentava la naturale evoluzione della ricerca alpinistica. Forse il primo a ideare e ad utilizzare dei ramponi rigidi che costituissero una piattaforma di appoggio più stabile e fossero più efficaci nel penetrare il ghiaccio duro fu ancora Yvon Chouinard; ne risultarono attrezzi molto efficaci ma assai fragili e pericolosi. 
fig. 10 ramponi Foot Fangsfig. 10 ramponi Foot Fangs
La vera trasformazione avviene solo con l'introduzione degli scarponi di plastica. Nel 1972 l’alpinista Jeff Lowe (1950-2018), fissò delle lame verticali dentate ai suoi scarponi da sci; erano nati i “Foot Fangs”, vera rivoluzione nel concetto di rampone: rigido, a struttura verticale, con aggancio automatico (fig. 10). Lowe ha effettuato oltre  mille prime ascensioni ed è anche stato cofondatore dell'azienda Lowe Alpine insieme ai suoi fratelli Greg e Mike.
Pochi anni prima la Stubai, per migliorare l'appoggio e l'equilibrio nella tecnica, orienta in avanti la seconda coppia di punte; di rilievo anche l'adozione della monopunta da parte della Charlet Moser e della Grivel (1986). I ramponi più diffusi fra i ghiacciatori di quel periodo sono i “Makalu” della Simond, progettati ancora da Walter Cecchinel.
fig. 11 ramponi modernifig. 11 ramponi moderniUn’ulteriore ed importante innovazione è infine rappresentata  dalla soletta anti-neve: un sistema utilissimo atto a impedire la formazione di uno zoccolo sotto al rampone, in caso di neve molle o crostosa, che può rendere inefficace la presa delle punte e creare pericolosi problemi di stabilità e sicurezza, aumentando conseguentemente il rischio di caduta (fig. 11). Nel 2003 la Grivel ha risolto definitivamente questo problema con l'anti-zoccolo proattivo che, grazie alla sua azione elastica, scarica la neve sfruttando il naturale movimento della camminata.
Ai giorni nostri i ramponi non sono più un oggetto polivalente adatto a tutte le situazioni, ma esistono modelli per i diversi settori di utilizzo; valga per tutti l'esempio di attrezzi specifici per il ghiaccio classico,  lo sci alpinismo, le cascate di ghiaccio e il dry tooling.
Anche chiodi e viti in questo intervallo di tempo vengono rivoluzionati dal punto di vista costruttivo e nelle caratteristiche tecniche. Nel decennio 1975-1985, compaiono alcuni “rivoluzionari” chiodi da ghiaccio tubolari a percussione e a vite con caratteristiche fra loro simili; il più valido fra questi era senza dubbio lo “Snarg” inventato dall’americano Jeff Lowe e commercializzato dalla Camp (fig. 12). 
Successivamente fanno la loro comparsa le prime viti tubolari russe al titanio, difficili da reperire e di costo spesso elevato e le Chouinard con le frese saldate. L’utilizzo di quesi ancoraggi era  però difficoltoso e assai rischioso perchè bisognava avvitarli con la becca della piccozza, rimanendo appesi all’altro attrezzo. Solo migliorando i sistemi di lavorazione e le finiture superficiali entrano nel mercato, alla fine degli anni ’80, viti da ghiaccio con fresa che si possono avvitare con una sola mano, agendo su una manovella fissata sulla testa dell’attrezzo (fig. 13).
fig. 12 chiodi Snargfig. 12 chiodi a percussione Snarg
 
fig. 13 viti tubolarifig. 13 viti tubolari attuali
 
fig. 14 piccozze fig. 14 piccozze attualiLa rugosità superficiale bassissima, unita alla cromatura interna ed esterna, hanno reso possibile la loro facile penetrazione nel ghiaccio, anche tra colonne, stalattiti e cavolfiori, consentendo così all’alpinista di proteggersi senza sprecare troppa energia.
L’ultima vera rivoluzione arriva negli anni ‘90 con il diffondersi del “dry tooling”, ovvero dell’arrampicata mista estrema, in cui le piccozze e i ramponi vengono utilizzati per arrampicare sulla roccia e raggiungere candele di ghiaccio sospese nel vuoto. 
L’innovazione negli attrezzi, anche in questo caso, ha preceduto e reso possibile un’evoluzione dell'arrampicata che ha spinto ancora più in alto il livello di difficoltà. 
Le piccozze di ultima generazione, con utilizzo del carbonio e di materiali sempre più leggeri, presentano oggi curvature più accentuate e impugnature molto piegate ed ergonomiche (fig. 14). Le viti da ghiaccio si avvitano ancora più velocemente e senza difficoltà con una mano sola, mentre i ramponi, in molti casi monopunta, consentono una migliore penetrazione nel ghiaccio e di ottenere la massima resa sulla roccia, perfino sugli appigli e sulle fessure più piccole. 
Dal 1786 ad oggi sono state salite le pareti, le goulotte, i couloir, gli hypercouloir, le cascate, le esili linee di ghiaccio effimero… cosa riserverà il domani?

 Immagine di copertina: Scozia, Ben Nevis Parete Nord Point Five Gully 

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